Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.31913 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32126-2019 proposto da:

STANLEY INTERNATIONAL BETTING LTD, elettivamente domiciliata in ROMA, V. CRESCENZIO 69, presso lo studio dell’avvocato ROBERTA FELIZIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato DANIELA AGNELLO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 303/2019 della COMM. TRIB. REG. ABRUZZO SEZ.DIST. di PESCARA, depositata il 26/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/04/2021 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

RILEVATO

che:

– la Stanley International Betting Limited impugnava l’avviso di accertamento in materia di imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse (anni d’imposta dal 2008 al 2012) notificatole dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli quale responsabile in solido con C.R. (titolare della ricevitoria Sport Bet – CTD – che svolgeva attività di raccolta delle scommesse per la società bookmaker);

– la C.T.P. di Pescara accoglieva parzialmente il ricorso annullando l’atto impositivo relativo al 2008 per decadenza dell’Ufficio e le sanzioni comminate per le altre annualità;

– la C.T.R. dell’Abruzzo, con la sentenza n. 303 del 26/3/2019, respingeva l’appello di Stanley International Betting e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite;

– avverso tale decisione la Stanley International Betting Limited propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi;

– resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la quale ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente, l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza va disattesa in quanto – in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte – il Collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 14437 del 5/6/2018, Rv. 649623-01), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 8093 del 23/4/2020).

In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato orientamento, a cui la Corte fornisce il proprio contributo; nel caso de quo, il tema oggetto del giudizio è “nuovo” nella giurisprudenza di questa Corte (che, comunque, ha già reso recentemente numerose statuizioni a riguardo), ma non è inedito, in quanto compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti, da un lato, dalla Corte Costituzionale (con la sentenza n. 27 del 14 febbraio 2018) e, dall’altro, dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (con la sentenza del 26 febbraio 2020, causa C-788/18, Stanleyparma Sas di C.P. & C., Stanleybet Malta Ltd contro Agenzia delle dogane e dei monopoli *****) e i principi affermati risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito, nonché da diverse pronunce di questa stessa Corte.

Così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità, senza che la giurisprudenza penale di questa Corte (richiamata nell’istanza di rimessione alla pubblica udienza) possa incrinare i principi in questione.

Quanto al profilo delle esigenze difensive, va anzitutto nuovamente sottolineato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (in proposito, Corte Cost., Sentenza n. 80 dell’11/3/2011, e Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 26480 del 20/11/2020, Rv. 659507-01).

2. Quasi tutte le censure svolte col ricorso di Stanley International Betting Limited sono state oggetto di precedenti decisioni di questa stessa Sezione (le cui motivazioni sono qui espressamente condivise e richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c.), espressive di un univoco orientamento giurisprudenziale al quale il Collegio intende dare continuità.

Infatti, attraverso plurime pronunce (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 8757 del 30/3/2021; Cass., Sez. 5, Ordinanze nn. 8907-8911 del 31/3/2021; Cass., Sez. 5, Ordinanze nn. 9079-9081 dell’1/4/2021; Cass., Sez. 5, Ordinanze nn. 9144-9153, 9160, 9162, 9168, 9176, 9178, 9182, 9184 del 2/4/2021; Cass., Sez. 5, Ordinanze nn. 9516, 9528-9537 del 12/4/2021; Cass., Sez. 5, Ordinanze nn. 9728-9735 del 14/4/2021; Cass., Sez. 5, Ordinanze nn. 10472 e 10473 del 21/4/2021) questa Corte di legittimità ha così ricostruito il quadro normativo di riferimento:

– sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle “attività di gioco”: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “… debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”;

– il presupposto dell’imposizione non è stato pertanto correlato alla giocata in sé, ma alla prestazione di un servizio, che e’, appunto, il servizio di gioco e, in questo ambito, il prelievo colpisce il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio;

– le ragioni di ordine storico e sistematico suesposte contribuiscono ad esplicare l’odierno assetto normativo, costituito dalle disposizioni del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504 (il cui art. 3 stabilisce che “soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”), della Legge 3 agosto 1998, n. 288 (che, all’art. 1, comma 2, sancisce che l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero), della L. n. 220 del 2010, Legge di stabilità 2011 – (secondo la quale “il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, si interpreta nel senso che l’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato” e “il D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”), del D.M. Economia e Finanze 1 marzo 2006, n. 111 (secondo cui il concessionario è tenuto al pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica), della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), (che individua la base imponibile dell’imposta unica);

