LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9167-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUNIO BAZZONI 3, presso lo studio dell’avvocato DANIELE VAGNOZZI, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO BASILAVECCHIA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1904/2014 della COMM. TRIB. REG. TOSCANA, depositata il 06/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/07/2021 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.
RILEVATO
che:
L’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Pisa – notificò al sig. G.G. avvisi di accertamento, con i quali, in rettifica dei redditi dichiarati rispettivamente per gli anni d’imposta 2002 e 2004, era accertato maggior reddito da lavoro autonomo per Euro 117.450,00 (poi parzialmente ridotto in autotutela ad Euro 78,640,00) a fronte di quello dichiarato di Euro 20.590,00, per l’anno 2002, e di Euro 167,526,00, (poi parzialmente ridotto anch’esso in autotutela ad Euro 93.240,00) a fronte di quello dichiarato di Euro 27333,00 per il 2004, nonché il maggiore imponibile ai fini IVA in relazione al volume di affari, per ciascuna annualità, con la ripresa a tassazione delle maggiori imposte IRPEF, IRAP ed IVA ritenute dovute, oltre sanzioni ed interessi.
L’accertamento seguiva indagine finanziaria e bancaria, autorizzata dalla competente Direzione regionale delle entrate per la Toscana, a sua volta attivata in conseguenza di verifica contabile a carico della società Edil Costruttori S.r.l., di cui il G. era socio.
Proposti dal contribuente distinti ricorsi avverso ciascun atto impositivo, l’adita Commissione tributaria provinciale (CTP) di Pisa riuniti i ricorsi e disattese le eccezioni in ordine ai dedotti vizi di notifica degli atti medesimi ed all’eccepita decadenza dell’Amministrazione finanziaria dall’esercizio del potere di accertamento, accolse nel resto le impugnazioni proposte, annullando entrambi gli accertamenti, ritenendo i redditi accertati non realistici per l’attività di geometra svolta dal contribuente e che, a causa della contemporanea attività accertativa svolta nei confronti della società, della quale il G. era socio, si fosse realizzata una doppia imposizione sui medesimi ricavi.
Avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle entrate propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Toscana, che, con sentenza n. 1904/1/2014, depositata il 6 ottobre 2014, respinse il gravame.
Avverso detta sentenza, non notificata, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso il contribuente, che, in prossimità dell’adunanza fissata in camera di consiglio, ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo l’Amministrazione finanziaria ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata ha annullato l’avviso di accertamento relativo all’annualità d’imposta 2002, ritenendo che l’Agenzia delle entrate fosse decaduta dall’esercizio del potere impositivo, sul presupposto che la proroga biennale del termine, disposta dalla L. 16 dicembre 2002, n. 289, art. 10, fosse stata “annullata” (così, testualmente, la pronuncia della CTR in questa sede impugnata), dalla sentenza Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, resa nella causa C-132/06, ciò comportando che l’avviso di accertamento, notificato il 9 settembre 2009, doveva ritenersi tardivo, atteso che la notifica avrebbe dovuto essere effettuata, per le imposte dirette, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, e, ai fini IVA, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 57, nelle formulazioni applicabili ratione temporis, entro il 31 dicembre 2007.
2. Con il secondo motivo la ricorrente Agenzia delle entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 7, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui, con riferimento all’avviso di accertamento relativo all’anno 2004, la sentenza impugnata, pur avendo accertato l’esistenza dell’autorizzazione da parte della Direzione regionale per la Toscana ad eseguire indagini bancarie sui conti correnti del contribuente, ha ritenuto che la stessa fosse sindacabile da parte del giudice di merito adito sotto il profilo motivazionale.
3. Con il terzo motivo, pur ritenendo che le ulteriori considerazioni svolte nel merito dalla sentenza impugnata fossero rese solo ad abundantiam, per mero “scrupolo difensivo”, la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui, sempre con riferimento all’accertamento riferito all’anno d’imposta 2004, nel paragrafo intitolato “ulteriore motivo”, dovesse intendersi che nelle oscure considerazioni ivi svolte la sentenza impugnata abbia inteso annullare anche le riprese basate su versamenti non giustificati, tenuto conto che la presunzione legale relativa posta dalle norme citate in epigrafe, quanto ai versamenti, trova pacificamente applicazione anche nei confronti dei soggetti non esercenti un’attività d’impresa, avendo la sentenza della Corte Cost. n. 228/2014 dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’inciso, introdotto dalla legge finanziaria per il 2005, che aveva esteso la presunzione di legge ai compensi, ossia alle entrate dei lavoratori autonomi, unicamente per la parte relativa ai prelevamenti.
