Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.31831 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12385/2015 proposto da:

ICCREA Bancalmpresa S.p.a., nuova denominazione di Banca Agrileasing S.p.a. – Banca per il Leasing delle Banche di Credito Cooperativo S.p.a., in persona del procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Aureliana n. 2, presso lo studio dell’avvocato Petraglia Antonio U., che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

Fallimento della ***** S.r.l., in persona del curatore Dott. B.G., elettivamente domiciliato in Roma, Viale della Piramide Cestia n. 31, presso lo studio dell’avvocato Mari Leonilda, rappresentato e difeso dall’avvocato Cassi Giampiero, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto del TRIBUNALE di FIRENZE, del 27/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/06/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

che:

ICCREA Banca impresa SPA propose opposizione allo stato passivo del Fallimento ***** SRL (dichiarato con sentenza del 16/11/2011) dinanzi al Tribunale di Firenze, contestando la mancata ammissione al passivo del credito pari ad Euro 121.979,24, vantato in ragione di quattro contratti di leasing, aventi ad oggetto veicoli industriali, per i quali il debitore si era reso inadempiente al pagamento dei canoni di locazione maturati e scaduti, tanto che l’opponente – in data antecedente al fallimento – aveva risolto i contratti ex art. 19 delle condizioni generali di contratto, ottenendo la restituzione dei beni e, sulla base della medesima clausola, aveva calcolato il residuo richiesto in sede di insinuazione al passivo.

Il Tribunale, dopo avere qualificato i contratti in esame come leasing traslativo, ha escluso l’applicabilità del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 72 quater (di seguito, anche, L. Fall.) ed ha affermato che andava seguita la disciplina della vendita con riserva di proprietà ex art. 1526 c.c., secondo la quale l’utilizzatore resosi inadempiente, una volta restituito il bene, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse e il concedente a sua volta ha diritto ad un equo compenso per l’uso del bene oggetto del contratto, che costituisce la remunerazione del godimento del bene medesimo e del deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo e al logoramento per l’uso, oltre al risarcimento del danno.

Il Tribunale, espletata la CTU in base ai criteri anzidetti, ha escluso che fosse dovuto il risarcimento del danno in quanto non oggetto di specifica domanda, ha accertato che residuava un debito a carico dell’opponente nei confronti dell’opposto di Euro 261.247,20 ed ha, pertanto, rigettato l’opposizione, con soccombenza sulle spese.

La società ha proposto ricorso per cassazione con tre mezzi, corredati da memoria. Il Fallimento ha replicato con controricorso e ricorso incidentale condizionato con due mezzi, seguito da memoria.

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1458 e 1526 c.c. e della L. Fall., art. 72 quater.

La ricorrente si duole che il Tribunale abbia qualificato i contratti in esame come leasing traslativo, con l’effetto di disconoscere la disciplina convenzionale pattizia contenuta nell’art. 19 delle c.g.c., senza tenere conto del fatto che la differenza tra leasing traslativo e leasing di godimento doveva ritenersi superata in ragione dell’evoluzione giurisprudenziale conseguita all’introduzione Della L. Fall., art. 72 quater.

Sostiene, quindi, che la disciplina pattizia in merito alle conseguenze della risoluzione contrattuale anticipata, dettata nell’art. 19 della c.g.a., risultava ispirata ad equità, prevedendo pacificamente che i canoni versati sino alla risoluzione del contratto rimanevano acquisiti alla concedente e che l’utilizzatore era tenuto a versare tutto quanto maturato, scaduto e rimasto insoluto sino alla data della risoluzione contrattuale, nonché il capitale residuo attualizzato al netto di quanto ricavato dalla ricollocazione del bene sul mercato, riproducendo sostanzialmente lo schema della L. Fall., art. 72 quater, anche ove ritenuto non direttamente applicabile.

1.2. Come si evince dagli atti, il contratto in discussione, qualificato come leasing traslativo dal Tribunale, venne concluso e risolto per inadempimento in epoca anteriore al fallimento, dichiarato il 16/11/2011, e, quindi, anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 124 del 2017, che non può trovare pertanto applicazione.

1.3. Il primo motivo, cha invoca l’applicazione della L. Fall., art. 72 quater, assumendo il superamento della distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento, è infondato, alla luce del recente arresto delle Sezioni Unite, secondo il quale “In tema di leasing finanziario, la disciplina di cui alla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138, si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c. e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente la L. Fall., art. 72 quater” (Cass. Sez. U. n. 2061/2021), principio che va applicato al caso in esame, concernente un contratto qualificato come leasing traslativo, risolto prima del fallimento.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1458,1526 c.c. e L. Fall., art. 72 quater, nonché della Convenzione di Ottawa sul leasing finanziario internazionale 28/5/1988, recepita con L. 14 luglio 1993, n. 259.

