LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18624/2016 R.G. proposto da:
Progress s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Roberto Fiore e Stefano Martone, con domicilio eletto nello studio del primo, sito in Roma, via Giovanni Nicotera, 29;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
Equitalia Sud s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore – intimato avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 504/16, depositata il 1 febbraio 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 gennaio 2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.
RILEVATO
CHE:
– la Progress s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 9 maggio 2013, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il suo ricorso per l’annullamento della cartella di pagamento emessa, ai sensi D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 bis, a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione resa per l’anno 2007;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che l’atto impositivo muoveva sia dal mancato versamento di imposte, sia dal riconoscimento di un credito di imposta, maturato nell’anno precedente e riportato nella dichiarazione in esame, per un importo inferiore rispetto a quello dichiarato dalla contribuente, in ragione del fatto che tale inferiore importo era stato indicato nella dichiarazione precedentemente resa;
– il giudice di appello ha disatteso il gravame della contribuente evidenziando, da un lato, l’insussistenza degli eccepiti vizi formali attinenti alla motivazione e sottoscrizione dell’atto impugnato, e, dall’altro, che nella dichiarazione resa nell’anno precedente era effettivamente indicato un credito in misura inferiore rispetto a quella indicata nella dichiarazione in oggetto;
– il ricorso è affidato a tre motivi;
– resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;
– la Equitalia Sud s.p.a. non spiega alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
CHE:
– con il primo motivo di ricorso la Progress s.r.l. denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa pronuncia sul motivo di gravame concernente la nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato;
– allega, in proposito, che aveva denunciato, sin dal ricorso introduttivo, l’illegittimità del ricorso alla procedura automatizzato di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, trattandosi del disconoscimento di in credito di imposta e non di un omesso versamento del tributo;
– il motivo è inammissibile;
– la parte omette di riprodurre, quanto meno per le parti salienti, il contenuto dell’atto di appello, necessario, in assenza di utili indicazioni ricavabili dalla sentenza, al fine di verificare che la questione sottoposta con il motivo di impugnazione non sia “nuovo” e di valutare la rilevanza e la fondatezza del motivo stesso senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (cfr. Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781; in tal senso, successivamente, Cass. 20 agosto 2015, n. 17049);
– in tal modo non ha assolto all’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e ha, dunque, violato il principio di specificità ivi contemplato, non offrendo gli elementi indispensabili per consentire di effettuare un giudizio positivo in ordine all’ammissibilità e alla fondatezza della questione prospettata;
– in ogni caso, il mancato esame da parte del giudice di questioni puramente processuali non è suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte (cfr. Cass. 11 ottobre 2018, n. 25154; Cass. 12 gennaio 2016, n. 321);
– con il secondo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 240, art. 3, commi 1 e 3, e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, per aver il giudice di appello ritenuto che, in presenza di una cartella emessa (anche) a seguito del disconoscimento di un credito di imposta, l’atto impugnato non dovesse essere assistito da uno specifico apparato motivazionale;
– il motivo è infondato;
– in tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (cfr. Cass., ord., 20 settembre 2017, n. 21804; Cass., ord., 7 giugno 2017, n. 14236; Cass. 11 maggio 2017, n. 11612);
– pertanto, correttamente la Commissione regionale ha ritenuto adeguata la motivazione della cartella emessa, in sede di controllo automatizzato, all’esito del disconoscimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, della quota del credito indicato dalla contribuente mediante il richiamo della dichiarazione resa;
– con l’ultimo motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo della controversia, in relazione alla mancata valutazione della documentazione dalla medesima prodotta in giudizio, relativa al diverso giudizio di impugnazione della cartella di pagamento emessa per l’anno 2006, dalla quale emergeva che l’importo del credito nella misura inferiore ritenuta dall’Ufficio non era stato indicato dalla contribuente nella relativa dichiarazione annuale, ma era conseguenza della riliquidazione automatica operata dall’Ufficio medesimo;
– il motivo è inammissibile;
– infatti, qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere di trascrivere il testo integrale o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività (cfr. Cass. 21 maggio 2019, n. 13625; Cass. 25 agosto 2006, n. 18506);
– la parte non ha assolto ad un siffatto obbligo;
– in ogni caso, si osserva che la censura si risolve in una critica della valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Commissione regionale, la quale ha accertato che la dichiarazione presentata dalla contribuente per l’anno di imposta precedente a quello in esame recava un credito di importo pari a quello ritenuto dall’Ufficio e, dunque, inferiore a quello affermato dalla contribuente;
– una siffatta censura non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);
– orbene, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico controverso (nel caso in esame, il contenuto della dichiarazione resa dalla contribuente per il periodo di imposta precedente rispetto a quello in esame), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., ord., 29 ottobre 2018, n. 27415);
– pertanto, per le suesposte considerazioni il ricorso non può essere accolto;
– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 22 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021