Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.31736 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 987-2020 proposto da:

A.F., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato VITTORIO MANFIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA – SEZIONE DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 4780/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/11/2019 R.G.N. 2880/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/10/2020 dal Consigliere Dott. LEO GIUSEPPINA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte territoriale di Venezia, con sentenza pubblicata in data 5.11.2019, ha rigettato l’appello proposto da A.F., cittadino nigeriano, avverso l’ordinanza resa dal Tribunale della stessa sede il 21.9.2017, che aveva respinto il ricorso del medesimo avverso il provvedimento emesso dal Ministero dell’Interno-Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Verona, con il quale erano state disattese le domande del richiedente, dirette ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, del diritto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, ovvero del diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari il D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6;

2. la Corte di merito ha osservato che le ragioni addotte dall’appellante a sostegno dell’espatrio non integrano in alcun modo il rischio di una persecuzione determinata da ragioni politiche, religiose, razziali o di appartenenza ad un determinato gruppo sociale, secondo quanto dispone il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, essendo del tutto generiche, sfornite di qualunque supporto probatorio, contraddittorie ed illogiche ed avendo il medesimo “giustificato l’espatrio per motivi di carattere privato, affermando di essersi allontanato dal proprio Paese, in cui svolgeva l’attività di meccanico, per il timore di essere ucciso dai parenti del ragazzo perito nell’incendio divampato da un camion che si trovava nella propria officina, mentre egli si era recato nella vicina città per reperire i pezzi di ricambio necessari a riparare il guasto”; che l’appellante non è stato in grado di spiegare il motivo per il quale “non si è rivolto alla polizia per denunciare i fatti prospettati ed ottenere tutela e giustizia”; ed infine che “neppure ha riferito di specifiche minacce da parte del proprietario del camion e non ha fatto alcuno sforzo al fine di circostanziare una narrazione sfornita di significativi elementi di prova”;

3. circa la richiesta di protezione sussidiaria, la Corte ha evidenziato che l’appellante non ha espresso timori in ordine a possibili conflitti armati interni quali fonti di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio; pertanto, valutata altresì la situazione sociopolitica del Paese di provenienza, ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a), b) e c);

4. infine, i giudici di appello hanno negato che, nella fattispecie, potessero configurarsi particolari profili di vulnerabilità atti a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché la storia personale del ricorrente non consente di ritrovare riferimenti ad una condizione di menomata dignità vissuta in patria, né ad una personale situazione di vulnerabilità da proteggere;

5. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.F. articolando quattro motivi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato;

6. il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. con il primo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6; art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, “con conseguente nullità della sentenza per motivazione omessa o solo apparente; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione alla sussistenza delle condizioni per la protezione internazionale e sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. a), b), c)”;

2. con il secondo motivo si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, “violazione del criterio di valutazione della prova perché in subiecta materia la domanda deve ritenersi svincolata dal rigore del principio generale dell’onere della prova”; della L. n. 39 del 1990, art. 1, comma 5, “il quale, pur richiedendo che l’istanza debba essere motivata, afferma che essa deve essere solo in quanto possibile documentata”, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, “che disciplina l’esame della domanda laddove non sia documentata fissando i criteri di valutazione della credibilità del ricorrente”;

3. con il terzo motivo si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e 14, lett. a), b), c); il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, “omesso esame delle fonti Amnesty e E.COI aggiornate”;

4. con il quarto motivo si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3; D.Lgs. n. 286 del 2008, art. 5, comma 6, in ordine alla sussistenza delle condizioni per ottenere la protezione umanitaria, per omesso esame delle condizioni di cui all’art. 5, comma 6, cit.; ed inoltre, “violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, e art. 132 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità del decreto per motivazione omessa o solo apparente”;

5. i motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro interferenza e perché affetti dai medesimi vizi che conducono ad un pronunzia di inammissibilità. Ed invero, la Corte di merito ha sottolineato che la vicenda narrata dall’appellante è di carattere strettamente privato e che, in ordine alla stessa, il medesimo non ha fornito alcun elemento delibatorio che potesse indurre il Collegio giudicante ad una diversa connotazione: a fronte di ciò, non può invocarsi l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, che non può essere volta a supplire ad una carenza probatoria totale, in modo da attribuire al giudice una funzione sostitutiva degli oneri di parte (v., ex plurimis, Cass., SS.UU. n. 11353/2004; Cass. nn. 13694/2014; 6205/2010; 17102/2009). Va, altresì, sottolineato che la Corte di Appello, citando le fonti internazionali da cui ha tratto convincimento, ha accertato in fatto l’assenza di una situazione di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente;

6. ciò premesso, e rilevato altresì che i giudici di merito hanno dato conto del fatto che l’appellante non è stato in grado di spiegare il motivo per il quale non si è rivolto alle forze dell’ordine, né ha riferito di avere ricevuto minacce conseguenti alla vicenda di cui si è detto in narrativa, assorbente, nella fattispecie, è la considerazione che, in nessuno dei motivi articolati, il ricorrente contesti il fatto che la Corte territoriale abbia reputato che la vicenda narrata attiene ad una situazione privata e, quindi, insuscettibile di ottenere protezione internazionale o umanitaria; pertanto, non può ritenersi sussistente il vizio ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, che ricorre solo quando la pronuncia evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice al proprio convincimento, come, ad esempio, accade, quando non vi sia alcuna esplicitazione del quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito: ipotesi, queste, che non si ravvisano nella fattispecie;

7. infine – e ad abuntantiam -, in ordine al rilascio del permesso di soggior o giudici di seconda istanza hanno sottolineato che l’appellante non ha evidenziato elementi significativi di integrazione, né ulteriori condizioni di vulnerabilità, oggettiva e soggettiva; per la qual cosa, la decisione impugnata appare in linea con gli arresti giurisprudenziali di questa Corte, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione in Italia “deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza” (cfr., tra le altre, Cass. nn. 29857/2020; 4455/2018);

8. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;

9. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, non essendo stata svolta attività difensiva dal Ministero intimato;

10. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020) di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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