LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4776/2020 proposto da:
A.T.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO MALOSSINI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di TORINO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA alla VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 1638/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 09/10/2019 R.G.N. 1963/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.
RILEVATO
Che:
1. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 9 ottobre 2019, confermava l’ordinanza del Tribunale della stessa sede, che aveva rigettato la opposizione proposta da A.T.P., cittadino nigeriano, avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale, che aveva a sua volta respinto la sua domanda di protezione internazionale, escludendo, altresì, la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (sussidiaria).
2. Il giudice dell’appello esponeva che l’originario ricorrente aveva dichiarato di essere nato a *****, di essersi trasferito a ***** dopo la scuola primaria, di avere lasciato il proprio paese il ***** a seguito della aggressione subita in casa, nella notte del *****, da parte di sette ragazzi – che lo avevano picchiato, minacciandolo di morte e rubandogli computer, telefono e soldi – per non avere aderito alle reiterate richieste di entrare a far parte del loro gruppo. Nella casa abitavano nove persone; dopo questo episodio era stato allontanato dal padrone di casa, il quale temeva che la sua presenza rappresentasse un pericolo per gli altri. Aveva riferito di credere che gli aggressori fossero militanti *****. Aveva precisato di essere stato fermato la prima volta nel *****, mentre tornava dal lavoro, da due persone, che gli chiedevano di partecipare ad un gruppo in formazione, cosa cui egli non si era prestato, senza chiedere alcuna informazione sul gruppo e di essere stato nuovamente avvicinato a gennaio, ancora rifiutando. Aveva riferito, ancora, di avere due figli in patria, che vivevano con sua madre.
3. Tanto premesso in fatto, il giudice dell’appello condivideva la valutazione del Tribunale di inattendibilità del racconto.
4. Osservava essere generiche e prive di logicità interna le motivazioni delle minacce e percosse ricevute: il richiedente aveva riferito di essere cristiano ***** ma di non essersi mai interessato di politica, per cui non era ragionevole la minaccia di morte rivoltagli dai presunti aggressori, mai visti né conosciuti prima e sul cui gruppo egli non aveva ritenuto di assumere alcuna informazione, nonostante le ripetute minacce.
5. Altrettanto poco convincente era il fatto che la parte avesse lasciato il proprio paese ed i figli nell’immediatezza della pretesa aggressione, nonostante il tempestivo intervento delle forze di polizia, per quanto da lui stesso riferito, alle quali avrebbe potuto chiedere protezione (la libertà di culto in Nigeria era costituzionalmente garantita ed a LAGOS la comunità cristiana, cui il ricorrente apparteneva, rappresentava la maggioranza).
6. Alle incongruenze del racconto si aggiungevano i dati raccolti dalle fonti di conoscenza internazionali: pur essendovi scontri in Nigeria tra gruppi ***** e *****, nessuna fonte giornalistica né reports accreditati attestavano il reclutamento forzato da parte di gruppi etnici ***** né ritorsioni in caso di rifiuto.
7. In ogni caso, non vi erano atti persecutori per i motivi di cui al D.Lgs n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, trattandosi, piuttosto, di reati comuni; inoltre, LAGOS era situata nella zona sud del paese, lontanissima dalle province settentrionali controllate da *****. Non ricorrevano, pertanto, i presupposti per la protezione sussidiaria (pericolo di morte e di trattamenti disumani né provenienza da una zona interessata da atti di violenza indiscriminata).
8. La nascita di una figlia in Italia da concittadina nigeriana con permesso di soggiorno non era titolo per il riconoscimento del permesso umanitario, considerando che il richiedente aveva due figli in Nigeria. Non era provata la integrazione lavorativa; dalla certificazione dei redditi 2018 risultava un reddito da lavoro a tempo determinato di Euro 58,25 e per il 2019 era in corso un contratto a termine con scadenza al 31 luglio 2019.
9. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza A.T.P., articolato in quattro ragioni di censura; il MINISTERO DELL’INTERNO si è costituto per la partecipazione discussione orale.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7 e 8, per avere il giudice dell’appello escluso il riconoscimento dello status di rifugiato sulla base della asserita non credibilità del racconto, senza valutare le ragioni della ritenuta genericità né consentirgli di fornire chiarimenti, nonostante la richiesta di audizione formulata in entrambi i gradi di merito.
2. Si deduce che nella specie la sua credibilità emergeva: dai riscontri documentali in merito allo scontro etnico tra le fazioni ***** e ***** a ***** presso il mercato “*****” il giorno *****; dall’intrinseca coerenza delle dichiarazioni; dalla concordanza rispetto a quanto riferito in sede di formalizzazione della domanda di protezione; dalla attuale frequentazione di un’associazione cristiana; dal rilievo dello svolgimento in patria, come riferito, dell’attività lavorativa di marketing advisor sicché egli non avrebbe lasciato il Pese in assenza di una situazione di pericolo.
3. Con il secondo mezzo si denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3 e 14, in riferimento al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, sul rilievo che la esistenza in Nigeria di un conflitto tra i gruppi armati delle etnie ***** e *****, accertata dal giudice dell’appello, costituiva motivo di riconoscimento di tale forma di protezione, per la sua pacifica appartenenza alla etnia *****.
4. In linea generale, si deduce che nell’intero territorio della NIGERIA vi è una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).
5. Il terzo motivo è proposto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – sotto il profilo della nullità del procedimento e della sentenza nonché- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14.
6. Si imputa al giudice dell’appello di avere escluso la protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base della asserita non-credibilità del suo racconto, senza recepire le risultanze dei documenti prodotti e senza tener conto dell’accertato scontro tra i gruppi etnici ***** e *****.
7. I primi tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente perché si prestano a rilievi analoghi, sono inammissibili.
8. La Corte d’appello ha compiuto un preciso accertamento sulla mancanza di credibilità dell’odierno ricorrente, all’esito della motivata e dettagliata disamina del suo racconto ed ha operato il dovuto confronto tra le condizioni del Paese di origine e le ragioni poste a base della richiesta di protezione internazionale. In particolare, ha evidenziato non solo la mancanza di coerenza interna della narrazione ma anche, con riguardo all’area di provenienza, la mancanza di riscontro nelle fonti internazionali di forme di reclutamento forzato da parte di frange estremiste della etnia *****, cui lo stesso ricorrente appartiene.
9. Con la prima censura si pone in discussione tale accertamento deducendo la credibilità del racconto e, genericamente, la esistenza di evidenze documentali dello scontro tra le etnie ***** ed *****. Manca una precisa indicazione dei contenuti delle fonti internazionali che contrasterebbero le conclusioni del giudice dell’appello; inoltre la critica non tocca la ratio decidendi della sentenza impugnata, basata (in coerenza con le allegazioni poste a fondamento della domanda di protezione) sulla mancanza di riscontro della esistenza di forme violente di reclutamento all’interno della stessa etnia del ricorrente (gli *****).
9. Quanto al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, colto dal secondo e dal terzo motivo di ricorso, la Corte di merito ha preso in esame la specifica situazione dell’area di provenienza del ricorrente, sulla base delle fonti internazionali, escludendo ricorrere le condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.
10. Il ricorrente censura tale accertamento sotto il profilo della asserita esistenza di una situazione di violenza indiscriminata, con il richiamo a stralci di giurisprudenza, di merito e di legittimità ed ad un rapporto la cui provenienza e datazione non sono specificate.
11. Deve essere in questa sede ribadito il principio, in tema di protezione internazionale, secondo cui ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cassazione civile sez. I, 21/10/2019, n. 26728).
12. Nella specie le censure contrappongano alle statuizioni di merito della sentenza impugnata una ricostruzione opposta non supportata da allegazioni circostanziate.
13. La quarta critica denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, commi 6 e 19, in relazione al mancato riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
14. Si deduce la rilevanza, a prescindere dalla credibilità del suo racconto, dell’obiettiva situazione del paese di provenienza ed, altresì, dello stato di occupazione e della nascita di un figlio in Italia.