4. Con il quarto motivo, fermo il dedotto carattere di obiter dicta delle ulteriori considerazioni svolte dalla decisione impugnata concernenti il merito dell’accertamento riferito all’anno 2004, sempre per “mero scrupolo difensivo”, la ricorrente denuncia ancora violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la CTR ha osservato che “l’Ufficio, in ogni modo, doveva tener conto che il c/c era cointestato” (con la congiunta D.C.) “per cui era nella disponibilità per intero di entrambi, con la conseguenza che, in caso di accertamento nei confronti di entrambi contemporaneamente il metodo seguito dall’Ufficio sarebbe illegittimo e non corretto anche contabilmente”.
5. Infine, con il quinto motivo, la ricorrente, sempre denunciando il carattere ultroneo di tale parte della pronuncia, “per mero scrupolo difensivo”, lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la sentenza impugnata ha affermato che “(l’)Ufficio, in ogni modo, doveva motivare l’accertamento addebitandolo al socio ed indicare se la somma di Euro 93.240,00 era comprensivo” (recte comprensiva) “o meno della somma di Euro 33.000,00 già denunciati come redditi da utili societari”, omettendo in tal modo di valutare il fatto che il testo dell’avviso di accertamento esponeva analiticamente quali redditi fossero compresi nel maggior reddito rideterminato.
6. Preliminarmente va esaminata l’eccezione d’inammissibilità, formulata dal controricorrente, del ricorso proposto dalla difesa erariale per l’anno 2002.
6.1. Il contribuente ha osservato al riguardo in proposito che la ricorrente Amministrazione finanziaria si è limitata ad impugnare, con riferimento ai capi di sentenza riguardanti l’accertamento relativo al 2002, una sola ratio decidendi, quella cioè relativa all’intervenuta decadenza dell’Amministrazione dall’esercizio del potere di accertamento, laddove anche per l’accertamento concernente la predetta annualità d’imposta la sentenza impugnata aveva reso ulteriori statuizioni, integranti autonome rationes decidendi, che la stessa ricorrente, per i capi di pronuncia relativi all’anno 2004, aveva invece del pari impugnato.
A ciò conseguiva, secondo il controricorrente, che, avendo per l’anno 2002 la statuizione concernente l’affermato compiersi del termine di decadenza per l’anno 2002 natura di statuizione preliminare di merito, la ricorrente avrebbe dovuto, in ogni caso, per evitare la formazione del giudicato interno sfavorevole all’Amministrazione quanto alla suddetta annualità, impugnare altresì le ulteriori statuizioni, integrando le stesse non obiter dicta, ma rationes decidendi altrettanto idonee a sostenere, da sole, il decisum.
6.2. L’eccezione è infondata.
6.2.1. Se, in via generale, deve ribadirsi quanto questo Corte ha già avuto modo di affermare (cfr., tra le altre, Cass. sez. 1, ord. 11 marzo 2019, n. 6985; Cass. sez. 5, 17 aprile 2015, n. 7838), secondo cui “(i)l giudice, decidendo su una questione che, benché logicamente pregiudiziale sulle altre, attiene al merito della causa (…) a differenza di quanto avviene qualora dichiari l’inammissibilità della domanda o il suo difetto di giurisdizione o competenza, non si priva della “potestas iudicandi” in relazione alle ulteriori questioni di merito, sicché ove si pronunci anche su di esse, le relative decisioni non configurano “obiter dicta”, ma ulteriori “rationes decidendi”, che la parte ha l’interesse e l’onere d’impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il “decisum””, va osservato come, nella fattispecie in esame, detto principio non trovi concreta possibilità di applicazione.
6.2.3. La CTR, infatti, con riferimento all’annualità 2002, dopo aver ritenuto precluso l’accertamento per essere l’Amministrazione incorsa in decadenza (statuizione oggetto d’impugnazione da parte dell’Agenzia delle entrate con il primo motivo di ricorso, che si verrà di qui a poco ad esaminare), ha sì poi reso ulteriori affermazioni nel merito della controversia, ma, in primo luogo, nel pronunciare sul secondo motivo di ricorso in appello incidentale del contribuente, col quale si era dedotta l’inesistenza della notifica per mancanza d’idonea relata, stante l’illeggibilità della firma del notificatore procedente che avrebbe impedito la riconduzione dell’atto all’Ufficio, si è pronunciata in modo favorevole all’Amministrazione, che pertanto, sul punto, non aveva alcun interesse all’impugnazione, interesse che postula, come è noto, la soccombenza. Analoga osservazione deve estendersi alla parte della pronuncia in cui, in modo peraltro del tutto generico ed avulso dal contesto espositivo, si ritengono privi di giustificazione da parte del contribuente taluni versamenti su ciascuno dei due conti correnti esaminati.
6.2.4. Per quanto poi inerente sempre all’accertamento riferito al 2002, la sentenza impugnata si dilunga in ulteriori considerazioni in punto di requisiti dell’autorizzazione, senza che possa ritenersi che, nel discettare delle diverse opinioni elaborate, la pronuncia abbia preso posizione in modo espresso per una tesi piuttosto che per l’altra, sicché deve ritenersi che ogni asserzione resa in proposito resti del tutto apodittica e priva di ogni attitudine alla formazione del giudicato (si veda Cass. SU, 2 dicembre 2016, n. 24646, par. 15, in motivazione).
