Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31871 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

C.G., rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale stesa in calce alla memoria da ultimo depositata, e datata 22.2.2021, dall’Avv.to Angelo Flaccavento, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Lucia Gulino, alla via Teulada n. 71 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 201, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, il 13.2.2013, e pubblicata il 6.5.2013;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio.

la Corte osserva:

FATTI DI CAUSA

C.G. riceveva dall’Agenzia delle Entrate, il 3.11.2008, la notifica dell’avviso di accertamento n. RJT010200559/2008 (sent. CTR, p. II), con il quale il suo reddito, dichiarato in Euro 15.448,00, era rettificato in Euro 503.850,00 in relazione all’anno 2004 ed in conseguenza di indagini bancarie.

Il contribuente impugnava l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa e la CTP, accogliendo parzialmente il ricorso, riduceva l’ammontare dei redditi non dichiarati ad Euro 160.098,00.

La decisione della CTP era gravata di appello dal contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, insistendo nella contestazione che l’Agenzia delle Entrate non aveva neppure indicato in quali categorie di proventi avrebbero dovuto ritenersi ricomprese le maggiori somme pretese. La CTR rigettava il ricorso introdotto dal contribuente, così come il ricorso incidentale proposto dall’Ente impositore e, ritenuta corretta “la riduzione del reddito operato dai primi giudici” (sent. CTR, p, IV), confermava la decisione adottata dalla CTP.

Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha proposto ricorso per cassazione C.G., affidandosi ad un motivo di impugnazione. L’Agenzia delle Entrate, che ha ricevuto notifica presso la sede periferica, non si è costituita. Il contribuente ha quindi depositato memoria domandando dichiararsi l’estinzione del giudizio a seguito di adesione alla definizione agevolata di cui al D.L. n. 119 del 2018, come conv. Ragioni della decisione 1.1. – Mediante il suo motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il contribuente lamenta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, art. 38, comma 5, e art. 32, comma 1, lett. b), per avergli l’Agenzia delle Entrate contestato la percezione di un maggior reddito a seguito di indagini bancarie, senza neppure chiarire a quale categoria di reddito intendesse fare riferimento.

Occorre invero rilevare che non sussistono le condizioni perché si proceda all’esame delle lagnanze proposte dal ricorrente mediante il suo motivo di ricorso.

Invero, il contribuente ha documentato di aver aderito alla definizione agevolata delle controversie tributarie di cui al D.L. n. 119 del 2018, art. 3, (c.d. Rottamazione ter), in data 23.4.2019. Inoltre, C.G. ha prodotto attestazione (informale e non sottoscritta) che in relazione alle cartelle di pagamento per cui è causa, nei limiti del debito ritenuto accertato dalla CTP con sent. 347/2/09 del 26.10.2009, confermata dalla CTR, non è più dovuto alcun pagamento. Il contribuente ha pure prodotto copia dei bollettini di versamento delle prime rate.

Invero il contribuente non ha provveduto ad assicurare prova di aver notificato istanza e documentazione allegata alla controparte, l’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 372 c.p.c. e art. 390 c.p.c., u.p.. Difettando, nel caso di specie, dei requisiti prescritti dalle norme su richiamate, l’atto depositato non sarebbe di per sé idoneo a determinare l’estinzione del processo, non essendo il Collegio in condizione di verificare che ogni ragione di contestazione sia rimasta soddisfatta in conseguenza della ricordata adesione alla definizione agevolata ma, essendo inequivocabilmente indicativo del venir meno dell’interesse al ricorso da parte del contribuente, comporta comunque la sopravvenuta inammissibilità dell’impugnazione (cfr. Cass. sez. U, sent. 18.02.2010, n. 3876).

Non deve provvedersi in materia di spese di lite, non avendo svolto difese l’intimata Agenzia delle Entrate.

Il ricorrente non deve essere onerato del pagamento del c.d. “doppio contributo”, in applicazione del principio che questa Corte ha già avuto occasione di chiarire e ribadire, spiegando che “l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, va individuata nella finalità di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose, sicché tale meccanismo sanzionatorio si applica per l’inammissibilità originaria del gravame (nella specie, ricorso per cassazione) ma non per quella sopravvenuta (nella specie, per sopravvenuto difetto di interesse)”, Cass. sez. VI-II, 2.7.2015, n. 13636 (conf. Cass., sez. III, 10.2.2017, n. 3542; Cass. sez. V, 7.12.2018, n. 31732).

La Corte.

P.Q.M.

dichiara l’inammissibilità sopravvenuta per carenza di interesse alla pronuncia, in relazione al ricorso proposto da C.G..

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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