LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2466/2013 R.G. proposto da:
S.M., rappresentato e difeso dagli avv.ti Gregorio Troilo e Stefano Pellegrini, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma alla via dei Gracchi n. 29/B;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa, ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza, dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, in via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– resistente –
avverso la sentenza n. 118/35/12 della Commissione tributaria regionale del Lazio, pronunciata in data 30 maggio 2012, depositata in data 4 giugno 2012 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 marzo 2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.
RILEVATO
CHE:
S.M. ricorre con due motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n.118/32/12 della Commissione tributaria regionale del Lazio, pronunciata in data 30 maggio 2012, depositata in data 4 giugno 2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiore Irpef ed addizionali relative all’anno di imposta 2005, oltre interessi e sanzioni;
al contribuente S.M. venivano notificati avvisi di accertamento per gli anni 2004 e 2005, preceduti da regolare contraddittorio ed adottati dall’Agenzia delle entrate mediante determinazione di maggior reddito con utilizzo del metodo “sintetico” di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4;
per quanto ancora di interesse, il contribuente eccepiva di essere coltivatore diretto e, quindi, di dichiarare redditi agrari legalmente determinati in applicazione degli estimi ex artt. 27 ss. T.u.i.r., che esprimevano un valore convenzionale inferiore alla sua reale capacità reddituale;
secondo il contribuente, il reddito effettivamente prodotto era stato individuato dallo stesso ufficio in Euro 441.643,05 – erroneamente considerato mero “disinvestimento” – ed era, quindi, ampiamente sufficiente a giustificare gli incrementi patrimoniali per Euro 316.003,00 rilevati, nonché tale da escludere lo scostamento del 25% dal reddito accertato per almeno due periodi d’imposta previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, per procedere ad accertamento sintetico;
la C.t.p. di Roma, con sentenza n. 64/2/11, rigettava il ricorso del contribuente e la decisione veniva confermata in appello;
con la sentenza impugnata, la C.t.r. del Lazio riteneva che l’ufficio potesse determinare induttivamente il reddito, basandosi su elementi rappresentativi della capacità contributiva, allorché il reddito dichiarato risultava in palese contrasto con tali elementi per due o più periodi fiscali;
i giudici di appello rilevavano che sulla legittimità dell’accertamento sintetico si era ormai formato un orientamento consolidato da parte sia della Cassazione, sia della Corte Costituzionale, secondo il quale, con l’introduzione del cosiddetto redditometro previsto dal citato art. 38, comma 4, l’amministrazione finanziaria poteva legittimamente procedere alla determinazione induttiva del reddito sulla base dei parametri;
quanto al merito della controversia, la C.t.r riteneva che l’avviso di accertamento risultava circostanziato nella “descrizione minuziosa degli elementi di valutazione posti alla base del calcolo del maggior reddito desumibile”, quali ” i rilevanti beni, nonché gli incrementi patrimoniali e disinvestimenti ” che avevano portato al ricalcolo del reddito complessivo netto desumibile, che, secondo il giudice di appello, era “risultato in evidente contraddizione con quanto dichiarato, ritenuto pertanto ictu oculi del tutto inattendibile “;
la C.t.r. sosteneva che l’ufficio aveva sicuramente tenuto conto del reddito agrario conseguito e del suo sistema di determinazione, ma aveva ritenuto che un reddito così esiguo non fosse affatto compatibile con una desumibile capacità contributiva ben più rilevante, mentre il contribuente non aveva fornito la prova contraria, limitandosi a considerazioni generiche ed astratte;
a seguito del ricorso, l’Agenzia si costituisce ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio 10 marzo 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;
il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
secondo il ricorrente, alla luce della giurisprudenza di legittimità e della Corte Costituzionale, ampiamente citata in ricorso, tenuto anche conto delle istruzioni operative emanate dalla stessa prassi ministeriale (in particolare, la Circ. n. 49/E del 09 agosto 2007, che raccomanda di utilizzare il volume d’affari IVA quale reddito agrario “effettivo” onde verificare la sussistenza delle condizioni di esperibilità dell’accertamento sintetico), ai fini dell’accertamento sintetico deve essere considerato il reddito “effettivo” prodotto dal contribuente e non quello “convenzionale” dichiarato ai fini IRPEF;
nel caso di specie, la C.t.r. aveva, invece, considerato il solo reddito dichiarato, determinato, quale reddito dominicale ed agrario, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 25 e 31 sulla base degli estimi catastali, ritenendolo insufficiente a giustificare le spese per incrementi patrimoniali e con uno scostamento del 25% rispetto al reddito accertato;