7. Ciò premesso, venendo all’esame del primo motivo di ricorso, esso è fondato e va accolto.
7.1. Di là dall’improprietà terminologica della decisione impugnata, nella parte in cui fa discendere dalla citata pronuncia della Corte di Giustizia l’effetto di “annullamento” della proroga dei termini per l’accertamento di cui alla citata L. n. 289 del 2002, art. 10, la sentenza impugnata – nel ritenere non applicabile, in accertamento riferito anche all’IVA, la proroga biennale del termine di accertamento di cui alla citata norma, secondo cui “(p)er i contribuenti che non si avvalgono delle disposizioni recate dalla presente L., artt. da 7 a 9, in deroga alle disposizioni della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 3, i termini di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, e successive modificazioni, e al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 633, art. 57, e successive modificazioni, sono prorogati di due anni” – si è posta in contrasto con l’effettivo contenuto della sentenza della Corte di Giustizia in causa C-132/06, come inteso anche dall’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, essendone prevalsa, a partire da Cass. SU 17 febbraio 2010, n. 3676, un’interpretazione restrittiva.
7.2. Si e’, infatti, anche di recente, affermato (cfr. Cass. sez. 5, ord. 5 luglio 2018, n. 17621 ed ivi l’ulteriore giurisprudenza richiamata), con specifico riferimento alla problematica qui in esame, che “(I)a disapplicazione, per contrasto con il diritto unionale, delle disposizioni interne sul condono in relazione all’IVA non incide sulla proroga dei termini per l’accertamento prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 10, proprio per consentire all’Amministrazione di effettuare gli adempimenti imposti dal condono senza pregiudizio per l’esercizio del potere accertativo nelle ipotesi nelle quali, per scelta del contribuente o limitazione normativa, non possa realizzarsi la definizione premiale”.
7.3. Detto indirizzo va ulteriormente in questa sede ribadito, sicché la sentenza impugnata, non avendo fatto corretta applicazione del principio di diritto dinanzi trascritto, va cassata in accoglimento del primo motivo di ricorso.
8. Ad analoga conclusione deve pervenirsi in relazione al secondo motivo di ricorso, col quale l’Amministrazione finanziaria ricorrente, riguardo all’accertamento relativo al 2004, ha censurato la preliminare statuizione della CTR, che, pur avendo confermato l’esistenza dell’autorizzazione della competente Direzione regionale delle entrate per l’espletamento delle indagini bancarie nei confronti del G. personalmente, oltre che della società della quale è socio, ha ritenuto l’accertamento illegittimo per difetto di motivazione dell’autorizzazione stessa.
8.1. In tal modo la sentenza impugnata si è posta in contrasto con il consolidato indirizzo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, secondo cui, avuto riguardo alla funzione organizzativa, incidente tra uffici, dell’autorizzazione allo svolgimento delle indagini bancarie tanto in tema di accertamento relativo alle imposte dirette quanto all’IVA, essa non richiede alcuna motivazione (cfr., ex multis, Cass. sez. 6-5, ord. 10 febbraio 2017, n. 3628; Cass. sez. 5, 26 settembre 2014, n. 20420; Cass. sez. 5, 21 luglio 2009, n. 16874; Cass. sez. 5, 15 giugno 2007, n. 14023).
9. La sentenza impugnata va pertanto cassata in accoglimento dei primi due motivi di ricorso, restando assorbiti gli altri, con rinvio della causa per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione, che, nell’uniformarsi ai principi di diritto sopra trascritti, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
10. Nel procedere al nuovo accertamento in fatto, con riferimento a ciascuna annualità, la CTR della Toscana terrà conto che, per effetto della sopravvenienza in pendenza di lite della sentenza della Corte costituzionale n. 228/2014, la presunzione relativa di maggiori ricavi conseguenti all’espletamento di attività professionale, di cui alle citate norme in tema di accertamenti bancari, è inerente ai soli versamenti di cui il contribuente non abbia reso giustificazione, e non anche ai prelevamenti; dovendosi altresì escludere, stante l’accertamento comunque autonomamente svolto nei confronti del G. per l’annualità 2004, che la definizione nelle more del giudizio concernente l’accertamento per la medesima annualità nei confronti della società Edilcostruttori S.r.l. con pronuncia favorevole alla società medesima, passata in giudicato (Cass. sez. 6-5, ord. 6 novembre 2017, n. 26286), sia ex se preclusivo dell’accertamento autonomamente svolto nei confronti del G., fermo restando che allo stesso non potrà essere imputato alcun maggior reddito da capitale in relazione alla sua partecipazione in detta società per lo stesso anno d’imposta 2004.
PQM
Accoglie il ricorso in relazione ai primi due motivi, assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021