Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.31840 del 04/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VANNUCCI Marco – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13472/2015 r.g. proposto da:

Fallimento ***** s.r.l., (cod. fisc. *****), in persona del curatore fallimentare pro tempore Avv. A.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Sebastiano Fratarcangeli, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Monte Santo n. 10/A, presso lo studio dell’Avvocato Alessandro Orsini.

– ricorrente –

contro

Unicredit Credit Management Bank s.p.a., quale mandataria della Unicredit Leasing s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Tommaso Spinelli Giordano, con il quale elettivamente domicilia in Roma, alla Via Leonida Bissolati n. 76, presso lo studio del difensore.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2277/2014, depositata il 4 aprile 2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23 settembre 2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

Che:

1. Con citazione notificata il 19 maggio 2004 il Fallimento ***** s.r.l. convenne in giudizio la Leasing Roma s.p.a. (oggi Unicredit Leasing s.p.a.) per sentirla condannare alla ripetizione dell’indebito pari ad Euro 91.056,33, quale somma versata nel corso dello svolgimento dei contratti di leasing aventi ad oggetto autocarri, restituiti alla società concedente a seguito dello scioglimento dei rapporti.

2. Il Fallimento espose che – dopo la stipula con la predetta società di due contratti di leasing aventi ad oggetto autocarri (con prezzo di opzione concordato rispettivamente in Euro 688,51 e Euro 718,15, a fronte di un valore di Euro 68.850,94 e di Euro 71.815,40, per ciascun automezzo) e dopo il fallimento della società utilizzatrice intervenuto in data 28 giugno 2002 – aveva provveduto allo scioglimento dei contratti e alla restituzione dei beni alla concedente e che, in ragione della natura traslativa dei contratti in questione, la società concedente avrebbe dovuto restituire l’ammontare dei canoni versati nel corso del rapporto.

3. Il Tribunale di Frosinone, con la sentenza n. 209/2008 del 1 marzo 2008, in accoglimento della domanda formulata dal fallimento, condannò la Leasing Roma s.p.a. (nelle more incorporata nella MCC, successivamente scissa nella Locat s.p.a., oggi Unicredit Leasing s.p.a.), al pagamento della somma di Euro 91.056,33, oltre Iva ed interessi legali.

4. Per la riforma di tale sentenza interpose appello la MCC Medio Credito Centrale s.p.a. e la Corte di appello di Roma, in accoglimento dell’appello, rigettò la domanda restitutoria del fallimento.

La sentenza in questione: afferma che la vexata questio – che aveva determinato l’elaborazione giurisprudenziale sulla differenziazione della figura del leasing traslativo da quello di godimento – deve ritenersi definitivamente risolta dal legislatore con l’introduzione della L. Fall., art. 72-quater, quantomeno in ambito concorsuale, con disposizione che tuttavia deve considerarsi avere ricadute interpretative di carattere più generale; osserva che la disposizione normativa da ultimo ricordata, pur avendo valenza precettiva soltanto per l’avvenire, viene comunque ad avere incidenza interpretativa anche in relazione alle fattispecie pregresse nei confronti delle quali si assisteva ad un vuoto normativo che era stato colmato dalla giurisprudenza tradizionale attraverso il ricorso all’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c., con la conseguenza che, secondo l’espressa volontà del legislatore, occorreva disattendere l’applicazione della disciplina della vendita con riserva di proprietà anche al leasing la cui causa era quella invece prettamente finanziaria; evidenzia che, in tale differente contesto interpretativo, peraltro più aderente al principio dell’autonomia negoziale, non poteva considerarsi affetta da nullità la clausola contrattuale con la quale il locatario, in caso di risoluzione del contratto dopo la consegna del bene, si obbligava a corrispondere al concedente le somme non pagate sino al momento della risoluzione, con conseguente insussistenza del diritto alla ripetizione, fatto comunque salvo il diritto del locatario – che abbia restituito il bene – ad esigere il corrispettivo della vendita ovvero di altra collocazione del bene a prezzi di mercato operata dal concedente.

5. La sentenza, pubblicata il 4 aprile 2014, è impugnata dal Fallimento ***** a.r.l. con ri9corso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui Unicredit Credit Management Bank s.p.a., in qualità di mandataria della Unicredit Leasing s.p.a., resiste con controricorso, recante anche ricorso incidentale condizionato.

Ciascuna parte ha anche depositato memoria.

CONSIDERATO

Che:

1. Con l’unico motivo la curatela ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 72-quater e art. 1526 c.c., ritenendo erronea la decisione impugnata per l’applicazione a caso di specie precedente all’introduzione del citato art. 72-quater della disciplina da tale disposizione recata e dovendosi, invece, applicare il diverso disposto normativo di cui all’art. 1526 c.c., con consequenziale diritto dell’utilizzatore alla restituzione dei canoni versati al concedente.

