LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15820/2014 R.G. proposto da:
P.C.V., rappresentata e difesa dagli avv.ti Andrea Pucci e Marco Stefano Marzano, presso cui è elettivamente domiciliata in Roma alla via Ildebrando Goiran n. 4;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa, ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza, dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, in via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;
– resistente –
avverso la sentenza n.173/38/13 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, pronunciata in data 10 dicembre 2013, depositata in data 12 dicembre 2013 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 marzo 2021 dal consigliere Andreina Giudicepietro.
RILEVATO
CHE:
P.C.V. ricorre con due articolati motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n.173/38/13 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, pronunciata in data 10 dicembre 2013, depositata in data 12 dicembre 2013 e non notificata, che ha rigettato l’appello della contribuente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiore Irpef ed addizionali relative agli anni di imposta 2005, 2006, 2007, oltre interessi e sanzioni;
a seguito del ricorso, l’Agenzia si costituisce ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio 10 marzo 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
CHE:
con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 e art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5;
con il secondo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5;
con riferimento alla notifica dell’avviso di accertamento, nella sentenza impugnata si legge che “non sussiste alcuna violazione del D.P.R n. 600 del 1973, art. 60, poiché l’appellante non produce alcuna documentazione probante l’inesistenza delle notifiche degli avvisi di accertamento opposti, ma si limita a semplici affermazioni prive di supporto documentale”;
secondo la ricorrente, nella specie non era necessario produrre nessuna documentazione probante l’inesistenza delle notifiche, atteso che lo stesso Ufficio, nelle proprie controdeduzioni in risposta al ricorso di primo grado, aveva dichiarato di aver inviato gli atti impugnati all’indirizzo di residenza estera della contribuente e che, non essendo andata a buon fine la notifica – in quanto gli atti erano stati restituiti al mittente -, aveva provveduto a notificarli presso l’ultimo domicilio in Italia (dove erano stati notificati anche i questionari), dove venivano consegnati al nonno materno;
la ricorrente sostiene, quindi, che la forma e il metodo seguiti per la notifica dall’Ufficio erano da ritenersi fatti acquisiti e non contestati;
secondo la ricorrente, nel caso di specie sarebbe evidente che l’ufficio non ha tenuto conto che, in tema di notificazioni degli avvisi e degli atti concernenti l’imposizione diretta, dopo l’entrata in vigore del D.L. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con modificazioni nella L. 22 maggio 2010, n. 73, sono state indicate in maniera chiara le fonti cui gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate devono attingere al fine di verificare il luogo estero di residenza del contribuente;
tra queste emergerebbe chiaramente anche l’anagrafe degli Italiani residenti all’estero, alla quale la ricorrente risulta iscritta dal 4 dicembre 2010, in epoca anteriore alle notifiche dei provvedimenti di accertamento;
il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 dispone, in caso di notifica da eseguirsi al contribuente non residente, in alternativa alla procedura contemplata dall’art. 142 c.p.c., che le notifiche siano eseguite mediante spedizione di raccomandata con ricevuta di ritorno all’indirizzo di residenza risultante dall’AIRE, se il contribuente è una persona fisica, o presso la sede legale della società estera risultante dal Registro delle Imprese, se trattasi di società;
se tali informazioni non sono reperibili, la spedizione potrà avvenire presso l’indirizzo indicato nella domanda di attribuzione del codice fiscale e, qualora negli indirizzi sopra citati la notifica abbia avuto esito negativo, è possibile utilizzare la procedura prevista per i c.d. soggetti irreperibili, prevista dall’art. 140 c.p.c., con il deposito dell’atto presso la casa comunale di residenza;
nel caso in esame, invece, l’ufficio non ha seguito questa procedura, in quanto, non essendo andata a buon fine la notifica presso l’indirizzo di residenza estera, aveva notificato gli avvisi di accertamento, presso l’ultimo domicilio in Italia, dove venivano ritirati dal nonno della ricorrente;
inoltre i questionari erano stati direttamente inviati a tale indirizzo, senza consultare le risultanze dell’AIRE;