– sia la Corte Costituzionale, sia la Corte di Giustizia UE hanno compiutamente esaminato il quadro normativo e la sua compatibilità con la Costituzione e con l’ordinamento dell’Unione Europea;

– in particolare, la Corte Costituzionale – con la sentenza n. 27 del 23 gennaio 2018 -, ha dato atto dell’incertezza interpretativa relativa al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 (riguardante, cioè, l’estensione dell’ambito soggettivo dell’imposta a soggetti operanti al di fuori del sistema concessorio) nel periodo antecedente alla disposizione interpretativa L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, la quale ha univocamente stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte in mancanza di concessione e ha esplicitato l’obbligo, per le ricevitorie operanti per conto di bookmaker privi di concessione, di versamento del tributo (con le relative sanzioni in caso di inottemperanza); la Consulta ha escluso l’irragionevolezza dell’equiparazione, ai fini tributari, tra il “gestore per conto terzi” (cioè, il titolare della ricevitoria) e il “gestore per conto proprio” (cioè, il bookmaker), poiché entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione, posto che il titolare della ricevitoria (seppure non direttamente partecipe del rischio connaturato alla scommessa) assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker stesso;

– già in precedenza questa Corte aveva rilevato la sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che, ai fini tributari, sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente – con riguardo al gioco del lotto, chiarendo che sono due i rapporti obbligatori, l’uno concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e l’altro tra lo scommettitore ed il gestore (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15731 del 27 luglio 2015); anche la giurisprudenza penale (Cass., Sez. 3 pen., Sentenza n. 25439 del 9/7/2020, dep. 9/9/2020) evidenzia la rilevanza del ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite”;

– secondo le statuizioni della Corte Costituzionale, dunque, per la ricevitoria l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione e, per conseguenza, il suo stesso rischio imprenditoriale, e la scelta legislativa di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione non viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato; attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, infatti, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera e tale rivalsa svolge funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poiché redistribuisce tra i coobbligati – bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque realizzato, sia pure in vario modo, il presupposto impositivo – il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione;

– sulla scorta delle predette considerazioni, la Corte Costituzionale – pur rilevando che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in ragione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, quest’ultima disciplina va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), soltanto nella parte in cui essi prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione; in quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010: ne discende che per gli anni d’imposta anteriori al 2011 non soggiacciono all’obbligo tributario le ricevitorie (CTD), ma soltanto i bookmaker, con o senza concessione, in base al combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. a), usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale; al contrario, a partire dal 2011, non può riscontrarsi la medesima ragione d’illegittimità costituzionale (l’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta) né per i rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, né per quelli che, anche se sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima disposizione (difatti, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della L. n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto).

3. Le osservazioni precedentemente riportate costituiscono i profili di fondo sulla cui linea deve concludersi che le ragioni di censura prospettate dalla ricorrente sono inammissibili o infondate.

In particolare:

– è infondato il primo motivo, col quale si deduce – senza nemmeno ricondurre la censura ad uno dei vizi individuati nell’art. 360 c.p.c. – un’erronea lettura, da parte della C.T.R., della sentenza n. 27 del 2018 della Corte Costituzionale; sostiene la ricorrente che la declaratoria di (parziale) illegittimità costituzionale relativa alle ricevitorie e con riferimento agli anni d’imposta anteriori al 2011 ha altresì comportato il venir meno del presupposto dell’imposta in capo a Stanley International Betting, in quanto coobbligato solidale e non già destinatario di un’autonoma obbligazione tributaria risalente al D.Lgs. n. 504 del 1998; violando la L. n. 212 del 2000, art. 7, e la L. n. 241 del 1990, art. 3, il giudice d’appello avrebbe modificato il presupposto soggettivo d’imposta, escludendo la qualifica di “gestore” delle scommesse (e soggetto passivo del tributo) in capo al centro di trasmissione dati per le annualità anteriori al 2011 e, di contro, l’avrebbe riconosciuta in capo al bookmaker per il medesimo periodo.