2. Il ricorso è fondato.

2.1 Sul punto, è necessario ricordare il recentissimo intervento nomofilattico espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto contenuto nella sentenza n. 2061 del 28 gennaio 2021, secondo cui, in tema di leasing finanziario: la disciplina di cui alla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c. e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente la L. Fall., art. 72-quater.

2.2 E’ stato così superato un precedente orientamento interpretativo, inaugurato da Cass. n. 8980 del 2019, che predicava proprio l’applicazione analogica della disciplina dettata dalla L. Fall., art. 72-quater, in caso di scioglimento di contratto di leasing ad opera del curatore nell’ambito di procedura fallimentare, siccome assunta in guisa di principio generale proprio alla luce, retrospettiva, della novella legislativa del 2017 e in forza del comune denominatore, tra le due fattispecie, rappresentato dall’attribuzione al concedente del diritto alla restituzione del bene concesso in godimento e all’utilizzatore o alla curatela del ricavato della vendita o di altra allocazione del bene medesimo, detratto l’ammontare del credito residuo (nella portata specificamente stabilita per ciascuna fattispecie interessata). In particolare, le Sezioni Unite, con l’arresto sopra ricordato, hanno avuto modo di precisare, in motivazione, che:

rappresenta “jus receptum (tra le altre, Cass., 9 febbraio 2016, n. 2538, Cass., 13 febbraio 2017, n. 3750, Cass., 7 settembre 2017, n. 20890, Cass., 15 settembre 2017, n. 21476, Cass., 12 giugno 2018, n. 15202, Cass., 18 giugno 2018, n. 15975, Cass., 17 aprile 2019, n. 10733, Cass., 24 gennaio 2020, n. 1581) che la L. Fall., art. 72-quater, introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006 – sebbene quanto agli effetti da essa regolati ha superato la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, assumendo a proprio fondamento una disciplina unitaria del leasing improntata alla causa del contratto di finanziamento – è norma, di natura eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale, presupponendo lo scioglimento, per volontà del curatore e quale conseguenza del fallimento, del contratto ancora pendente a quel momento. Sicché, la norma fallimentare mantiene salda la distinzione strutturale esistente tra la nozione di risoluzione contrattuale e quella di scioglimento del contratto, quale facoltà riconosciuta ad una pluralità di rapporti pendenti tra il contraente ed il fallito, tra i quali, per l’appunto, anche il leasing, che rientra nel novero dei contratti che – al momento dell’apertura del concorso – restano sospesi secondo la regola generale di cui alla L. Fall., art. 72, comma 1”.

inoltre, “il “diritto vivente” ha escluso – in assenza di una eadem ratio e di simili elementi, strutturali e/o funzionali, rilevanti – che la disciplina dettata dalla L. Fall., art. 72-quater, potesse trovare applicazione analogica in caso di contratto di leasing finanziario risolto, per inadempimento dell’utilizzatore, prima del fallimento di quest’ultimo, avendo invece rinvenuto la disposizione idonea a colmare la lacuna ordinamentale, in coerenza con i criteri di cui all’art. 12 preleggi, in quella generale codicistica dell’art. 1526 c.c., in ipotesi di leasing traslativo. Ma tale giuridica configurazione della L. Fall., art. 72-quater, non ha subito una trasmutazione con l’avvento della disciplina di cui alla L. n. 124 del 2017, art. 1, comma 136-140, la quale, anzi, al citato comma 140 ha stabilito che “(r)estano ferme le previsioni di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 72-quater (…)”, con ciò ribadendo la specialità della norma fallimentare e la sua portata circoscritta all’ambito di specifica pertinenza”.

Sulla base dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte – e qui ribaditi anche per espresso obbligo di legge – la censura svolta dalla curatela ricorrente è meritevole di accoglimento.

La sentenza di appello è dunque da cassare con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, dovrà pronunciarsi sull’appello conformandosi ai principi di diritto qui ribaditi.

3. Il ricorso incidentale condizionato è invece inammissibile.

3.1 Giova infatti ricordare che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di giudizio di cassazione è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorché – come nella specie proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito, bensì si riferisca a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione; salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza (in questo senso, cfr.: Cass. n. 22095 del 2017; Cass., n. 11270 del 2020).

4. La pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità è rimessa al giudice di rinvio.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis (cfr. Cass. S. U., n. 23535 del 2019).

PQM

accoglie il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021

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