LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36378/2019 proposto da:
I.D., elettivamente domiciliato in Padova, vicolo Buonarroti 2, presso lo studio dell’avv. MARIA BASSAN, che lo rappre’senta e difende per procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE VERONA SEZ. PADOVA, PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
e contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistenti –
avverso la sentenza n. 2089/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/01/2021 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.
RILEVATO
che:
1. I.D., proveniente dalla Nigeria, ha proposto ricorso, articolato in tre motivi, notificato il 19 novembre 2019, per la cassazione della sentenza n. 2089/2019 emessa dalla Corte d’appello di Venezia e pubblicata in data 21 maggio 2019.
2. Il Ministero dell’interno ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si è dichiarato disponibile alla partecipazione alla discussione orale.
3. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.
4. Il ricorrente, secondo la ricostruzione della sua vicenda personale riportata nel ricorso, aveva una relazione con una ragazza promessa in sposa ad un uomo ricco e potente, che voleva per questo vendicarsi; dalla relazione nasceva anche un figlio; il ricorrente chiedeva aiuto alla polizia, che gli consigliava di scusarsi e lasciare la ragazza, essendo il suo nemico troppo potente; allora egli si trasferiva con la ragazza a *****, dove avevano un altro figlio e vivevano tranquilli, finché non venivano individuati e raggiunti dall’uomo, che lo minacciava di morte; il ricorrente allora fuggiva ad Ekoma, dove veniva ospitato da un amico e dove un conoscente gli proponeva di spostarsi in Libia; per il timore di essere perseguitato e ucciso I. fuggiva, e giungeva in Italia nel 2016.
5. Per queste ragioni proponeva domanda volta ad ottenere, in via gradata, le varie forme di protezione internazionale. Le sue domande venivano respinte dalla Commissione Territoriale.
6. Il diniego è stato confermato, in sede giurisdizionale, dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Venezia. Nella sentenza d’appello si legge che il ricorrente ha impugnato la decisione del Tribunale quanto al rigetto della domanda volta al riconoscimento della protezione umanitaria; la motivazione è incentrata sul fatto che il racconto del ricorrente è generico, indimostrato, intrinsecamente contraddittorio e dunque non credibile e che, mancando di dettagli, impedisce anche di compiere un’integrazione officiosa. In ultimo la sentenza contiene anche un breve riferimento alla situazione del paese di provenienza del ricorrente, con la precisazione che la zona della Nigeria di provenienza del ricorrente (Edo State) non sia quella che subisce l’occupazione militare dei fondamentalisti islamici.
RITENUTO
che:
il ricorrente ha articolato tre censure.
7. Con il primo motivo,si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 99 e 342 c.p.c..
Segnatamente si censura che la Corte d’appello abbia dedotto nuove ragioni di non credibilità dal racconto, mai dedotte prima e in merito alle quali – dunque – il ricorrente non avrebbe avuto modo di difendersi.
8. Con il secondo motivo è censurata la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per carenza di motivazione in merito alla valutazione di credibilità del ricorrente. Il ricorrente sostiene che la motivazione sia errata perché non tiene conto di quanto riferito nell’atto d’appello e perché il Giudice ha compiuto una valutazione del tutto soggettiva nel ritenere che il ricorrente, quando in sede di Commissione ha riferito “quell’uomo (quello che lo minacciava) lavorava per la polizia” abbia voluto intendere “che non si era rivolto alla polizia perché non sarebbe servito a niente”. La Corte d’appello avrebbe dovuto valutare se lo Stato di provenienza del richiedente fosse in grado di garantire lo stesso dagli atti persecutori che ha subito da parte di soggetti terzi.
9. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3) per la mancata valutazione della situazione di pericolosità diffusa del Paese di origine del richiedente (Nigeria), nonché del suo percorso di integrazione in Italia, documentato anche mediante la produzione delle buste paga, ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
10. Il ricorso è infondato, salvo che per la censura, contenuta nel terzo motivo, relativa alla protezione umanitaria.
Dalla lettura della sentenza si evince che l’atto di appello era relativo alla sola protezione umanitaria, mentre il ricorso contiene censure extravaganti, che non afferiscono direttamente ad essa.
