LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16539-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SRL, in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI n. 21, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO GIUSEPPE ILARDO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4722/2017 della COMM. TRIB. REG. SICILIA SEZ. DIST. di CATANIA, depositata il 1/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;
lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. VISONA’ STEFANO che ha chiesto che la Corte di Cassazione accolga il ricorso.
FATTI DI CAUSA
***** s.r.l., in Amministrazione straordinaria, impugnava l’avviso di liquidazione n. ***** avente ad oggetto l’applicazione della tassa di registro in relazione alla omessa registrazione della sentenza del Tribunale di Catania n. 3646 del 2012, chiedendone l’annullamento per difetto di motivazione. La ricorrente denunciava l’omessa allegazione della sentenza oggetto di tassazione, eccependo che, in ogni caso, non andava applicata l’imposizione fiscale, con aliquota pari allo 0,50%, alla enunciazione delle fideiussioni, che erano state già sottoposte a tributo.
La Commissione Tributaria Provinciale di Catania, con sentenza n. 13817 del 2015, accoglieva parzialmente il ricorso, annullando la pretesa fiscale relativamente alla imposizione delle fideiussioni.
L’Agenzia delle entrate, ***** proponevano autonomi appelli avverso la pronuncia dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che, previa riunione delle impugnazioni, accoglieva il motivo relativo al difetto di motivazione dell’atto impugnato, proposto dalla società contribuente in ragione della sussistenza di un obbligo di allegazione, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, della sentenza soggetta a registrazione.
Con decreto del 12 aprile 2018, il Tribunale di Catania, Sez. Fall., disponeva la conversione in fallimento della procedura di A.S. a cui era sottoposta la *****.
L’Agenzia delle Entrate e del Territorio ricorre per cassazione svolgendo due motivi. Il Fallimento di ***** (***** s.r.l.) si è costituita con controricorso, illustrato con memorie. La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato memorie concludendo per l’accoglimento del ricorso dell’Ufficio. All’udunanza camerale dell’8.4.2021, la causa è stata rinviata per la trattazione all’udienza pubblica per la rilevanza nomofilattica delle questioni trattate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto i giudici di appello avrebbero errato nell’annullare l’atto impositivo per mancata allegazione allo stesso della sentenza del Tribunale civile, atteso che, secondo l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità, tale obbligo di allegazione non è necessario in fattispecie in cui la sentenza civile è stata emessa in esito ad un contenzioso di cui la società è stata parte, con conseguente piena, formale e sostanziale, conoscenza della sentenza stessa di cui si lamenta la mancata allegazione. Inoltre, secondo l’Ufficio ricorrente non sussisterebbe alcuna lesione del diritto di difesa, tenuto conto che l’obbligo di allegazione scaturisce solo nel caso in cui l’atto non è conosciuto né ricevuto dal contribuente.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, artt. 15 e 16 e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, nonché del citato D.P.R., tariffa allegata, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. L’Ufficio ricorrente rileva, per mero tuziorismo difensivo, che non deve essere annullata l’imposta di registro nella misura dello 0,50% in relazione alle fideiussioni enunciate nella sentenza del tribunale. Ai sensi delle norme indicate in rubrica, devono ritenersi soggette a tassazione le disposizioni dell’atto enunciato che vengono ancora utilizzate in relazione al rapporto giuridico controverso. Sulla base di quanto chiarito dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 7 del 1999, deve ritenersi che la fideiussione enunciata in un provvedimento giudiziario richiesto dal creditore a tutela del proprio diritto di credito, debba essere tassata (con aliquota dello 0,50%) limitatamente alla parte della stessa che, non avendo ancora trovato esecuzione, sia ancora espressiva di attuale capacità contributiva (Risoluzione del 21 aprile 2008, n. 168/E). Secondo l’Ufficio ricorrente tale importo coinciderebbe in genere (come nel caso in trattazione) con la parte di credito per la cui esecuzione è stato attivato il procedimento giudiziario e, quindi, con il valore del credito il cui pagamento sia stato ingiunto al debitore e al fideiussore tramite l’atto giudiziario. Inoltre, nell’ordinamento tributario le norme che riconoscono agevolazioni o benefici fiscali in deroga all’ordinario regime di imposizione sono norme ad interpretazione rigida ed anelastica in quanto rigorosamente legate al dato letterale.