ritiene, quindi, la ricorrente che l’inesistenza della notifica degli avvisi avrebbe comportato l’impossibilità di ritenerli sanati ai sensi dell’art. 156 c.p.c. per raggiungimento dello scopo;
sotto altro profilo, la contribuente deduce che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nella violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in quanto essa era realmente residente all’estero e si trovava nell’impossibilità di fornire la documentazione in suo possesso;
pertanto, non avrebbe perso la possibilità di produrre la documentazione in giudizio, non avendo tenuto un comportamento diretto a sottrarsi alla prova, e, dunque, capace di far dubitare della genuinità dei documenti prodotti soltanto nel corso del giudizio di primo grado;
anzi la contribuente, che all’epoca delle spese contestate era studentessa, si era attivata, per quanto possibile e nonostante la genericità della richiesta dell’amministrazione, per fornire la documentazione probante la donazione indiretta, da parte della madre, dell’immobile e dell’autovettura, il cui acquisto, secondo l’ufficio, avrebbe costituito indice di capacità contributiva;
tale documentazione, consistente in quattro assegni circolari della madre direttamente intestati ai venditori dell’immobile e due assegni bancari della madre in favore della società concessionaria venditrice dell’autovettura, era stata fornita in maniera completa nel giudizio di primo grado, ma i giudici di merito non la avevano ritenuta ammissibile;
infine, con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e l’omesso esame della documentazione;
nella sentenza impugnata, i giudici di appello hanno rilevato che “in primo grado di giudizio la ricorrente ha versato in causa documentazione che non dimostra la fonte reddituale o patrimoniale sua propria, da cui deriva il possesso di disponibilità per l’acquisizione dei beni, che l’Ufficio ha considerato legittimamente, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, commi 4 e 5, quali presupposti di merito a fondamento degli avvisi di accertamento…”;
secondo la ricorrente, ai sensi dell’art. 38 citato, la dimostrazione della sussistenza di fatti escludenti la fondatezza dell’accertamento sintetico può essere fornita con la prova che il finanziamento sia avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla base imponibile;
la ricorrente richiama, quindi, la giurisprudenza di legittimità che ha riconosciuto la possibilità, per il contribuente, di difendersi attestando la provenienza della provvista da parte di familiari o di soggetti terzi (Cass. n. 7707/2013, in fattispecie analoga);
il primo motivo è in parte fondato, con conseguente assorbimento del secondo;
invero, la doglianza relativa al vizio del procedimento di notifica dell’avviso di accertamento, per quanto riportato in ricorso, sembra superabile con la considerazione che, comunque, l’impugnazione tempestiva dell’atto impositivo, contenente contestazioni nel merito della pretesa tributaria, ha avuto efficacia sanante ai sensi dell’art. 156 c.p.c.;
in primo luogo deve rilevarsi l’evoluzione, in generale, in senso restrittivo, del concetto di inesistenza della notifica, come affermato, in tema di notificazione del ricorso per cassazione, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 14916/2016, secondo cui l’inesistenza “e’ configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità”;
inoltre, la sanatoria dell’eventuale vizio di nullità della notifica, per raggiungimento dello scopo, riguardo anche ad un atto sostanziale e non processuale, come l’avviso di accertamento, costituisce un approdo consolidato della giurisprudenza di questa Corte, sin dalla sentenza delle Sezioni Unite, 5 ottobre 2004, n. 19854, che ha affermato che “la natura sostanziale e non processuale (né assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento tributario – che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le ragioni della pretesa tributaria – non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione, per l’avviso di accertamento, in virtù del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60 delle norme sulle notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo avvenga prima della scadenza del termine di decadenza – previsto dalle singole leggi d’imposta – per l’esercizio del potere di accertamento”;
in particolare, in tema di notifica dell’avviso di accertamento, è stato detto che l’invalidità della notifica “e’ sanata per raggiungimento dello scopo, ove detto vizio non abbia pregiudicato il diritto di difesa del contribuente, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui il medesimo, in sede di ricorso giurisdizionale contro l’atto, ne abbia diffusamente contestato il contenuto” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11043 del 09/05/2018);