Il primo motivo è infondato laddove afferma che il provvedimento adottato sarebbe illegittimo perché si fonda su considerazioni non sottoposte al contraddittorio, sulle quali la parte non ha potuto interloquire: il giudice non può fondare la sua valutazione dei fatti su circostanze di fatto non sottoposte al contraddittorio, ma date queste circostanze, la loro lettura ragionata da parte del giudice, il ritenere che una circostanza sia determinante rispetto alle altre, sono valutazioni interne alla formazione del convincimento che portano alla valutazione complessiva e finale espressa nel dispositivo ed esplicata nella motivazione: non è prescritto né è possibile che essa venga la valutazione finale venga sottoposta passo passo alla parte nel corso dell’istruttoria. Non è la valutazione, e quindi la motivazione, che si deve svolgere nel contraddittorio, ma l’attività istruttoria. La fase valutativa è interna al giudice e deve poi essere esplicitata, perché sia verificabile l’attinenza del percorso valutativo all’istruttoria svolta, a mezzo della motivazione.
12. Sia il secondo che il terzo motivo contengono censure che solo indirettamente attengono alla mancata concessione della protezione umanitaria, perché il giudizio di credibilità è sotteso al riconoscimento delle forme di protezione internazionale di cui all’art. 14, lett. a) e b) e il mancato esame della situazione nel paese di provenienza potrebbe in questa sede rilevare non ai fini del ritenere plausibile o meno l’inutilità del ricorso alla polizia, perché essa non è in grado di proteggere il privato, che attiene sempre al giudizio di credibilità come sopra finalizzato. Essa potrebbe rilevare, ai fini della protezione umanitaria, soltanto se si denunciasse che sia in corso nel paese di provenienza una sistematica violazione dei diritti umani tale da collocarli al di sotto della soglia minima della dignità umana, che non è in questa sede neppure denunciata.
13. Va però accolto il terzo motivo di ricorso, laddove si denuncia il fatto che la corte d’appello abbia rigettato la domanda volta alla concessione della protezione umanitaria senza procedere al giudizio di comparazione tra la situazione attuale del richiedente e la situazione in cui si troverebbe ove fosse costretto al rimpatrio, e senza valutare attraverso le prove documentali prodotte il percorso di integrazione compiuto in Italia. La sentenza infatti, dopo aver ritenuto non credibile tutta la complessa vicenda riferita dal ricorrente, perché non idoneamente supportata da elementi a sostegno (dallo stesso ricorso si evince che neppure l’età effettiva del ricorrente è certa, con un divario di dieci anni), appiattisce sul giudizio di non credibilità ogni ulteriore valutazione, non procedendo neppure a valutare se egli versi nella sostanzialmente denunciata situazione di grave vulnerabilità ove dovesse far ritorno in Nigeria, e senza effettuare il dovuto giudizio di comparazione.
14. Essa si pone pertanto in contrasto con i seguenti principi di diritto, già affermati da questa Corte e rilevanti nel caso di specie:
a. Il rilascio del permesso di soggiorno per protezione umanitaria (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità (v. Cass. 23604 del 2017; Cass. n. 13096 del 2019);
b. Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento (v. Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 13088 del 2019);
c. La condizione di vulnerabilità è una condizione personale del richiedente, che deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della vita privata del richiedente in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, per verificare la sussistenza e la consistenza del rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili (v. Cass. n. 7599 del 2020);
d. Il giudizio di comparazione tra la situazione attuale, in cui il ricorrente risulta inserito in Italia, e la situazione in cui si ritroverebbe ove rimandato nel paese di provenienza, necessario al fine di apprezzare l’esistenza o meno della condizione di vulnerabilità del ricorrente, deve essere compiuto considerando globalmente e unitariamente i singoli elementi fattuali accertati e non in maniera atomistica e frammentata (Cass. n. 7599 del 2020);
e. In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018, richiamata sul punto, quanto alla necessità di compiere il giudizio di comparazione secondo i criteri ivi indicati, da Cass. S.U. n. 29459 del 2019).
15. In accoglimento del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Venezia affinché rinnovi il giudizio sul diritto del ricorrente alla protezione umanitaria, operando la necessaria valutazione comparativa, e provveda anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 13 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021