Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.31802 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32901/2019 proposto da:

O.R., rappresentato e difeso dall’avv.to CESARE DELL’OCA, ed elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria Centrale della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE INTERNAZIONALE;

– resistenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO n. 7654/2019 depositato il 26/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/05/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

RILEVATO

che:

1. O.R., proveniente dalla Nigeria, ricorre affidandosi a sei motivi per la cassazione del decreto del Tribunale di Milano che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, in ragione del diniego a lui opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere stato costretto a lasciare il proprio paese in quanto era fuggito per le pressioni ed aggressioni fisiche subite dalla setta degli ***** che voleva costringerlo a prendere il posto del nonno nella gestione del tempio ancestrale, in quanto nipote primogenito maschio. Egli aveva rifiutato in quanto era di fede cristiana e, contemporaneamente, aveva iniziato a subire gli abusi sessuali da parte della madre che aveva minacciato di cacciarlo di casa se non avesse assecondato le sue richieste incestuose, fino a quando entrambi erano stati scoperti da un parente.

1.2. Nel timore di essere ucciso era, dunque, scappato affrontando un lungo viaggio con transito in Libia.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonché l’omessa motivazione o motivazione apparente in relazione ai motivi che lo avevano indotto alla fuga.

1.1. Lamenta, altresì, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 46, par. 3 della Direttiva 2013/32, dell’art. 35 bis, in relazione al combinato disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

2. Con il secondo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 25 in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c).

3. Entrambi i motivi, riguardanti la credibilità del racconto e la valutazione, asseritamente incompleta dei fatti narrati, sono strettamente interconnessi e devono essere congiuntamente esaminati. 3.1. Il primo motivo è fondato.

3.2. Il Tribunale, dopo aver riportato fra le ragioni della fuga anche la denunciata costrizione a rapporti incestuosi con la madre, omette di esaminare la rilevanza di tale circostanza, incentrando la propria valutazione sul continuo mutamento della versione raccontata (cfr. pag. 5 ultimo cpv.) e partendo dal presupposto che l’assenza di critica sulla valutazione della credibilità del racconto induceva a ritenere che la statuizione della Commissione Territoriale sul punto non fosse stata “impugnata” (cfr. pag. 5 penultimo cpv.): si afferma, infatti, che mentre nel modello scritto (modulo C3) erano stati indicati a sostegno dell’allontanamento dal paese di origine “motivi politici”, solo in sede di audizione erano state addotte le ragioni familiari ed i motivi religiosi legati alla setta degli *****.

3.3. Tuttavia, in tal modo, il Tribunale:

a. ha errato laddove ha ritenuto, nel percorso motivazionale, che il ricorso presentato costituisse una impugnazione del provvedimento alla quale il ricorrente aveva rinunciato, dovendosi precisare, al riguardo, che la fase giurisdizionale è del tutto autonoma da quella amministrativa, attenendo alla tutela di diritti fondamentali per la quale è ordinariamente previsto l’intervento dell’autorità giudiziaria che è tenuta ad un completo riesame della domanda dinanzi a se proposta previa qualificazione di essa in relazione ai fatti dedotti;

b. non ha esaminato un fatto di centrale rilievo nel racconto, idoneo a configurare, una valida ragione, di per se decisiva, da porre a sostegno della richiesta di protezione quanto meno in termini di vulnerabilità, e cioè l’incesto forzato con la madre.

3.4. Il mancato esame configura, dunque, il vizio dedotto che ridonda insanabilmente sulla valutazione della credibilità dei fatti narrati, in quanto la vicenda raccontata non è stata esaminata in modo completo ed in osservanza del paradigma interpretativo predicato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5: deve, pertanto, ritenersi parzialmente fondato anche il secondo motivo il quale, tuttavia, per la parte in cui denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, è inammissibile in quanto la censura prospettata si risolve in una non consentita critica della motivazione. Con essa, infatti, si denuncia l’omesso adempimento del dovere di cooperazione istruttoria in relazione alla vicenda riguardante il culto degli ***** per la quale esiste, nel decreto impugnato, un congruo richiamo alle fonti informative aggiornate (cfr. pag. 6 u. cpv del decreto) alle quali nulla viene contrapposto dal ricorrente in termini di decisività (cfr. 7105/2021).

4. Con il terzo motivo, il ricorrente reitera la censura in punto di violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione allo status di rifugiato.

5. Con il quarto motivo, i medesimi argomenti vengono prospettati in relazione alla protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

5.1. Entrambe le censure rimangono assorbite dall’accoglimento del primo motivo, in punto di credibilità.

6. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione del DLgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): lamenta l’omesso dovere di cooperazione istruttoria e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti.

6.1. La censura è inammissibile per le stesse argomentazioni già spese in relazione al secondo motivo: si osserva, al riguardo, che il decreto richiama, sulla specifica questione, fonti informative attendibili ed aggiornate dalle quali emerge l’insussistenza di un conflitto armato nel paese di origine ed, in particolare, vista l’estensione della Nigeria, nel Delta State.

7. Con il sesto motivo, infine, il ricorrente deduce la violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, artt. 5,6, e 19 TUI e D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28.

Lamenta una insufficiente valutazione della vulnerabilità e l’omesso esame della rilevanza dell’integrazione nell’ambito del giudizio comparativo.

7.1. Il motivo è assorbito in quanto la valutazione della vulnerabilità, nel caso di specie, trova origine anche nei fatti non valutati ed oggetto del primo motivo e da ciò deriva una non adeguata articolazione del giudizio di comparazione.

8. In conclusione, il decreto deve essere cassato in relazione al primo e secondo motivo di ricorso limitatamente alla violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, con assorbimento del terzo, quarto e sesto e dichiarazione di inammissibilità del secondo, per la restante parte, e del quinto.

9. Il giudizio deve pertanto essere rinviato dinanzi al Tribunale di Milano in diversa composizione per il riesame della controversia alla luce del seguente principio di diritto:

“In tema di valutazione della credibilità del richiedente asilo, costituisce errore di diritto, come tale censurabile anche in sede di legittimità, la valutazione delle dichiarazioni che si sostanzi nella capillare e frazionata ricerca delle singole, eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione, volta che il procedimento di protezione internazionale è caratterizzato, per sua natura, da una sostanziale mancanza di contraddittorio (stante la sistematica assenza dell’organo ministeriale), con conseguente impredicabilità della diversa funzione – caratteristica del processo civile ordinario – di analitico e perspicuo bilanciamento tra posizioni e tesi contrapposte intra pares: al riguardo, è di fondamentale rilevo l’esame fatti “decisivi” del racconto del migrante, dovendosi configurare come tali tutti quelli che hanno caratterizzato la sua vulnerabilità, la quale deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio”.

10. Il Tribunale dovrà altresì provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte;

accoglie il primo motivo di ricorso e parzialmente il secondo, dichiara inammissibili il secondo, per la restante parte, ed il quinto ed assorbiti il terzo, il quarto ed il sesto.

Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Milano in diversa composizione per il riesame della controversia e per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 21 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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