Difatti, come esposto in precedenza e conformemente a quanto già deciso da questa stessa Sezione, “non può seguirsi la linea difensiva della ricorrente secondo cui l’obbligazione solidale del “bookmaker” privo di concessione, delineata dalla disposizione interpretativa del 2010, sarebbe da qualificarsi quale dipendente, con la conseguenza che, venendo meno la configurabilità della responsabilità principale della ricevitoria, correlativamente verrebbe meno anche quella dipendente del “bookmaker”; si è già evidenziato che la Corte costituzionale, con la menzionata pronuncia, ha chiarito che entrambi i soggetti (la ricevitoria e il “bookmaker”), partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione, sicché entrambi svolgono l’attività gestoria delle scommesse; ed è proprio in tale prospettiva, infatti, che la pronuncia di incostituzionalità della disposizione interpretativa, se da un lato ha inciso sulla parte della stessa in cui ha configurato, per il periodo precedente all’entrata in vigore, la responsabilità della ricevitoria, non ha in alcun modo fatto venire meno la responsabilità del “bookmaker” privo di concessione” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9153 del 2/4/2021); “Non si attaglia quindi al rapporto tra bookmaker e ricevitore lo schema della solidarietà dipendente, che ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo. Entrambi i soggetti, difatti, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo differenti modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione.” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 8757 del 30/3/2021).

– è inammissibile e comunque infondato il secondo motivo, col quale si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, per avere la C.T.R. respinto l’eccezione di nullità dell’atto impositivo, non tradotto, nella copia notificata alla ricorrente, in lingua inglese.

Al di là dei suoi profili di inammissibilità – stante l’inosservanza del principio di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., dato che il ricorso non riporta il contenuto dell’avviso notificato – la censura è manifestamente infondata: infatti, come già ritenuto da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9144 del 2/4/2021, risulta dalla sentenza impugnata che la parte ricorrente – ancorché soggetto non residente privo di stabile organizzazione in Italia (per quanto nulla si dica in atto in ordine alla conoscenza o meno della lingua italiana da parte dei propri amministratori, circostanza che andava quantomeno dedotta dalla contribuente) – ha concretamente svolto le sue articolate e valorose difese nei gradi del merito, contestando la pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato e con ciò dimostrando di avere adeguatamente compreso le ragioni di fatto e di diritto poste alla base dell’atto impugnato, le cui motivazioni sono state prima comprese e poi contestate di fronte ai precedenti giudici.

Del resto, in fattispecie analoga e con principio che trova applicazione anche nel caso de quo, questa Corte ha già statuito che “il vizio dell’atto impositivo emesso in lingua italiana nei confronti di soggetto appartenente alla minoranza linguistica tedesca privo dell’informazione sul diritto di sollevare eccezione di nullità, per la mancata traduzione, ai sensi del D.P.R. n. 574 del 1988, art. 8, è sanato ove il destinatario abbia comunque promosso, in sede amministrativa o giurisdizionale, un procedimento volto alla difesa dei propri diritti” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26407 del 19/10/2018, Rv. 650795-01).

– è in parte inammissibile e in parte infondato il terzo motivo, col quale si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla Legge di Stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b) (L. n. 220 del 2010), per avere il giudice d’appello erroneamente individuato il presupposto soggettivo d’imposta.

La censura è inammissibile nella parte in cui le ragioni di doglianza articolate attengono alla posizione della ricevitoria, dato che nel presente giudizio è oggetto di rilievo soltanto la posizione della società bookmaker; contrariamente agli assunti della ricorrente, poi, deve reputarsi corretto il riconoscimento, in capo alla Stanley International Betting Limited, del presupposto soggettivo per l’applicazione dell’imposta unica, posto che, per le motivazioni già precedentemente esposte, entrambi i soggetti (CTD e bookmaker) partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione, sicché entrambi svolgono l’attività gestoria delle scommesse.

– è infondato il quarto motivo, col quale si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), per avere il giudice d’appello ritenuto sussistente il presupposto territoriale del tributo.

Ai fini della territorialità dell’imposizione non rileva la conclusione del contratto di scommessa, poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascuno scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta, attività che sono (tutte) svolte in Italia (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9153 del 2/4/2021).

e’ infondato il quinto motivo, col quale si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) la nullità della sentenza per minuspetizione (art. 112 c.p.c.) con riferimento alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49 e 56 TFUE e dei principi Eurounitari di parità di trattamento e di non discriminazione, nonché del principio del legittimo affidamento riguardo al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, per non aver la C.T.R. disapplicato le disposizioni interne contrastanti con la disciplina dell’Unione Europea.

La motivazione della sentenza della C.T.R. va integrata (ex art. 384 c.p.c.) rilevando che la Corte di Giustizia UE, con la già citata sentenza del 26 febbraio 2020, causa C-788/18, ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con il ricorso ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti, sicché la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”.

Come diffusamente spiegato da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 8757 del 30/3/2021, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità.

Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “…l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”: la prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale.

