LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7239-2020 proposto da:
P.S., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della SOCIETA’ TSA2, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGAS 81, presso lo studio dell’avvocato FULVIO ROMANELLI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
UNICREDIT SPA E PER ESSA UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 14157/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 03/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.
FATTI DI CAUSA
1. – P.S. proponeva appello avverso sentenza del Giudice di pace di Roma; con tale pronuncia era stata rigettata l’opposizione concernente un decreto ingiuntivo che intimava allo stesso P. il pagamento della somma di Euro 1.904,00.
Il Tribunale di Roma rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite, liquidandole nel complessivo importo di Euro 14.500,00, oltre IVA e rimborso delle spese generali.
2. – Contro la pronuncia del Tribunale capitolino ricorre per cassazione, con un unico motivo, P.. L’intimata Unicredit non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorrente oppone la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 5, nella parte della sentenza in cui viene determinata la somma delle spese di lite in modo difforme dai parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale e in modo non coerente rispetto al valore della controversia. Lamenta l’istante che l’ammontare delle spese giudiziali sia stato determinato incomprensibilmente nella somma di Euro 14.500,00. E’ osservato come, a norma del D.M. n. 55 del 2014, art. 5, il valore della controversia debba determinarsi a norma dell’art. 10 c.p.c. onde, a tal fine, andava considerata la somma pretesa giudizialmente, pari a Euro 1.904,00. Viene dedotto, inoltre, che il Tribunale avrebbe errato nel liquidare le spese della fase istruttoria, posto che quest’ultima non aveva avuto svolgimento.
2. – Il ricorso è fondato.
A norma del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, il giudice “tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate”: ciò non significa che si delinei un vincolo alla determinazione secondo i detti valori, dovendo il giudice solo quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione (Cass. 31 gennaio 2017, n. 2386; Cass. 9 novembre 2017, n. 26608; Cass. 11 dicembre 2017, n. 29606).
Ciò posto, a norma del citato D.M., art. 5, comma 1, nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa è determinato, in via generale, a norma del codice di procedura civile. E’ poi stabilito che “(n)ei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata”. Come è stato chiarito da questa Corte, la locuzione si riferisce all’accoglimento, anche parziale, della domanda medesima, laddove, nell’ipotesi di rigetto di questa (cui deve assimilarsi ogni altra ipotesi di diniego della pronuncia di merito), il valore della controversia è quello corrispondente alla somma domandata dall’attore (Cass. 12 giugno 2019, n. 15857; con riferimento ad analoga previsione contenuta nella tariffa forense approvata con D.M. n. 585 del 1994, cfr. Cass. 11 marzo 2006, n. 5381). Ciò implica che l’ammontare delle spese, nel caso – che qui ricorre – di conferma, in appello, della pronuncia reiettiva dell’opposizione a decreto ingiuntivo, vada calcolato avendo riguardo alla somma ingiunta, definitivamente attribuita alla parte che aveva domandato ed ottenuto il provvedimento monitorio.
La liquidazione del Tribunale risulta dunque non osservante dei limiti di cui alle tabelle menzionate dal D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, e allegate al decreto stesso.
Per tale ragione il provvedimento impugnato deve essere cassato.
Resta assorbita la questione relativa alla liquidazione dei compensi relativi alla fase istruttoria, posto che il giudice del merito, cui la causa deve essere rinviata, dovrà provvedere a una nuova liquidazione dei compensi del giudizio di appello sulla base del pertinente scaglione di tariffa (che è quello ricompreso tra Euro 1.100,00 ed Euro 5.200,00). Va solo osservato che il mancato esperimento di attività istruttoria nel giudizio di gravame non implica la preclusione alla liquidazione di spese per la “fase istruttoria” di cui al citato D.M., art. 4, comma 5, lett. c): questa, infatti, ricomprende il compimento o l’esame di atti che non necessariamente hanno a che fare con l’acquisizione probatoria (come, a titolo di esempio, le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d’impugnazione, eccezioni e conclusioni, la notificazione delle domande nuove o di altri atti nel corso del giudizio compresi quelli al contumace, le relative richieste di copie al cancelliere, le istanze al giudice in qualsiasi forma, le dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge, le deduzioni a verbale).
3. – La sentenza impugnata è pertanto cassata, con rinvio della causa al Tribunale di Roma che, in persona di un diverso magistrato, statuirà pure sulle spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte, accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021