LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –
Dott. MANZON Enri – rel. Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Mar – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29699/20125 R.G. proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
T.A., rappresentato e difeso dalli avv. Nicola Minervini, con domicilio eletto in Livorno, via Marradi n. 14;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 1550/25/2015, depositata il 23 settembre 2015.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 luglio 2021 dal Consigliere Enrico Manzon.
RILEVATO
che:
Con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale della Toscana accoglieva l’appello proposto da T.A. avverso la sentenza n. 91/1/13 della Commissione tributaria provinciale di Prato che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per II.DD. ed IVA 2008.
La CTR osservava in particolare che le riprese fiscali erano infondate, in quanto il T. aveva dato prova contabile e sostanziale dei costi oggetto delle medesime, non avendo rilievo giuridico l’assenza di un contratto scritto tra il contribuente verificato e la Exad prestatrice dei servizi originanti detti costi (redazione di documenti relativi all’attività del T. – commercio all’ingrosso di prodotti chimici).
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo tre motivi.
Resiste con controricorso il contribuente.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata a causa di “motivazione apparente”.
Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi controversi.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondate.
Va ribadito che:
– “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01);
– “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella ‘motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014);
– “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass., n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01).
Nessuno dei paradigmi invalidanti indicati in tali arresti giurisprudenziali può attribuirsi alla sentenza impugnata, la cui motivazione, sicuramente al di sopra del “minimo costituzionale”, esamina sinteticamente, ma esaustivamente, il thema decidendum ossia la prova dell’effettiva sussistenza dei costi oggetto delle riprese fiscali (fatture della Exad a T.).
Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17, 21, 23,54, degli artt. 2697,2727,2729 c.c., poiché la CTR ha affermato sussistere i presupposti di riconoscimento normativo dei costi oggetto delle riprese fiscali.
La censura è inammissibile.
Va ribadito che:
– “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Cass., n. 26110 del 2015);
– “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n. 9097 del 07/04/2017).
Appare evidente che il mezzo in esame non prospetta un’interpretazione erronea delle disposizioni legislative evocate né un correlato vizio di sussunzione nelle medesime della fattispecie concreta, bensì, appunto inammissibilmente, attinge al meritum causae ed alla valutazione datane dal giudice tributario di appello. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300 per onorari, Euro 200 per esborsi oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021