LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –
Dott. DI ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4198-2020 proposto da:
T.E., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO MAIORANA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI FIRENZE – SEZIONE DI LIVORNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto n. 8518/2019 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 20/12/2019 R.G.N. 9279/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. LEO GIUSEPPINA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. la Commissione territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze – Sezione di Livorno, con provvedimento emesso in data 28.3.2018 e notificato il 24.5.2018, respingeva l’istanza di riconoscimento dello status di rifugiato ed altresì della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, formulata da T.E., cittadino del Ghana;
2. quest’ultimo, in data 23.6.2018, proponeva opposizione avverso il provvedimento suindicato ed il Tribunale di Firenze, con il decreto n. 8518/19, pubblicato in data 20.12.2019, rigettava il ricorso confermando il giudizio di non credibilità, già formulato in sede amministrativa, in ordine alla versione della vicenda personale resa dinanzi alla Commissione territoriale e confermata, solo in parte, in sede giurisdizionale, a causa delle molteplici contraddizioni ravvisate nel racconto (a parere del Tribunale, ad esempio, “appare inverosimile che il ricorrente sia stato denunciato alla polizia dal padre della fidanzata, in quanto colpevole di averla messa incinta”, anche perché “in sede di audizione dinanzi al giudice egli ha ammesso che il fatto in sé non costituiva reato nel suo Paese”; inoltre, “il racconto fatto dinanzi alla CT appare notevolmente diverso da quello reso in udienza, dal momento che nell’audizione del 27.3.2018 il ricorrente ha dichiarato che fu il padre della ragazza a proporgli di fare il test di paternità mediante esame del sangue presso un ospedale e che il giorno fissato per il prelievo dei campioni ematici, sia a lui che alla ragazza, egli, presso il nosocomio, veniva a sapere da terzi che la ragazza era morta assumendo dei medicinali per interrompere la gravidanza; invece in sede di interrogatorio libero ha riferito per la prima volta che la polizia dopo la denuncia del padre di Alima sarebbe andato a casa sua per arrestarlo e, sentita la propria versione dei fatti, gli avrebbe consigliato di sottoporsi al test di paternità e, una volta in ospedale, egli avrebbe visto la ragazza su una barella, coperta da un lenzuolo bianco e sanguinante dalla testa in giù”);
3. per la cassazione del decreto ha proposto ricorso T.E. articolando due motivi; Il Ministero dell’Interno ha depositato tardivamente un “Atto di costituzione” al solo fine “di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione”;
4. il P.G. non ha formulato richieste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. con il primo motivo si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Difetto di motivazione e travisamento dei fatti”, per l'”assoluta assenza di istruttoria in merito alle condizioni, anche socio economiche, del Paese di origine del ricorrente, che determinano una ipotesi di motivazione solo apparente”;
2. con il secondo motivo si censura, sempre in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il fatto che “il Tribunale ha errato nel valutare l’applicabilità al ricorrente della protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché “del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese d’origine o che ivi possa correre gravi rischi, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 2017 che ha introdotto il reato di tortura ed ai principi generali di cui all’art. 10 ed all’art. 3 CEDU. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Omesso esame delle condizioni personali per l’applicabilità della protezione umanitaria e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del Paese di provenienza. Omesso esame delle fonti informative circa la situazione socio economica del Paese”;
3. i motivi, che per la loro interferenza possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili perché generici (in particolare per le censure sollevate con il primo motivo) ed altresì, in quanto, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di merito (al riguardo, v. Cass., SS.UU. n. 34476/2019). Inoltre, le dedotte violazioni di legge non appaiono configurabili (arg. ex art. 366, comma 1, n. 4, del codice di rito) in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalle norme pretesamente incise, mediante la specificazione delle affermazioni in diritto contenute nel provvedimento impugnato che, motivatamente, si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 16038/2013; 3010/2012);
4. ed è altresì da osservare che i giudici di merito hanno sottolineato che il racconto del ricorrente è stato, appunto, generico, poco circostanziato, contraddittorio in molti punti e, pertanto, non credibile; la ritenuta non credibilità del racconto del ricorrente integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito (ex art. 3, comma 5, lett. c), del D.Lgs. n. 251 del 2007) e, quindi, censurabile in cassazione nei limiti prescritti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie non rispettati (v., tra le molte, Cass. n. 3340/2019); l’inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente ai fini della tutela sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), esclude l’attivazione dei poteri istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dalla impossibilità di fornire riscontri probatori (v., tra le altre, Cass. nn. 8819 del 2019; 4892/2019; 16925/2018), in quanto il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice presuppone una affidabile allegazione dei fatti da accertare (cfr. Cass. nn. 33096/2018; 28862/2018). E, nella fattispecie, il ricorrente si è limitato a contestare, in sostanza, gli apprezzamenti di fatto del Tribunale, quanto al mancato riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria, in ordine alla quale ultima, appaiono condivisibili le argomentazioni dai giudici di merito sul fatto che il ricorrente non ha fornito alcuna indicazione circa la sua attuale condizione sul territorio italiano o sul radicamento nel nostro tessuto sociale. Egli, invero, non svolge un lavoro regolare, né ha fornito elementi da cui poter inferire una situazione di particolare vulnerabilità, anche di carattere temporaneo, da tutelare (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 25311/2020; 7831/2019);
5. per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
6. nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio, poiché il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva;
7. avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1-quater, secondo quanto specificato in dispositivo (cfr. Cass., SS.UU. n. 4315/2020).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021