15. Il motivo è fondato, per quanto di seguito evidenziato.
16. Richiamate le valutazioni di inammissibilità già svolte in riferimento al secondo ed al terzo motivo di ricorso quanto alla generale situazione del paese di origine, la censura merita invece accoglimento per non essere stato attribuito rilievo, ai fini della concessione della protezione umanitaria, alla nascita in Italia di un figlio da concittadina nigeriana con permesso di soggiorno, circostanza di cui dà atto la sentenza impugnata.
17. Nel regime vigente ratione temporis i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, erano accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (ex plurimis: Cass. n. 4455 del 2018).
18. Questa Corte ritiene di dare continuità al principio (Cass. sez. I, 8 luglio 2021 n. 19517; 30 giugno 2021 nnrr. 18666 e 18667; Cass. sez. III 18 marzo 2021 n. 7769; Cass. sez. II 26 febbraio 2021 n. 5506) secondo cui “Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, la presenza di figli minori del richiedente rappresenta uno degli elementi che devono essere considerati nell’apprezzamento circa la sussistenza della vulnerabilità del genitore, atteso che la presenza della prole minore in Italia si risolve in una condizione familiare idonea a dimostrare da un lato una peculiare fragilità, tanto dei singoli componenti della famiglia che di quest’ultima nel suo complesso, e dall’altro lato uno specifico profilo di radicamento del nucleo sul territorio nazionale, in dipendenza dell’inserimento dei figli nei percorsi sociali e scolastici esistenti in Italia e, quindi, della loro naturale tendenza ad assimilare i valori ed i concetti fondativi della società italiana”.
19. L’art. 8 della Convenzione EDU protegge, infatti, le relazioni ed i legami familiari in quanto tali, a prescindere dalla esistenza di un matrimonio e non soltanto nell’interesse del minore ma di tutti gli individui coinvolti in dette relazioni familiari.
20. Non appare preclusiva né la circostanza che il D.Lgs n. 286 del 1998, art. 19, comma 2 bis, attribuisca rilievo, ai fini del respingimento o dell’esecuzione dell’espulsione, alla sola condizione di componente di famiglia “monoparentale” con figli minori né il fatto che l’art. 31 del medesimo D.Lgs., preveda lo specifico istituto dell’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza del familiare di un minore che si trova nel territorio italiano.
21. Sotto il primo profilo si osserva che la disposizione dell’art. 5, comma 6, è norma elastica, non riconducibile a casi tassativamente determinati.
22. Sotto il secondo profilo, i presupposti della protezione umanitaria e del permesso temporaneo al genitore ex art. 31 TUI “per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore” sono diversi. Quest’ultimo è fondato sull’interesse del minore (di qui la devoluzione della competenza al Tribunale dei minorenni); il D.Lgs n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, prevede sì un permesso di soggiorno, al pari del precedente, ma per ragioni diverse, inerenti all’interesse del genitore a non interrompere la propria relazione con il figlio. L’esistenza, e la prevalenza, dell’interesse del minore, dunque, non implica l’assenza di un concorrente interesse del genitore che possa, insieme al primo, ricevere protezione. La posizione del genitore del minore nato in Italia è diversa, ma non necessariamente in antitesi, né in rapporto di reciproca esclusione, rispetto a quella del minore, di guisa che al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, non può essere assegnato, in funzione del rapporto di specialità, il valore di istituto idoneo ad escludere automaticamente la contemporanea sussistenza di margini di applicazione per la protezione umanitaria (Cass. n. 18667/2021; n. 7769/2021).
19. La sentenza impugnata deve essere cassata per aver pretermesso di considerare la esistenza di un nucleo familiare con un figlio minore costituito in Italia, affermando essere ininfluente la nascita del figlio sulla base del mero dato della esistenza di altri figli in Nigeria.
20. Gli atti vanno rinviati alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione affinché proceda ad una nuova valutazione dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base del principio di diritto qui ribadito.
21. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibili i primi tre. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese – alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione.
Così deciso in Roma, alla Adunanza camerale, il 1 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021