La ricorrente sostiene che, anche qualificando i contratti in esame come leasing traslativo e ritenendo applicabile l’art. 1526 c.c., la domanda di ammissione al passivo avrebbe dovuto essere accolta perché la norma codicistica è derogabile dalle parti ed è stata ritenuta legittima dalla giurisprudenza l’eventuale pattuizione con cui l’utilizzatore sia contrattualmente tenuto a versare anche i canoni scaduti e rimasti insoluti sino alla risoluzione del contratto ed eventualmente le rate a scadere al netto di quanto ricavato dalla ricollocazione del bene sul mercato. Anche in questa circostanza, l’unica previsione normativa assolutamente inderogabile sarebbe quella relativa alla riducibilità dell’indennità da parte del giudice e, pertanto, la previsione contrattuale andava ritenuta legittima.

2.2. Con il terzo motivo si denuncia la nullità del decreto o del procedimento.

La ricorrente si duole dei criteri con cui sono stati individuati gli elementi di calcolo per verificare la sussistenza del credito vantato da essa opponente. Segnatamente, si duole della determinazione delle voci per “equo indennizzo, deprezzamento e logoramento per l’uso, deterioramento anormale mancato guadagno, risarcimento del danno, tassi usurari”.

La ricorrente sostiene che il provvedimento, anche a ritenere applicabile l’art. 1526 c.c., presenta forti lacune in termini motivazionali sotto il profilo dell’assenza di motivazione e/o inidoneità ed illogicità. In particolare, lamenta che, per la determinazione dell’equo indennizzo, si assiste ad una dicotomia tra la motivazione, che fa riferimento agli interessi corrispettivi, e la determinazione finale del giudice che fa proprie le risultanze della CTU, la quale invece giunge alì importo di Euro 149.173,89, applicando l’interesse legale e non quello corrispettivo.

Circa poi le voci “deprezzamento e logoramento per l’uso e deterioramento anormale mancato guadagno” il giudicante, nonostante le circostanziate critiche svolte dall’opponente, si sarebbe passivamente limitato a richiamare le risultanze della CTU.

Infine, sostiene che la motivazione del diniego del risarcimento del danno – per mancanza della domanda – sarebbe del tutto illogica perché la domanda era confluita nella richiesta di applicazione della previsione risarcitoria pattizia; la ricorrente fa notare che per le stesse ragioni neanche l’equo compenso (pure riconosciuto) era stato richiesto.

2.3. i motivi secondo e terzo, da trattare congiuntamente per connessione, vanno accolti.

2.4. Con la recente sentenza n. 2061 del 28/1/2021, le Sezioni Unite hanno affermato che:

– per i contratti di leasing traslativo, non soggetti, ratione temporis, alla regolamentazione della L. n. 124 del 2017, resta valida la soluzione adottata dal diritto vivente di individuare, per analogia legis, nella disposizione dell’art. 1526 c.c., la disciplina della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, essendo comunque sorretta da una ratio giustificativa rispondente all’esigenza di dare equilibrato assetto alle posizioni delle parti di un contratto atipico, forgiato da una risalente prassi commerciale e al quale il formante giurisprudenziale – di cui si dà ampio conto nella anzidetta sentenza ha fornito stabilità, pur valorizzando la causa in concreto di finanziamento, propria di questi contratti e l’interesse del concedente ad ottenere, nel caso di risoluzione contrattuale per inadempimento dell’utilizzatore, l’integrale restituzione della somma erogata a titolo di finanziamento, con gli interessi, il rimborso delle spese e gli utili dell’operazione, piuttosto che la restituzione del bene, che normalmente non rientrava fra i beni di sua proprietà alla data della conclusione del contratto, né costituiva oggetto della sua attività commerciale;

– l’equo compenso, ai sensi dell’art. 1526 c.c., comma 1, comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso, ma non include il risarcimento del danno spettante al concedente, che, pertanto, deve trovare specifica considerazione e, secondo la sua ordinaria configurazione di danno emergente e di lucro cessante (art. 1223 c.c., che impone che il danno patrimoniale sia integralmente ristorato, in applicazione del principio di indifferenza), tale da porre il concedente medesimo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto;

– il risarcimento del danno del concedente può, però, essere oggetto di determinazione anticipata attraverso una clausola penale ai sensi dell’art. 1382 c.c. e in questo senso si e’, del resto, dispiegata l’autonomia privata utilizzando anche modelli standardizzati: in tale contesto, quindi, si è fatta applicazione dell’art. 1526 c.c., comma 2 e del principio, già contemplato dall’art. 1384 c.c., di cui la prima disposizione è un portato specifico, della riduzione equitativa, ad opera del giudice, anche d’ufficio, della penale che, sebbene comunque lecita, si palesi manifestamente eccessiva, così da ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela e riequilibrando, quindi, la posizione delle parti, avendo pur sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento integrale.

