LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta Maria Consolata – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6007-2012 proposto da:
M.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 785, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA ADORNATO, rappresentata e difesa dall’avvocato ADRIANA LA ROCCA;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
per la revocazione la sentenza n. 696/2011 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 13/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.
RILEVATO
che:
M.M.L. ha proposto ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c., della sentenza n. 696/2011, depositata dalla Corte di cassazione il 22.12.2011, con la quale, accogliendo l’impugnazione dell’Agenzia delle entrate, era cassata con rinvio la decisione assunta dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 152/13/2005.
La pronuncia si collocava in un contenzioso originato da una verifica e dai conseguenti avvisi di accertamento, con i quali l’Amministrazione finanziaria, attribuendo alla M., proprietaria di terreni, la qualifica di imprenditore – ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. b (ratione temporis vigente, ora D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, comma 2, lett. b) – per la vendita di materiale lapideo estratto dalla società “Cave San Bartolo” dalle cave ubicate nella proprietà della contribuente, aveva rideterminato il suo reddito ai fini Irpef, Ilor ed (va relativamente agli anni d’imposta 1995/2000. La contribuente, che contestava la qualifica di imprenditrice, per essere estranea all’attività commerciale la semplice cessione del materiale estraibile dalla società cessionaria, aveva impugnato gli accertamenti con vari ricorsi, i cui esiti, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano e poi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, erano stati diversi.
Per quanto qui d’interesse, il giudice d’appello, con sentenza 152/13/2005, aveva accolto le prospettazioni difensive della M., annullando l’avviso di accertamento relativo all’Irpef e all’Ilor del 1995 e all’avviso di rettifica dell’Iva relativo all’anno 1996. La pronuncia era stata impugnata dall’Ufficio dinanzi alla Corte di Cassazione, che con la decisione ora denunciata, aveva accolto le ragioni dell’Agenzia delle entrate. La Corte di legittimità ha ritenuto corretto l’inquadramento tra i redditi d’impresa “della controprestazione contrattuale ricevuta dal proprietario della cava per il trasferimento a terzi (…) della sola attività di sfruttamento del bene fruttifero”.
Avverso la sentenza della Corte la M. ha proposto ricorso per revocazione, affidandosi a tre motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Dopo un primo rinvio, richiesto in udienza pubblica (ud. 25 maggio 2016) dalla difesa della contribuente per il deposito di documentazione attestante la sopravvenuta carenza di interesse alla revocazione, a cui l’Agenzia e il P.G. non si erano opposti, nell’adunanza camerale del 14 aprile 2021 la causa è stata decisa sulla base degli atti difensivi e della memoria della M..
CONSIDERATO
che:
La ricorrente, con la memoria depositata il 31 marzo 2021, ha illustrato che, con la sentenza n. 97/46/2013, depositata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia il 30 agosto 2013 -come corretta dall’ordinanza n. 1486/07/2015, depositata dal medesimo ufficio d’appello il 22 ottobre 2015 -, si è pronunciata su diversi giudizi riuniti, tra cui quello riassunto a seguito della pronuncia n. 696/2011 di questa Corte, oggetto del ricorso per revocazione. Tale sentenza, divenuta definitiva per mancata impugnazione da parte dell’Agenzia delle entrate, annullando alcuni degli atti impositivi oggetto della lite regolata dalla pronuncia n. 696/2011, ha fatto venir meno l’interesse allo stesso giudizio di revocazione. A tal fine la ricorrente ha chiesto la pronuncia di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere quale effetto della sopravvenuta carenza di interesse delle parti alla decisione.
La documentazione, e in particolare la copia della sentenza n. 97/46/2013, nonché dell’ordinanza n. 1486/07/2015, risultano depositati ex art. 372 c.p.c., così come risulta tramessa la memoria all’Amministrazione finanziaria presso il domicilio eletto.
Il sopravvenuto difetto di interesse dà luogo all’inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche al momento della decisione (cfr. Sez. U, 10/12/2020, n. 28182). Rilevato dunque che la ricorrente ha manifestato la sopraggiunta carenza d’interesse alla prosecuzione del processo e alla decisione della causa, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Le spese di lite vanno compensate.
PQM
Dichiara il giudizio estinto per sopravvenuta carenza di interesse. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021