Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31859 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10735/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

G.C. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Roberto Pignatone, con domicilio eletto in Roma, via dei Monti Parioli, n. 48, presso lo studio dell’Avv. Ulisse Corea;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, n. 4468/25/15 depositata il 27 ottobre 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 febbraio 2021 dal Consigliere Maria Elena Mele.

RITENUTO

che:

L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale siciliana la quale, nell’accogliere l’appello proposto dalla società G.C. spa avverso la sentenza di prime cure, ha ritenuto che l’Amministrazione fosse decaduta dal potere di recuperare il credito di imposta dedotto in compensazione dalla contribuente, dovendo escludersi l’applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16 che aveva previsto la proroga ad otto anni del termine di notifica degli atti di recupero dei crediti d’imposta.

La società contribuente si è costituita mediante controricorso.

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo di gravame l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16 conv. in L. n. 2 del 2009, nonché della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421 e della L. n. 388 del 2000, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La ricorrente sostiene che la sentenza impugnata avrebbe interpretato illegittimamente l’art. 27, comma 16 cit. ritenendo che la proroga del termine, previsto a pena di decadenza, per la notifica degli avvisi di recupero dei crediti di imposta previsti dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421, fosse applicabile solo ai crediti “inesistenti” e non anche ai crediti “indebitamente utilizzati”, tra i quali rientrerebbe quello vantato dalla contribuente. La distinzione tra tali due tipologie di crediti ai fini della individuazione del termine di decadenza dal potere accertativo sarebbe priva di fondamento, ed anzi contrasterebbe con la L. n. 388 del 2000, art. 8 istitutiva dei crediti di imposta.

Il motivo è fondato.

La L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421, prevede che “per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, art. 17 l’Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dal citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60”. Il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16, conv. in L. n. 2 del 2009 stabilisce che “l’atto di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.

La sentenza impugnata ha affermato che crediti “non spettanti” e crediti “inesistenti” costituirebbero categorie diverse e che la proroga del termine di notifica degli avvisi di recupero dei crediti d’imposta, previsti dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 421 fosse applicabile solo in caso di crediti inesistenti.

Tale conclusione si pone in contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte, secondo la quale la distinzione basata sulla diversa definizione terminologica del credito d’imposta, oltre a non avere base normativa, si appalesa inconsistente dal momento che quando stabilisce il termine di otto anni per l’atto di recupero dei crediti “inesistenti”, l’art. 27, comma 16, cit. non intende elevare la “inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza”, trattandosi di distinzione priva di fondamento logico-giuridico. Piuttosto, la proroga ad otto anni del termine per il recupero dell’imposta è volta a consentire all’ufficio di compiere gli accertamenti, talvolta complessi, riguardanti la natura dell’investimento che ha generato il credito di imposta. Dunque, ogniqualvolta il credito derivante dall’investimento previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 8 non sussiste, per ciò solo deve ritenersi inesistente nel senso precisato dalla norma (v. Cass., Sez. 5, n. 24093 del 2020; Sez. 5, n. 19237 del 2017; Sez. 5, n. 10112 del 2017).

Pertanto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla CTR della Sicilia in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia alla CTR della Sicilia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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