né può parlarsi di invalidità dell’atto per l’inesistenza insanabile della notifica, in quanto “la notificazione dell’atto impositivo non è un requisito di validità, ma solo una condizione integrativa dell’efficacia dello stesso, sicché l’inesistenza della notifica non determina in via automatica anche quella dell’atto, se di questo il contribuente ha avuto piena conoscenza entro i termini decadenziali di legge” (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2203 del 30/01/2018);
nel caso di specie è circostanza pacifica che la contribuente abbia impugnato l’avviso di accertamento tempestivamente con ricorso, contestandone il contenuto e deducendo le sue difese nel merito;
da ciò consegue l’effetto sanante dell’eventuale nullità della notifica;
invece, appare fondata la doglianza relativa all’utilizzabilità della documentazione attestante la donazione indiretta dei beni (un immobile ed un’autovettura), il cui acquisto è a fondamento dell’accertamento sintetico del reddito;
questa Corte ha avuto modo di affermare che, in tema di accertamento fiscale, l’invito dell’Amministrazione finanziaria, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, a fornire dati e notizie, assolve alla chiara funzione di assicurare un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per definire le rispettive posizioni, mirando anche ad evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, per cui l’eventuale omissione è sanzionata con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti in quella sede;
tale inutilizzabilità consegue in modo automatico all’inottemperanza all’invito, potendo il contribuente beneficiare di una deroga solo se ricorrono le condizioni di cui all’art. 32, comma 5, ossia depositando in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri non trasmessi, dichiarando contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste dell’Ufficio per causa a lui non imputabile (fra le altre Cass. 16106/2018);
e’ altresì vero che questa Corte, sia pur con riferimento alla disciplina di accessi, ispezioni e verifiche, ha anche precisato che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, cui rinvia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, si giustifica per la violazione dell’obbligo di leale collaborazione con il Fisco (Cass. 26/05/2014, n. 11765) ed ha carattere eccezionale, dovendo essere interpretata alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto di difesa del contribuente e da non obbligare lo stesso a pagamenti non dovuti (Cass. 01/08/2019, n. 20731);
pertanto, è stato puntualizzato che l’omessa esibizione, da parte del contribuente, dei documenti in sede amministrativa determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, solo in presenza dello specifico presupposto, la cui prova incombe sull’Amministrazione, costituito dall’invito specifico e puntuale all’esibizione, accompagnato dall’avvertimento circa le conseguenze della sua mancata ottemperanza (Cass. 27/12/2016, n. 27069; Cass., 21/03/2018, n. 7011; Cass. 21/06/2019, n. 16725), non potendo costituire rifiuto la mancata esibizione di qualcosa che non si è richiesto (Cass. 12/04/2017, n. 9487);
passando all’esame del caso di specie, la contribuente sostiene di aver inviato all’ufficio una dichiarazione, ricevuta in data 15 giugno 2011, in cui rappresentava l’impossibilità di produrre la documentazione richiesta con il questionario, trovandosi negli Stati Uniti d’America;
con il ricorso di primo grado, la contribuente aveva depositato la documentazione (gli assegni emessi dalla madre) da cui risultava che gli acquisti contestati erano stati effettuati con disponibilità finanziarie della madre;
nello stesso ricorso, la contribuente ribadiva di non aver potuto fornire una risposta completa al questionario e di non aver potuto produrre la documentazione giustificativa, in quanto in quel periodo era residente e si trovava all’estero;
pertanto possono ritenersi sussistenti le condizioni di cui all’art. 32, comma 5, ossia il deposito, in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, delle notizie, dei dati e documenti, non trasmessi, con la contestuale dichiarazione del contribuente di non aver potuto adempiere alle richieste dell’Ufficio per causa a lui non imputabile;
di conseguenza, il secondo motivo, sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 in tema di accertamento sintetico e di prova contraria incombente sul contribuente, deve ritenersi assorbito;
in conclusione, il primo motivo di ricorso va parzialmente accolto, assorbito il secondo, e la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie in parte il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, nei sensi di cui in motivazione, e rinvia alla C.t.r. della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021