3. Il primo motivo di ricorso è fondato.
3.1. La questione all’esame della Corte è se, in tema di imposta di registro, possa ritenersi adeguatamente motivato, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, l’avviso di liquidazione di imposta con irrogazione di sanzioni, notificato per la registrazione di una sentenza civile, in ipotesi di omessa allegazione del provvedimento giudiziale sottoposto a registrazione.
Non è circostanza contestata, per essere stata precisata dalle parti nei propri scritti difensivi, che l’avviso di liquidazione contiene gli estremi identificativi del documento richiamato (v. pag 5 ricorso per cassazione) ed, in particolare, il numero della sentenza e i capi del dictum sui quali si fonderebbe la pretesa (v. pag. 14 controricorso).
Nel controricorso il Fallimento di ***** lamenta il difetto assoluto di motivazione dell’avviso di liquidazione in quanto dallo stesso non sarebbe possibile ricavare quali siano le ragioni, i presupposti di fatto e di diritto su cui si fonda la pretesa, né sarebbero state richiamate le norme a cui l’Agenzia avrebbe fatto riferimento.
Si precisa che: “le vistose lacune dell’avviso impugnato, peraltro, non possono essere supplite da quanto affermato dall’Agenzia delle entrate in giudizio, non essendo ammissibile un’integrazione postuma della motivazione dell’avviso notificato al contribuente”.
3.2. Ai sensi dello Statuto dei diritti del contribuente, art. 7, comma 1, si stabilisce che: “gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.
La questione della motivazione dell’atto tributario è stata oggetto di indirizzi non sempre univoci di questa Corte, spesso basati sull’interpretazione della singola fattispecie oggetto di causa, e soprattutto diversificati in relazione alla singolarità del tributo richiamato nell’atto impositivo.
L’esame dell’istituto richiede una preliminare riflessione sulla “ratio” della disposizione che impone l’obbligo di motivazione di un atto e, quindi, sulla finalità che il corretto adempimento di tale obbligo persegue.
La funzione della motivazione viene assolta con l’indicazione degli elementi di fatto e di diritto su cui si basa la pretesa, ciò al fine di garantire al contribuente il corretto esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
Accanto alla garanzia del diritto di difesa può individuarsi, anche se più sfumata, una funzione ulteriore della motivazione, ossia quella di consentire al contribuente di valutare la correttezza dell’attività amministrativa sotto il profilo dell’esercizio dei poteri istruttori e, quindi, la legittimità intrinseca nell’esercizio del potere dell’Amministrazione finanziaria.
Tale funzione della motivazione dell’atto coesiste ed integra quella della garanzia dell’esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.), sicché l’Ufficio è tenuto a rendere comprensibili tutti i passaggi logico giuridici su cui si fonda l’atto, descrivendo l’iter decisorio con il quale si giunge ad una pretesa fiscale.
3.3.Nel caso in esame, l’atto impositivo è un avviso di liquidazione avente ad oggetto l’applicazione dell’imposta di registro relativa alla omessa registrazione della sentenza del Tribunale di Catania n. 3646/2012, che non è stata allegata.
L’atto impositivo, pertanto, è stato motivato “per relationem” ossia con riferimento ad un altro atto, nella specie la sentenza soggetta a registrazione, che rappresenta il presupposto del prelievo fiscale, richiamata nell’avviso ma non allegata.
Non vi è dubbio che la funzione informativa della motivazione viene rispettata anche dalla c.d. motivazione “per relationem”, che è da ritenere legittima se l’atto cui si fa riferimento è in possesso del contribuente e/o dallo stesso è conoscibile ed è idoneo ad illustrare le ragioni della richiesta del tributo.
