LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 17784/2014 proposto da:
L.G., (CF *****), rapp.ta e difesa per procura a margine del ricorso dall’avv. Luigi Ferrajoli, elettivamente domiciliato in Roma presso A-I Avvocati Associati in Italia, con sede in Roma alla via del Tritone n. 102;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (CF *****), in persona del Direttore p.t., rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 191/14 depositata in data 13 gennaio 2014 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2021 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.
RILEVATO
che:
Con sentenza n. 191/14 depositata il 13 gennaio 2014, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio e rigettava il ricorso introduttivo proposto da L.G. avverso due avvisi che accertavano, per gli anni di imposta 2007 e 2008, redditi maggiori di quelli dichiarati dalla contribuente.
Osservava la CTR che, incontestato il possesso da parte di quest’ultima dei beni-indice di capacità contributiva, la sentenza appellata aveva ignorato la circostanza che, nella determinazione sintetica del reddito, l’Ufficio aveva già considerato e computato le fonti reddituali documentate dalla parte, quantificando l’apporto del marito e del fratello, nonché i canoni di locazione percepiti per l’affitto del terreno.
Quanto alla valenza probatoria del redditometro, doveva essere ribadito il principio che la disponibilità di beni-indice, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 integra una presunzione di maggior reddito legale ai sensi dell’art. 2728 c.c., imponendo la legge di ritenere che al fatto certo della disponibilità di un bene debba conseguire la correlata capacità contributiva, sicché il giudice tributario, accertata l’effettività fattuale degli specifici indici esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la loro valenza probatoria, potendo solo valutare la prova che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale.
Avverso tale sentenza L.G. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso. La contribuente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Il primo motivo rappresenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4, 5 e 6, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo la sentenza errato nella parte in cui ha annoverato la valenza probatoria del redditometro tra le presunzioni di natura legale, escludendo che l’Ufficio fosse tenuto a dimostrare, con elementi di prova ulteriori rispetto alla disponibilità dei beni-indice, la reale capacità contributiva del ricorrente.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. Come condivisibilmente statuito da questa Corte in numerose occasioni, “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione del cosiddetto “redditometro” dispensa l’Amministrazione Finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti – indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal redditometro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere, e pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore” (Cass. n. 10350 del 2003, n. 19403 del 2005, n. 1646 del 2008, n. 25694 del 2009; da ultimo n. 27811 del 2018).
1.3. La CTR, osservando che la disponibilità di beni costituenti indice di capacità contributiva, ai sensi dell’art. 38 cit., integra una presunzione di maggior reddito di natura legale, e che è la legge stessa che impone di ritenere che al fatto certo della disponibilità del bene-indice debba conseguire la sussistenza di una correlata capacità contributiva, ha dunque fatto corretta applicazione del principio secondo il quale la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, restando a carico del contribuente l’onere di dimostrare che il reddito ricavato dagli indici di spesa non esisteva o esisteva in misura inferiore.
2. Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo la CTR trascurato che la norma richiamata consente al contribuente di dimostrare non solo che il reddito accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta, ma anche che il reddito presunto sulla base del coefficiente non esiste o esiste in misura inferiore.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. Pur essendo corretta l’affermazione di principio, secondo cui resta a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza dei fattori-indice, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore, la doglianza appare formulata in maniera del tutto generica, non risultando nemmeno allegato che, in concreto, la CTR abbia violato tale principio, trascurando gli elementi di prova offerti dal contribuente.
2.3. E se è vero è che la CTR ha affermato che il giudice tributario “può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale”, trascurando solo in apparenza di dare corpo all’ulteriore consentita dimostrazione, è anche vero che il contribuente nemmeno allega che in concreto il reddito presunto non esisteva o esisteva in misura inferiore.
2.4. Nell’articolare il motivo in esame, poi, il contribuente insiste sul fatto che la sentenza emessa dai giudici di primo grado, poi riformata dai giudici di appello, aveva a suo dire giustamente valorizzato la prova contraria offerta dal contribuente, ma in tal modo finisce per sollecitare, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, un’inammissibile rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito.
3. Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso. Le spese della fase di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso. Pone le spese della fase di legittimità a carico del ricorrente, liquidandole in Euro 4.100, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, previsto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021