Conclusivamente le SS UU hanno affermato che “In base alla disciplina dettata dall’art. 1526 c.c., in caso di fallimento dell’utilizzatore, il concedente che aspiri a diventare creditore concorrente ha l’onere di formulare una completa domanda di insinuazione al passivo, L. Fall., ex art. 93, in seno alla quale, invocando ai fini del risarcimento del danno l’applicazione dell’eventuale clausola penale stipulata in suo favore, dovrà offrire al giudice delegato la possibilità di apprezzare se detta penale sia equa ovvero manifestamente eccessiva, a tal riguardo avendo l’onere di indicare la somma esattamente ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto di leasing, ovvero, in mancanza, di allegare alla sua domanda una stima attendibile del valore di mercato del bene medesimo al momento del deposito della stessa.” (Cass. Sez. U. n. 2061 del 28/1/2021).

2.5. Orbene, la decisione impugnata, ha correttamente ricondotto la fattispecie in esame nell’alveo di applicazione dell’art. 1526 c.c.; tuttavia la sintetica motivazione, per molti versi assertiva, non dà adeguato conto dell’apprezzamento della – pur ammissibile disciplina pattizia in merito agli effetti della risoluzione del contratto ed al risarcimento del danno e non illustra le ragioni per cui il Tribunale, in presenza della clausola penale (art. 19 delle c.g.c.), abbia escluso che sia stata proposta la domanda risarcitoria e non abbia tenuto conto del suo contenuto.

Invero, la clausola pattizia, che poteva essere legittimamente prevista, andava considerata in toto, anche per l’eventuale applicazione d’ufficio dell’art. 1384 c.c., ove manifestamente eccessiva, mentre il decreto si limita a richiamare la clausola n. 19 solo in relazione alla voce “deterioramento anormale e mancato guadagno”, senza nemmeno precisare in che termini ne sia stata fatta applicazione.

Va aggiunto che le molteplici contestazioni, mosse dalla ricorrente alla CTU, non sono state affrontate congruamente dal Tribunale che ha risposto in parte in maniera assertiva, e, per altro verso, le ha ignorate e il sintetico decreto in esame non consente di ripercorrere l’iter decisionale logico/giuridico.

2.6. Entrambi i motivi vanno pertanto accolti, con rinvio al Tribunale per il riesame in applicazione dei criteri espressi.

3.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato si denuncia la violazione della L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, artt. 153 e 112 c.p.c., nonché dell’art. 2704 c.c..

Il ricorrente incidentale sostiene che ICCREA avrebbe dovuto depositare la documentazione contrattuale – comprensiva delle c.g.c. ove erano contenuti gli artt. 8, 11 e 19 concernenti gli interessi di mora e la penale dovuta dall’utilizzatore – completa e munita di data certa, unitamente al ricorso, a pena di decadenza, ma non lo aveva fatto e la produzione tardiva non poteva essere autorizzata dal giudice delegato alla trattazione.

Il ricorrente si duole che il Tribunale abbia omesso di pronunciarsi su questa eccezione tempestivamente formulata dalla Curatela.

3.2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale il fallimento denuncia la violazione dell’art. 2704 c.c., assumendo che la mancanza di data certa nei documenti prodotti da ICCREA a fondamento della domanda proposta nei confronti della Curatela (terza) era fatto impeditivo all’accoglimento della pretesa creditoria.

3.3. I due motivi, da trattare congiuntamente per connessione, vanno respinti.

Invero il decreto risulta errato, come rettamente assume la ricorrente, laddove il Tribunale ha respinto l’eccezione di tardività della produzione documentale da parte della società utilizzatrice ed ha affermato che l’opponente aveva sempre diritto ad integrare ulteriormente e tramite fonti di prova diverse da quelle prodotte in sede di ammissione, la propria opposizione (fol. 3).

E pur tuttavia, nonostante ciò, il Tribunale è pervenuto, all’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame perché, nel caso di specie, l’eccezione ex art. 2704 c.c., è stata avanzata dal Fallimento per la prima volta in sede di opposizione e la creditrice aveva diritto a un termine per provare la data certa (cosa che ha fatto producendo i contratti registrati); se anche l’eccezione fosse stata rilevata d’ufficio- trattandosi di questione mista di fatto e di diritto- il giudice avrebbe dovuto sottoporla alla parte e darle un termine per la produzione: in questi sensi la motivazione va corretta perché, in tali evenienze, il giudizio di legittimità – in ragione della funzione nomofilattica, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., comma 2 – va comunque definito, previa correzione ex art. 384 c.p.c., della motivazione assunta nel decreto impugnato, con la reiezione del ricorso interessato da tale dinamica processuale (Cass. n. 29880 del 18/11/2019; cfr. Cass. n. 28663 del 27/12/2013).

4. In conclusione, vanno accolti i motivi secondo e terzo del ricorso principale, infondato il primo, ed il ricorso incidentale va rigettato; il decreto impugnato va cassato nei limiti dell’accoglimento, con rinvio al Tribunale di Firenze in diversa composizione per il riesame e la statuizione sulle spese anche del presente grado.

Va dato atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

– Accoglie i motivi secondo e terzo del ricorso, infondato il primo, e rigetta il ricorso incidentale; cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Firenze in diversa composizione anche per le spese;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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