Nella fattispecie, con controricorso (pag. 14), il Fallimento di ***** ha precisato che “la mancata allegazione della sentenza del Tribunale civile, diversamente da quanto ritenuto dall’Agenzia, non può essere supplita dal fatto che nell’avviso di liquidazione sia stato indicato il numero della sentenza e sarebbero indicati i capi del dictum sui quali si fonderebbe la pretesa tributaria”.
Tuttavia, occorre fare menzione del fatto che il tenore della L. n. 212 del 2000, art. 7, è stato in parte attenuato dal D.Lgs. n. 32 del 2001, art. 1, con il quale si è stabilito che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.
Si è sopra precisato che non è circostanza contestata che l’avviso di liquidazione oltre a contenere gli estremi identificativi del documento richiamato (v. pag 5 ricorso per cassazione) e, in particolare, il numero della sentenza, riporta i capi del dictum sui quali si fonderebbe la pretesa (v. pag. 14 controricorso), quindi riporta il contenuto essenziale dell’atto portato a registrazione.
Quando si fa riferimento al “contenuto essenziale” dell’atto richiamato che può sostituire l’obbligo di allegazione, è evidente che tale contenuto deve consentire al contribuente l’esatta comprensione della ragione del prelievo fiscale, atteso che l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo deve assicurare il controllo della legittimità dell’imposizione, delimitando chiaramente l’oggetto del processo tributario. Per chiara esplicazione dell’iter logico – giuridico seguito nella formazione dell’atto, si intende un testo che ha il fine di esplicitare il ragionamento dell’Ufficio, e quindi di consentire al contribuente di decidere se difendersi o meno azionando un giudizio.
Nella fattispecie, i dati riportati nell’atto impositivo hanno consentito al contribuente di esercitare adeguatamente le proprie difese, essendo stati anche riportati gli elementi del dictum sufficienti a fargli comprendere le ragioni della pretesa fiscale.
3.4. Non tutti gli atti richiamati devono essere necessariamente allegati (o quanto meno riportati nel loro contenuto essenziale) è ciò indipendentemente dalla natura dell’atto di rinvio e dal soggetto che lo ha posto in essere.
La giurisprudenza di questo giudice di legittimità, che si condivide, ha in più occasioni affermato che l’onere di allegazione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, è limitato ai documenti non conosciuti né ricevuti dal contribuente e costituenti il presupposto dell’atto impositivo al fine di evitare il pregiudizio del diritto di difesa di quest’ultimo (Cass. n. 14732 del 2020).
Ciò premesso, l’obbligo di motivazione, che afferisce alla individuazione della base imponibile e dell’aliquota tariffaria applicata dall’Ufficio, non si soddisfa mediante la necessaria allegazione del provvedimento giudiziario tassato, essendo l’allegazione medesima adempimento superfluo laddove, come nella specie, il provvedimento giudiziario sia conosciuto o comunque conoscibile da parte del contribuente. Nel caso in esame, la società contribuente è stata parte in causa nel giudizio all’esito del quale è stata pronunciata la sentenza tassata. Il Collegio è consapevole che con riferimento alla specifica questione sussiste altro indirizzo espresso da questa Corte, secondo cui l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto “per relationem”, ossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato. Il principio è stato recentemente precisato anche con ordinanza n. 4736 del 2021, con cui si è affermato: “l’avviso di liquidazione emesso D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 54, comma 5, che indichi soltanto la data e il numero della sentenza civile oggetto della registrazione, senza allegarla, è illegittimo, per difetto di motivazione, in quanto l’obbligo di allegazione, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove in mancanza, egli sarebbe costretto ad una attività di ricerca, che comprimerebbe illegittimamente il termine a sua disposizione per impugnare” (così Cass. n. 18532 del 2010, Cass. n. 13402 del 2020, Cass. n. 29402 del 2017, Cass. n. 12468 del 2015, Cass. n. 17911 del 2014, Cass. n. 9299 del 2013).