il ricorrente deduce di aver conseguito per l’anno 2005, a fronte di incrementi patrimoniali per Euro 316.003,00, un reddito effettivo di Euro 441.643.,05, cifra indicata dallo stesso ufficio nell’avviso di accertamento, ma erroneamente catalogata come disinvestimento;
pertanto, secondo il ricorrente, nel caso di specie, non si sarebbe verificata la duplice condizione di legge per procedere ad accertamento sintetico nei suoi confronti, stante che: 1) non sussisteva lo scostamento del 25% tra reddito dichiarato, rectius “effettivo”, e reddito accertato; 2) il predetto scostamento non si era verificato per due anni di imposta (2004 e 2005, unici anni oggetto di accertamento);
con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
sostiene il ricorrente che l’ufficio aveva stimato in Euro 441.643,05 il reddito “effettivo” ritratto dallo sfruttamento agricolo del fondo, superiore all’incremento patrimoniale accertato per il 2005 pari ad Euro 316.003,00;
rileva, inoltre, che il reddito effettivo risultava dall’analisi del conto economico a sezioni contrapposte e dei registri IVA forniti dal contribuente in sede di verifica, come descritto dall’accertamento impugnato;
infine il contribuente afferma di aver prodotto in giudizio documentazione idonea a verificare l’entità del reddito agrario effettivamente conseguito (dichiarazione IVA – con il volume d’affari di Euro 454.746,00 di cui al Rigo VE40, Quadri VE-VF del medesimo Mod. Unico 2006 in doc. 5 al ric. intr. – quella IRAP – con il valore della produzione IRAP di Euro 442.099,00 di cui ai Righi IQ46 e IQ47, Quadro IQ, Mod. Unico 2006 redditi 2005 in doc. 6 al ric. intr.), dimostrando che la sua attività di coltivazione del fondo produceva redditi in esubero rispetto a quelli di cui alla pretesa impositiva;
pertanto il ricorrente ritiene che, a differenza di quanto sostenuto nella sentenza impugnata, il quadro probatorio complessivo era assolutamente completo e del tutto idoneo a consentire al giudice di merito l’indagine a questo demandata, di guisa che rappresentava violazione dell’art. 115 c.p.c. il comportamento del Giudice che, in aperta violazione dei principi “dispositivo” e “di acquisizione processuale”, aveva sostenuto l’assenza di prove laddove queste, viceversa, erano state ritualmente prodotte ed erano assolutamente idonee a giustificare sia i presunti incrementi patrimoniali, sia il reddito sintetico accertato;
i motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati e vanno accolti;
il contribuente, titolare di reddito agrario, a fronte dell’accertamento dell’ufficio, può sempre dimostrare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, che il maggior reddito determinato sinteticamente deriva dallo sfruttamento del fondo e che non è pertanto tassabile;
invero, costituisce principio consolidato di questa Corte (Cass. 7505/2003; Cass. 6952/2006; Cass. 10385/2009; Cass. 9313/2010) quello secondo il quale, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, l’Amministrazione delle finanze “può legittimamente procedere con metodo sintetico alla rettifica della dichiarazione dei redditi di un coltivatore diretto, comprensiva soltanto del reddito agrario e dominicale determinati in base agli estimi catastali – del fondo da lui condotto, quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata dal contribuente… si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l’imponibile complessivo, incombendo, in tal caso, a norma dell’art. 38, comma 6, al contribuente l’onere di dedurre e provare che i redditi effettivi frutto della sua attività agricola sono sufficienti a giustificare il suo tenore di vita, ovvero che egli possiede altre fonti di reddito non tassabili, o separatamente tassate” (cfr. Cass. n. 19557 del 2014, in motivazione);
nel caso di specie, la C.t.r., nell’affermare che il reddito dichiarato era molto esiguo e per niente compatibile con la capacità contributiva ben più rilevante, considera il solo reddito dichiarato, determinato, quale reddito dominicale ed agrario, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 25 e 31 sulla base degli estimi catastali;
il giudice di appello, invece, avrebbe dovuto esaminare analiticamente le produzioni documentali di parte ricorrente, al fine di verificare se il contribuente avesse fornito la prova contraria di cui era onerato;
in particolare, nel caso di specie, il giudice non poteva esimersi dall’esaminare il reddito “effettivo”, che il contribuente assume di aver documentato, e dal verificare se questo fosse comprensivo soltanto del reddito agrario e dominicale derivante dallo sfruttamento del fondo e determinato in base agli estimi catastali;
per completezza, deve rilevarsi che le argomentazioni contenute nella memoria vertono sul merito della controversia e devono essere oggetto di esame da parte del giudice di rinvio, nei limiti delle censure contenute in ricorso;
in conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.t.r. del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021