LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13623-2020 proposto da:
H.S.C.A.L., domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO PASTORE;
– ricorrente –
contro
PREFETTO di PROVINCIA di TORINO, MINISTERO DELL’INTERNO, *****;
– intimati –
avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di TORINO, depositata il 14/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA.
FATTI DI CAUSA
1. – Con decreto del 26 settembre 2018 H.S.C.A.L. veniva fatta oggetto di un decreto di espulsione del Prefetto di Torino; il provvedimento era emesso in quanto la medesima risultava priva del permesso di soggiorno.
2. – Il Giudice di pace di Torino ha respinto il ricorso in opposizione del provvedimento espulsivo. Ha rilevato che, per un verso, da informazioni acquisite presso l’Ufficio immigrazione della Questura di Torino risultava che l’interessata era stata titolare del permesso di soggiorno per motivi di lavoro fino al 26 marzo 2015, non avendone richiesto il rinnovo; ha osservato, per altro verso, che ai fini dell’applicabilità, in concreto, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, la sussistenza del vincolo di parentela non era di per sé sufficiente, richiedendosi la normale convivenza: convivenza che doveva escludersi, visto che la ricorrente aveva dichiarato, nel foglio notizie della Questura, di non convivere con il coniuge o con parenti entro il secondo grado e di essere entrata in Italia del 2013.
3. – Avverso l’ordinanza del Giudice di pace H.S.C.A.L. ha proposto un ricorso per cassazione articolato in due motivi. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione deL D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e art. 13, comma 2, lett. b). Ricorda la ricorrente che la spontanea presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine consente l’espulsione automatica dello straniero, che può essere però disposta solo se la domanda sia stata respinta per mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti. Rileva, in proposito, che essa istante si era spontaneamente presentata in Questura per richiedere il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto.
Il motivo è inammissibile.
E’ ben vero che la spontanea presentazione della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno oltre il termine di sessanta giorni dalla sua scadenza non consente l’espulsione automatica dello straniero, la quale può essere disposta unicamente se la domanda sia stata respinta per la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti richiesti dalla legge per il soggiorno dello straniero sul territorio nazionale, mentre il ritardo nella presentazione può costituirne solo indice rivelatore nel quadro di una valutazione complessiva della situazione in cui versa l’interessato (Cass. Sez. U. 20 maggio 2003, n. 7892; Cass. 20 giugno 2016, n. 12713).
Nondimeno, la circostanza posta a fondamento del motivo -l’essersi la ricorrente spontaneamente recata in Questura per il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto – non trova riscontro alcuno: come si è visto, il Giudice di pace rammenta come dal foglio notizie si ricavasse che il permesso di soggiorno era scaduto il 26 marzo 2015 e non era stato rinnovato. D’altro canto, la ricorrente nemmeno fornisce ragguagli riguardo alle ragioni per cui abbia mancato di rinnovare il permesso di soggiorno nell’ampio arco di tempo (tre anni e mezzo) intercorrente tra la scadenza di esso e la pronuncia del provvedimento espulsivo: ed è da rimarcare, in proposito, che, in caso di opposizione avverso il decreto prefettizio di espulsione per mancanza di valido permesso di soggiorno, grava sullo straniero l’onere di provare le circostanze che hanno impedito la presentazione della istanza volta al relativo rilascio o rinnovo (Cass. 25 settembre 2015, n. 19105).
2. – Il secondo motivo oppone la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5 e art. 13, comma 2 bis. Deduce l’istante che il Giudice di pace avrebbe dovuto riconoscere l’esistenza delle condizioni per l’applicazione della norma da ultimo citata. In particolare, infatti, non poteva considerarsi legittima l’espulsione di una persona che, come la ricorrente, era arrivata in Italia da minorenne, risiedeva nel paese da quattordici anni e ivi aveva stabilito il centro dei propri interessi, dei suoi effetti, delle sue amicizie, della propria vita lavorativa, oltre al fatto che qui risiedeva con la madre, con la quale aveva un legame molto stretto.
Il motivo è inammissibile.
Esso mostra di basarsi sul principio per cui, in tema di espulsione del cittadino straniero che abbia legami familiari in Italia, trova applicazione il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 bis, il quale richiede una concreta valutazione, condotta caso per caso, della natura e dell’effettività dei menzionati vincoli familiari, da considerarsi preminenti rispetto agli elementi, “suppletivi”, della durata del soggiorno e dell’integrazione sociale nel territorio nazionale del richiedente, in linea con la nozione di diritto all’unità familiare indicata dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all’art. 8 CEDU e fatta propria dalla sentenza n. 202 del 2013 della Corte costituzionale (così, di recente, Cass. 6 novembre 2020, n. 24908).
Il provvedimento impugnato, tuttavia, contiene accertamenti in fatto che sconfessano le deduzioni della ricorrente: in particolare, alla stregua di quanto affermato nell’ordinanza del Giudice di pace, l’odierna istante risulta aver fatto ingresso in Italia nel 2013 (solo due anni prima della scadenza del titolo di soggiorno) per ragioni di lavoro (non quindi per ragioni di ricongiungimento familiare) e non risulta essere convivente con la madre. D’altro canto, l’esistenza di situazioni che sarebbero indici di un radicamento in Italia della signora H.S., oltre a non essere dimostrati, risulterebbero, in sé non decisivi, in mancanza di una situazione connotata dalla presenza di significativi vincoli familiari in Italia: infatti, il giudice del merito è tenuto, onde pervenire all’applicazione della tutela rafforzata di cui al citato art. 13, comma 2 bis, a dare conto di tutti gli elementi qualificanti l’effettività dei legami familiari oltre che delle difficoltà conseguenti all’espulsione, senza che sia possibile, fuori dalla valorizzazione in concreto di questi elementi, fare riferimento ai criteri suppletivi relativi alla durata del soggiorno, all’integrazione sociale nel territorio nazionale, ovvero ai legami culturali o sociali con il Paese di origine (Cass. 15 gennaio 2019, n. 781).
3. – Il ricorso è in conclusione inammissibile, in quanto si fonda su elementi fattuali diversi da quelli accertati dal Giudice di pace e da questo posti a fondamento della decisione impugnata.
4. – Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021