Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.31778 del 04/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14496/2015 proposto da:

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

U.S.B. – UNIONE SINDACALE DI BASE – PUBBLICO IMPIEGO, in persona del coordinatore regionale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COL DI LANA 11, presso lo studio degli avvocati ANTONINO PERAINO, GIORGIA GALLINELLI, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

e contro

CGIL FUNZIONE PUBBLICA DI ROMA EST – UIL TRASPORTI ROMA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 9244/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/12/2014 R.G.N. 900/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma, accogliendo il gravame proposto dall’Unione Sindacale di Base – Pubblico Impiego (di seguito USB) ha ritenuto l’antisindacalità della installazione, senza previo accordo con le organizzazioni sindacali, da parte del Ministero delle Infrastrutture, di apparecchiature audiovisive di ripresa delle attività di esame per il conseguimento della patente di guida.

La Corte territoriale riteneva che la possibilità così determinata di controllare a distanza, anche solo potenzialmente, la prestazione di lavoro degli addetti allo svolgimento delle predette prove di esame imponesse l’osservanza delle procedure di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 4, comma 2, nel caso di specie non rispettate.

2. La sentenza è stata impugnata dal Ministero con due motivi, resistiti da controricorso di USB.

3. Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ai sensi del D.L. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, conv. con mod. in L. n. 176 del 2020, con la quale ha insistito per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il Ministero denuncia la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, anche in relazione all’art. 127 C.d.S., comma 7, sostenendo che quello realizzato costituirebbe un legittimo controllo “difensivo”, imposto dalla pubblicità da assicurare ai sensi dell’art. 121 C.d.S., e finalizzato ad assicurare la tutela di un bene estraneo al rapporto di lavoro, ovverosia la trasparenza delle operazioni e l’autenticità delle risposte ai test rese dai candidati, Il secondo motivo richiama la violazione delle stesse norme di cui sopra, sostenendo che la “pubblicizzazione” delle procedure e il loro “controllo” sono concetti distinti, in quanto diretta la prima a manifestare all’esterno l’evento che si sta svolgendo ed il secondo, attraverso una relazione tra datore di lavoro o suoi ausiliari ed il lavoratore, a verificare l’operato del dipendente, senza contare che, essendo percepibili da tutti le modalità di attivazione dell’impianto all’inizio delle prove, sarebbe da escludere qualsivoglia natura “occulta” del controllo consequenzialmente svolto.

2. I motivi vanno esaminati congiuntamente, riguardando essi questioni tra loro strettamente connesse, e sono da ritenere infondati.

3. La L. n. 300 del 1970, art. 4, nella sua formulazione originaria ed applicabile ratione temporis, prevede, al comma 1, il divieto di utilizzazione di “impianti audiovisivi e di altre apparecchiature” per il “controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” ed ammette, al comma 2, l’installazione di impianti ed apparecchiature rese necessarie da “esigenze organizzative e produttive ovvero della sicurezza del lavoro”, allorquando da esse derivi “anche la possibilità” di un controllo a distanza dell’attività del lavoratore, ma solo previo accordo sindacale o, in caso di mancato accordo, previa disposizione da parte delle Direzioni territoriali del lavoro.

Nell’attuale formulazione, introdotta successivamente ai fatti di causa e qui non applicabile ma utile a fini interpretativi, i due primi commi del precedente testo vengono unificati, con l’aggiunta, tra le esigenze autorizzabili, di quelle volte alla “tutela del patrimonio”; il comma 1 originario non è in sé riprodotto, ma la nuova formulazione, facendo riferimento all’autorizzabilità di apparecchiature dalle quali “derivi anche la possibilità di controllo a distanza”, rende chiaro che il fine di controllo a distanza dell’attività non è mai sufficiente a legittimare, da solo (controllo diretto), il controllo sull’attività lavorativa, analogamente a quanto prevedeva la formulazione originaria dell’art. 4, mentre lo e’, ferma l’autorizzazione, quale possibilità conseguente ad altri fini (controllo indiretto).

E’ stata poi introdotta l’espressa previsione di esclusione da limitazione dell’installazione di “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” (v. computer aziendali etc.) e degli agli “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” (nuovo comma 2), oltre al condizionamento dell’utilizzazione delle informazioni provenienti da ogni installazione ad una “adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196” (nuovo comma 3).

4. La giurisprudenza di questa S.C. ha talora identificato ipotesi nelle quali la “possibilità” di controllo a distanza (di cui all’art. 4, comma 2, dell’originario testo) non è stata ritenuta tale da integrare la necessità di previe autorizzazioni.