In linea con questo orientamento, anche Cass. n. 29491 del 2018 (e Cass. n. 29402 del 2017; Cass. n. 12468 del 2015) secondo cui: ” In tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione emesso D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 54, comma 5, che indichi soltanto la data e il numero del provvedimento civile oggetto della registrazione, senza allegarlo, è illegittimo, per difetto di motivazione, in quanto l’obbligo di allegazione, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove, in mancanza, egli sarebbe costretto ad una attività di ricerca, che comprimerebbe illegittimamente il termine a sua disposizione per impugnare”.
Questa Corte evidenzia però che tale indirizzo debba essere superato, per i principi sopra ampiamente illustrati, atteso che l’allegazione di atti conosciuti o conoscibili dal contribuente risulta superflua ed ultronea e rappresenta un inutile e non richiesto aggravio per l’Ufficio.
Si condivide quanto ritenuto, in altre pronunce, secondo cui: “In tema di imposta di registro relativa a sentenza civile, l’Amministrazione finanziaria è esonerata dall’obbligo di allegare all’avviso di liquidazione la sentenza su cui esso si fonda, in quanto trattasi di atto di cui il contribuente, parte del giudizio, è a conoscenza; diversamente tale incombente si risolverebbe in un adempimento superfluo ed ultroneo che, da un lato, determinerebbe un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all’esercizio della potestà impositiva e, dall’altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria, ponendosi così un contrasto con i canoni generali della collaborazione della buona fede” (Cass. n. 21713 del 2020).
Appare all’evidenza che in situazioni, come quella nella fattispecie, in cui il contribuente è stato parte del giudizio che ha riguardato l’emissione della sentenza impugnata, non può non ritenersi che lo stesso sia consapevole della statuizione contenuta nella sentenza, sic-ché è ultronea la allegazione di documenti conosciuti o conoscibili, ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7.
Va precisato, inoltre, che nella fattispecie l’avviso di liquidazione oggetto di impugnazione riportava gli estremi dell’atto portato a registrazione e parti del “dictum”, sicché nessun pregiudizio è stato arrecato al diritto di difesa della società ricorrente che ha dimostrato di conoscere le ragioni della pretesa, articolando adeguatamente le proprie difese nel corso dei gradi di merito.
4. Il secondo motivo va accolto.
Si desume dal contenuto della sentenza impugnata che L’Ufficio nel corso del giudizio di appello aveva proposto specifica censura avverso la sentenza di primo grado, lamentando l’illegittimità della esclusione dalla tassazione delle enunciate fideiussioni.
Tale questione di merito, rimasta assorbita, è stata riproposta con ricorso per cassazione come vizio di violazione di legge.
Il D.P.R. n. 131 del 1986, allegata Tariffa, Parte Prima, art. 6, prevede l’imposizione proporzionale (0,50%) delle “garanzie reali e personali a favore di terzi, se non richieste dalla legge”.
In tema di imposta di registro, ove viene colpita la singola manifestazione di ricchezza e la connessa capacità contributiva, vale il principio dell’autonomia dei singoli negozi, come si desume in modo inequivoco dalla previsione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22, la quale stabilisce che, se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti non verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica alle disposizioni enunciate. Ne consegue che va assoggettato ad imposta proporzionale il contratto di fideiussione enunciato in una sentenza intervenuta tra le stesse parti del negozio di garanzia (Cass. n. 17899 del 2005; Cass. n. 11756 del 2008; Cass. n. 15585 del 2010; Cass. n. 32516 del 2019).
5. In definitiva, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Le spese di lite di ogni fase e grado vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto del rilevato contrasto giurisprudenziale sulle questioni trattate.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Compensa le spese di lite di ogni fase e grado.
Così deciso in Roma, nell’udienza pubblica, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021