LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. FICHERA Giusep – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2076/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, (C.F. *****), in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12.
– ricorrente –
contro
S.E., (C.F. *****), rappresentata e difesa dall’avv. Alessandro De Stefano, elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma via Crescenzio 62.
– controricorrente –
e contro
S.G., (C.F. *****).
– intimato –
Avverso la sentenza n. 3646/t4/2014 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, depositata il giorno 04 giugno 2014.
Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2021 dal Consigliere Giuseppe Fichera.
FATTI DI CAUSA
S.G. ed S.E., quali eredi di B.A., impugnarono un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle entrate, con il quale vennero ripresi a tassazioni maggiori redditi tratti dalla defunta, ai fini delle imposte dirette, dell’IRAP e dell’IVA, per l’anno 2005.
Il ricorso venne accolto integralmente in primo grado; proposto appello dall’Agenzia delle entrate, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza depositata il 4 giugno 2014, lo respinse.
Avverso la detta sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico mezzo, cui risponde con controricorso S.E., mentre non ha spiegato difese S.G..
Le parti hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo del ricorso deduce l’Agenzia delle entrate la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2), poiché la commissione tributaria regionale ha violato la regola presuntiva a carico del contribuente discendente dalle dette norme.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Va anzitutto ricordato che in tema di accertamento dei redditi, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti; tutto ciò ferma restando la legittimità della imputazione a compensi delle somme risultanti da operazioni bancarie di versamento (Cass. 26/09/2018, n. 22931; Cass. 31/01/2017, n. 2432; Cass. 9/08/2016, n. 16697; Cass. 30/03/2016, n. 6093).
Va soggiunto che, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di dimostrare la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev’essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità (da ultimo, Cass. 16/07/2020, n. 15161).
1.2. Orbene, nella fattispecie in esame, lamentando plurime violazioni di legge, in realtà la ricorrente intende sottoporre al vaglio di questa Corte – in maniera appunto inammissibile -, l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito in ordine alla valenza probatoria della documentazione prodotta dalla contribuente per superare la detta presunzione.
In particolare, la commissione tributaria regionale, facendo corretta applicazione della esposta regola sull’onere della prova a carico del contribuente, ha affermato che attraverso i documenti prodotti nel corso del giudizio, gli eredi dell’amministratrice di condominii avevano dimostrato che tutte le somme registrate sul conto corrente intestato a quest’ultima, erano in realtà interamente riconducibili ai versamenti effettuati dai condomini dalla stessa amministrati.
E siffatto accertamento non è sindacabile in sede di legittimità, avendo le Sezioni Unite di questa Corte ribadito l’inammissibilità del ricorso per cassazione il quale, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. S.U. 27/12/2019, n. 34476).
2. Le spese seguono la soccombenza. Essendo la ricorrente una amministrazione dello Stato esonerata dal versamento del contributo unificato, va escluso per la predetta l’obbligo di versare dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (Cass. 29/01/2016, n. 17789).
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ad agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021