Non è semplice l’individuazione di un lineare percorso interpretativo cui ancorare queste ultime ipotesi, per il fatto che la “possibilità” di controllo di cui al citato comma 2 è fattispecie logicamente e lessicalmente ampissima.

In proposito sembra inevitabile muovere dalla ratio che ispira la norma e che chiaramente, ove letta in controluce rispetto alla possibilità incontroversa di controllo “umano” della prestazione, anche mediante ausiliari (Cass. 9 ottobre 2020, n. 21888; Cass. 12 giugno 2002, n. 8388), sta ad impedire (comma 1) o governare (comma 2) l’utilizzazione di mezzi elettronici o meccanici (“apparecchiature”) e ciò in quanto la prestazione del lavoro personale deve mantenere margini di autonomia potenzialmente destinati a scomparire, in violazione della dignità stessa del prestatore, se il datore sia posto in grado di analizzare, con modalità diverse dal diretto e contestuale contatto personale, ogni singolo comportamento tenuto nell’ambito dell’attività lavorativa.

D’altra parte, l’ampiezza della “possibilità” di controllo di cui al comma 2 dell’originario art. 4 rende il requisito inidoneo a delimitare l’ambito dei controlli che restano al di fuori dei vincoli normativi, riguardando anzi esso, proprio per tale ampiezza terminologica, anche quei mezzi, come sono le riprese video dei nostri tempi, che anche solo consentono di rivedere a distanza di tempo quanto mano a mano visualizzato e/o captato.

A delimitare l’ambito della norma sta dunque piuttosto, come del resto sembra affermare anche il Pubblico Ministero nella propria memoria finale, l’interpretazione rigorosa dei casi in cui i controlli sono soggetti a disciplina vincolistica.

Di ciò si ha in qualche misura riscontro anche prendendo in considerazione la norma come ora novellata, ove, a fronte della esclusione di tutele nei casi in cui siano gli stessi macchinari in uso al lavoratore a lasciare traccia dell’attività svolta o nei casi di rilevazione delle presenze, per ampliare invece le garanzie ai casi di controlli c.d. difensivi riguardanti il patrimonio aziendale, si è appunto agito inserendo l’ipotesi tra le esigenze che legittimano, ma previa concertazione, le installazioni di apparecchiature di controllo.

4.1 Muovendo in tale prospettiva si rileva che l’art. 4, comma 2, nella versione qui da applicare, ha riguardo ai controlli indirettamente possibili in ragione di strumenti richiesti da “esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro”.

I “controlli difensivi” destinati a restare al di fuori delle regole vincolistiche sono dunque quelli estranei a quelle esigenze, strettamente intese, tra cui rientrano certamente i controlli necessari ad assicurare tutela all’immagine del datore di lavoro (v. Cass. 10 novembre 2017, n. 26682) o del suo patrimonio (Cass. 8 novembre 2016, n. 22662, tra l’altro questi ultimi ora attratti, come detto, nel regime autorizzatorio dal nuovo testo della norma) e che del tutto occasionalmente ed imprevedibilmente, secondo un giudizio di ragionevolezza ex ante, intercettino comportamenti del lavoratore, rilevanti essenzialmente in quanto illeciti, quasi sempre contrattualmente rilevanti o comunque anche di portata extracontrattuale.

5. Ciò posto, è indubbio che l’assicurazione di pubblicità alle prove di esame per il conseguimento della patente di guida rientri tra le “esigenze organizzative e produttive”, in questo caso imposte per legge dal Codice della Strada e discrezionalmente attuate dal Ministero attraverso il sistema di video trasmissione all’esterno.

Nessun rilievo ha del resto il fatto – non contemplato dalla norma – in ordine alla portata “non occulta” o non ignota ai lavoratori del mezzo di controllo (Cass. 6 marzo 1986, n. 1490), del resto destinata a divenire sostanzialmente la regola, ferma restando la liceità solo previa autorizzazione, nel sistema quale ora novellato (art. 4, comma 3).

Così come irrilevante, proprio per l’ampiezza della previsione di “possibilità” di controllo, è che lo scopo sia quello di assicurare “pubblicità” alle sedute di esame, perché tale pubblicità, se consente di verificare eventuali comportamenti indebiti dei candidati, certamente consente anche di assicurare controllo sui comportamenti più o meno scorretti degli esaminatori, e tanto basta.

6. Il ricorso va dunque disatteso e le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472