Non solo la Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, ma, a seguire la tesi prospettata dalla Stanley International Betting Limited, si giungerebbe addirittura ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione…” (Corte Cost., sentenza n. 27 del 14 febbraio 2018).

Ne’ vi è ostacolo alla libera prestazione di servizi, la quale non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma la Corte di Giustizia ha precisato che “la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”, sicché “rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”.

– è infondato anche il sesto motivo, col quale si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza per minuspetizione (art. 112 c.p.c.) con riferimento alla violazione e/o falsa applicazione della Dir. 2006/112/CE, art. 401, per avere il giudice d’appello mancato di pronunciarsi sulla compatibilità del D.Lgs. n. 504 del 1998 (e dell’imposta unica sulle scommesse) con le disposizioni dell’Unione Europea che vietano di mantenere o introdurre imposte sul volume d’affari diverse dall’IVA, tributo armonizzato.

La censura è destituita di fondamento per le ragioni di seguito esposte ad integrazione (ex art. 384 c.p.c.) della decisione della C.T.R. (nello stesso senso, tra le altre, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9144 del 2/4/2021).

Infatti, il tributo che qui rileva è differente da una imposta sulla cifra di affari per plurime ragioni: riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio delle scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione IVA e applicandosi il tributo all’importo scommesso; è calcolato senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa. Non rilevano quindi i soli fatti consistenti nella proporzionalità, nell’esser riscossa l’imposta a ogni fase e nella sua traslazione in capo al consumatore, evidenziati in ricorso, anche perché (come con evidente contraddizione logica e giuridica si ammette proprio in ricorso per cassazione) proprio la disciplina IVA che cita la ricorrente – il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 2 – proclama esenti dal tributo armonizzato le operazioni in parola con ciò evitando il concorrere di due imposte sul medesimo volume d’affari.

E’ dirimente sul punto la Corte di Giustizia UE che – con la sentenza del 24 ottobre 2013, causa C-440/12, Metropol Spielstatten Unternehmergesellschaft (haftungsbeschrankt) contro Finanzamt Hamburg-Bergedorf, punto 28 – ha statuito ” che in forza dell’art. 401 Dir. IVA “le disposizioni di (tale) direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…)”. La formulazione di tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul volume d’affari” (quest’ultimo riferimento è rivolto a Corte di Giustizia UE, sentenza dell’8 luglio 1986, causa C-73/85, Hans-Dieter e Ute Kerrutt contro Finanzamt Mónchengladbach-Mitte, punto 22).

Sulla scorta della citata decisione del 24 ottobre 2013, dunque, “l’art. 401 Dir. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con la stessa, art. 135, par. 1, lett. i), deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari” e, inoltre, “la Dir. 2006/112, art. 1, par. 2, prima frase, e l’art. 73, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo viene considerato come base imponibile”.

– è infondato il settimo motivo, col quale si deduce (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 12 e 15, degli artt. 91 e 92 c.p.c., perché la C.T.R. ha disposto la liquidazione di compensi (e non delle sole spese vive) in favore dell’Agenzia, rappresentata da un suo funzionario nel secondo grado, e non ha, invece, compensato i costi del giudizio, sussistendone i presupposti.

Rispetto al primo profilo della censura, si rileva che “In tema di contenzioso tributario, all’Amministrazione finanziaria (nella specie, l’Agenzia delle Dogane) assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, comma 2 bis, la liquidazione delle spese che va effettuata applicandosi la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato.” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 24675 del 23/11/2011, Rv. 620612-01; analogamente, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23055 del 17/09/2019, Rv. 655137-01).

Riguardo al secondo aspetto, questa stessa Sezione ha recentemente ribadito che “la compensazione delle spese processuali appartiene alla discrezionalità del giudice di merito, sicché l’omessa compensazione non è censurabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo della carenza di motivazione (Cass., sez. un., 15 luglio 2005, n. 14989; Cass. 26 aprile 2019, n. 11329)” (così Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 9730 del 14/4/2021).

4. In conclusione, il ricorso di Stanley International Betting è respinto. L’incertezza normativa – che ha richiesto l’intervento del legislatore (con norma di interpretazione autentica) e, poi, della Corte Costituzionale e anche della Corte di Giustizia UE – e il formarsi di un univoco orientamento nella giurisprudenza di legittimità solo in epoca successiva alla proposizione del ricorso giustificano la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

5. Stante il rigetto dell’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

compensa le spese dell’intero giudizio;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, qualora dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta sezione Civile, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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