Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31813 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3017/2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (CF *****), in persona del Direttore p.t., rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

B.G.B., (CF *****), rapp.to e difeso per procura a margine del ricorso dall’avv. Silvia Obino, elettivamente domiciliato in Cagliari alla via Garibaldi n. 203;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 380/01/14 depositata in data 11 novembre 2014 della Commissione Tributaria Regionale della Sardegna;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

RILEVATO

che:

La Commissione tributaria regionale della Sardegna, con sentenza n. 380/01/14 depositata in data 11 novembre 2014, accoglieva l’appello proposto da B.G. avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Cagliari ne aveva respinto il ricorso avverso l’avviso di accertamento, relativo all’anno 2004, in relazione ad un reddito derivante dal conseguimento di una plusvalenza, realizzata in relazione alla cessione a titolo oneroso di una quota di un terreno edificabile.

Osservava la CTR che il ricorrente si era attenuto alle disposizioni di cui alla L. n. 448 del 2001, art. 7 facendo redigere una perizia giurata e conseguentemente pagando la prescritta imposta del 4%.

La pretesa dell’Agenzia, che aveva ritenuto il contribuente decaduto dal beneficio correlato al pagamento dell’imposta sostitutiva, sul rilievo che nel contratto di vendita era stato indicato un corrispettivo inferiore a quello determinato in sede di perizia, era infondata, in quanto la norma non prevede alcuna inefficacia qualora il prezzo di vendita sia inferiore al valore della perizia.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Ufficio mediante un unico motivo. Il contribuente resiste mediante controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

1. L’unico motivo articolato dall’Ufficio lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 67 e 68 Tuir e della L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 7 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), non avendo fornito, il contribuente, alcuna prova circa le ragioni per le quali ha ritenuto di cedere il bene ad un prezzo inferiore rispetto a quello accertato nella perizia, per cui legittimamente l’Ufficio ha accertato l’omessa dichiarazione delle plusvalenze, determinate, in mancanza di ulteriori elementi, ai sensi degli artt. 67 e 68 Tuir.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. La questione è stata recentemente affrontata e risolta da Sez. U n. 2321 del 2020 secondo cui “In tema di plusvalenze di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. a) e b), per i terreni edificabili e con destinazione agricola, l’indicazione, nell’atto di vendita dell’immobile, di un corrispettivo inferiore rispetto al valore del cespite in precedenza rideterminato dal contribuente sulla base della perizia giurata a norma della L. n. 448 del 2001, art. 7 non determina la decadenza del contribuente dal beneficio correlato al pregresso versamento dell’imposta sostitutiva, né la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di accertare la plusvalenza secondo il valore storico del bene”.

1.3. Con tale arresto, le Sezioni Unite hanno chiarito che se, da un lato, la determinazione peritale non comporta alcuna limitazione al potere di rettifica dell’Ufficio (e, quindi, alla possibilità per l’Ufficio di accertare che il valore del bene sia diverso da quello determinato dalla perizia giurata), dall’altro tale affermazione non può spiegare alcun rilievo rispetto alla diversa questione qui in esame, nella quale non si discute dell’incongruità del valore indicato in perizia, ma della decadenza (o meno) dal beneficio agevolativo in caso di indicazione, nell’atto di compravendita, di un valore inferiore a quello risultante dalla perizia.

1.4. Relativamente a tale ipotesi, le Sezioni Unite hanno condivisibilmente disatteso la posizione, preferita invece da un minoritario indirizzo, secondo cui “dovrebbe ravvisarsi, a carico del contribuente, un onere di allegazione, nell’atto di compravendita, del valore normale minimo di riferimento risultante dalla perizia ed una decadenza in caso di determinazione del corrispettivo inferiore rispetto a detto valore”.

1.5. Tanto più che anche recentemente questa Corte, in continuità con l’indirizzo appena esposto, ha sostenuto la prevalenza del meccanismo agevolativo (e non di decadenza) per il contribuente, anche laddove la scelta del contribuente di rideterminare il valore del bene attraverso una perizia giurata di stima e di versare l’imposta sostitutiva D.Lgs. n. 448 del 2001, ex art. 7 sia avvenuta successivamente al rogito (Cass. n. 15924 del 2021).

1.6. Nel caso in esame, come si desume chiaramente dalla parte introduttiva del ricorso, l’Ufficio, per il solo fatto che nel contratto era stato pattuito un prezzo inferiore a quello indicato nella perizia, ha ritenuto di poter calcolare la plusvalenza nei modi ordinari, sulla base della differenza tra il corrispettivo percepito per la cessione ed il prezzo di acquisto del bene ceduto, secondo i criteri generali di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 68.

1.7. Così operando, tuttavia, l’Ufficio ha erroneamente ritenuto il contribuente decaduto, rispetto all’opzione prescelta, sol perché era stato indicato nell’atto un corrispettivo inferiore a quello accertato dalla perizia e dunque, correttamente, la CTR ha ritenuto che l’indicazione di un prezzo inferiore a quello periziato non giustificasse la rettifica della plusvalenza sulla base del valore storico del bene.

1.8. Per altro, il diverso tema sul quale l’Ufficio insiste nella memoria, e cioè che resterebbe sempre salvo il generale potere accertativo dell’Amministrazione nell’ipotesi in cui vengano riscontrati elementi idonei a far ritenere non corretta la dichiarazione, introduce un profilo che resta estraneo al perimetro del motivo di ricorso, incentrato essenzialmente sulla verifica della correttezza dell’affermazione della CTR circa la perdurante efficacia della rivalutazione, operata ai sensi della L. n. 448 del 2001, art. 7 anche qualora il corrispettivo della vendita sia inferiore al valore della perizia. Sotto tale specifico aspetto, dunque, la sentenza impugnata appare immune da ogni censura.

2. Le considerazioni che precedono impongono, dunque, il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

3. Non ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater per il raddoppio del versamento del contributo unificato, in quanto l’obbligo non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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