Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.31746 del 04/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1943-2020 proposto da:

B.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 10488/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 03/12/2019 R.G.N. 12276/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/06/2021 dal Consigliere Dott. PAGETTA ANTONELLA.

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. con Decreto n. 10488 del 2019 il Tribunale di Venezia ha respinto l’impugnazione proposta da B.N., cittadino della Costa D’Avorio, avverso il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di forme complementari di protezione;

2. dal decreto impugnato si evince che il richiedente ha motivato l’allontanamento dal paese di origine con il contrasto insorto con i cugini alla morte dello zio per motivi ereditari; ha riferito in particolare di essere stato minacciato di morte e che per difendersi aveva, nel corso di uno scontro, colpito uno dei cugini cagionandone la morte; temendo la vendetta dei familiari dell’ucciso, che erano andati a cercarlo a casa di un amico, non potendo ricevere tutela dalle forze dell’ordine, fortemente corrotte, aveva deciso di fuggire ed attraverso il Burkina Faso ed il Niger era giunto in Libia, dove era stato rapito ed imprigionato da banditi libici; era quindi stato aiutato a raggiungere l’Italia da una persona che si era impietosita;

3. il giudice di merito, esclusi i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ritenuto credibile il racconto del richiedente solo in relazione alle vicende dell’infanzia ed al cattivo rapporto con i cugini ma non anche quanto all’epilogo sfociato nella morte di uno di essi, ha rilevato che il B. non aveva dimostrato di avere compiuto ogni ragionevole sforzo per documentare la domanda quanto alla morte del cugino; non vi era alcun elemento volto a comprovare l’esistenza di indagini di polizia per l’accaduto né che le forze dell’ordine fossero state corrotte dai cugini risultando, al contrario, che il richiedente poteva contare sull’aiuto e la tutela da parte del capovillaggio già intervenuto nella vicenda; neppure era configurabile, in caso di rientro nel Paese di origine, il rischio di danno grave ai sensi degli D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 13 e 14; non era stata infatti allegata alcuna situazione riconducibile alla previsione di cui al D.Lgs. cit. art. 14, lett. a) e b); quanto all’ipotesi di cui al D.Lgs. cit., art. 14, lett. c), le fonti consultate escludevano la esistenza nelle regioni del Sud del Mali (nell’ambito del quale si trova il distretto di Bamako, di provenienza del ricorrente) di una situazione di violenza generalizzata da conflitto armato, interno o internazionale; infine, non era giustificata la concessione di un permesso per motivi umanitari in assenza di specifici profili di vulnerabilità stante la non credibilità del narrato del richiedente il quale in sede giudiziale ed in sede amministrativa aveva offerto più che due versioni diverse della medesima storia, due distinte storie del tutto in contrasto fa loro, anche con intrinseci elementi di incongruenza;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso B.N. sulla base di quattro motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 comma 1 ultimo alinea proc. civ., cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, censurando il decreto impugnato per essersi questo limitato ad affermare l’inesistenza di elementi di prova del narrato laddove la veridicità del racconto doveva essere valutata alla luce degli elementi indicati dall’art. 3 (ragionevole sforzo, produzione di tutti gli elementi in possesso del richiedente, adeguata giustificazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi ecc.);

2. con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente dinanzi alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del richiedente; lamenta in particolare la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del primo giudice;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, difetto di motivazione e travisamento dei fatti; censura il decreto impugnato per avere affermato con riguardo alla protezione umanitaria che l’allegazione di un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita personale, relazionale e lavorativa in Italia non giustificava di per sé la protezione umanitaria;

4. con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonché omessa applicazione dell’art. 10 Cost., censurando il mancato riconoscimento della protezione umanitaria che assume non sorretto della verifica della condizione personale del richiedente e da informazioni relative alla condizione socio economica del paese di provenienza;

5. il ricorso è meritevole di accoglimento per il profilo che investe la valutazione di credibilità del narrato;

5.1. questa Corte ha più volte affermato che valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi di quanto narrato dal richiedente, ma secondo la griglia predeterminata di criteri offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (v. Cass. 26921/2017, Cass. n. 08282/2013; Cass. n. 24064/2013; Cass. n. 16202/2012). In particolare, l’art. 3 citato prevede che “qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha effettuato ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla; e) dai riscontri effettuati il richiedente e’, in generale, attendibile”. Si tratta di criteri legali tutti incentrati sulla buona fede soggettiva nella proposizione della domanda, la cui violazione può rilevare, nel giudizio di legittimità, ai fini della denuncia del vizio processuale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare sulla valutazione di credibilità del racconto la norma indica quattro principali criteri di valutazione e cioè: a) la coerenza interna, che riguarda le eventuali incongruenze, discrepanze o omissioni presenti nelle dichiarazioni, rilevabili direttamente dal racconto; b) la coerenza esterna, che si riferisce alla coerenza tra il resoconto del richiedente e prove di altro tìpo ottenute dalle autorità competenti, comprese le informazioni sul paese di origine, la plausibilità o verosimiglianza, e cioè che si tratti di un fatto possibile, nonché apparentemente ragionevole, verosimile o probabile.

5.2. Nello specifico la valutazione espressa nel provvedimento impugnato non è coerente con tali indicazioni posto che: a) la affermazione della non credibilità dell’attacco da parte del cugino malato appare frutto di personale convinzione del giudice in quanto priva di giustificazione; b) le informazioni acquisite, come dato atto nel provvedimento medesimo, deponevano per una diffusa corruzione a tutti i livelli dell’amministrazione pubblica nel Paese di provenienza; tale corruzione coinvolgeva anche le forze armate e le forze di polizia; inoltre le fonti attestavano il rischio di sottoposizione trattamenti inumani e degradanti in caso di carcerazione; le deduzioni del ricorrente in ordine all’impossibilità di ricevere tutela da parte dell’autorità statuale hanno trovato quindi pieno riscontro nelle fonti consultate; in tale contesto, non si comprende come il favore del capovillaggio potesse offrire una protezione destinata in qualche modo a sostituirsi a quella – carente – dell’autorità statuale; ciò soprattutto in presenza di procedimento penale per un grave reato; inoltre, in merito al rilievo circa la mancata produzione di documentazione relativa all’episodio dell’omicidio del cugino da parte del richiedente, è lo stesso Tribunale a dare atto del fatto che “a livello micro” la corruzione burocratica ostacolava l’accesso generale dei cittadini aì servizi “dal rilascio di un certificato di nascita alla rivendicazione di merci dalla dogana “(decreto, pag. 7);

5.3. dai superiori rilievi si evince, quindi, che la valutazione di credibilità non è stata condotta in conformità dei criteri prescritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e tanto impone in accoglimento del primo motivo di ricorso, la cassazione con rinvio della decisione, con effetto di assorbimento di ogni ulteriore censura;

6. al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Venezia in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472