Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32008 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29181-2020 proposto da:

P.U., elettivamente domiciliato in ROMA, V.GIULIA DI COLLOREDO 46/48, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTA DE PAOLA, rappresentato e difeso dagli avvocati CLAUDIO GARDELLI, FRANCESCO DE PAOLA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 29145 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata l’11/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/10/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La Corte di Appello di Perugia, con decreto n. 639/2018, accoglievala domanda di equa riparazione proposta, ex L. n. 89 del 2001, da P.U. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per l’irragionevole durata di un procedimento pensionistico dallo stesso promosso dinanzi alla Corte dei Conti con ricorso depositato in data ***** e definito con sentenza pubblicata il 3/3/2008.

In particolare, la Corte, stimato in 44 anni e 6 mesi il ritardo eccedente il termine di ragionevole durata, liquidava in favore del P. un indennizzo pari a Euro 22.000,00.

Avverso il decreto della Corte di appello di Perugia, il Ministero dell’Economia e delle Finanze propose ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo, essendo invece rimasto intimato il P..

Questa Corte con ordinanza n. 29145 pubblicata in data 11/11/2019 ha accolto il ricorso e cassato il decreto impugnato, con rinvio a diversa sezione della Corte d’Appello di Perugia.

Osservava che con l’unico motivo l’Amministrazione ricorrente denunciava, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost., della CEDU, art. 6 e art. 25, par. 1, della L. n. 89 del 2001, art. 2, per avere la Corte di appello erroneamente incluso, nel lasso di ritardo indennizzabile, anche il periodo ricompreso dal ***** (data di deposito del ricorso del P. innanzi alla Corte dei Conti) al ***** (data a partire dalla quale è riconosciuta la facoltà di ricorso individuale per far valere la responsabilità dello Stato a causa dell’irragionevole durata del processo).

A detta del ricorrente, così operando la Corte di merito avrebbe indebitamente riconosciuto l’indennizzo per 13 anni di eccessiva durata, accordando così una maggior somma pari a circa 6.500,00.

La censura era ritenuta fondata.

Infatti, come già osservato dalla Corte (v. Cass. n. 15778 del 2010), la finalità della L. n. 89 del 2001, è quella di apprestare, in favore della vittima della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, art. 6, par. 1, un rimedio giurisdizionale interno analogo alla prevista tutela internazionale, deve ritenersi che, anche nel quadro dell’istanza nazionale, al calcolo della ragionevolezza dei tempi processuali sfugga il periodo di svolgimento del processo presupposto anteriore all’1 agosto 1973, data a partire dalla quale è riconosciuta la facoltà del ricorso individuale alla Commissione (oggi, alla Corte Europea dei diritti dell’uomo), con la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato.

In definitiva, il ricorso doveva essere accolto e il provvedimento impugnato cassato in relazione alla determinazione del periodo indennizzabile, con rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Perugia.

Avverso questa sentenza P.U. propone ricorso per revocazione sulla base di un motivo illustrato da memorie.

Il Ministero ha resistito con controricorso.

L’unico motivo di ricorso denuncia ex art. 391 bis c.p.c., e art. 395 c.p.c., n. 4, un errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti della causa.

Si deduce che la notifica del ricorso da parte della difesa erariale è avvenuta all’indirizzo pec dell’avv. Carlo Alongi, presso cui il ricorrente aveva solo eletto domicilio fisico.

Pertanto, tale notifica è da reputarsi giuridicamente inesistente, avendo quindi la Corte di Cassazione deciso sul presupposto della rituale evocazione in giudizio dell’odierno ricorrente.

Il ricorso è inammissibile, in quanto tardivamente proposto.

Trattandosi, infatti, di decisione pubblicata in data 11 novembre 2019, per la sua impugnazione per revocazione risulta applicabile il termine di cui all’art. 391 bis c.p.c., quale scaturente dalla novella del 2016, alla luce di quanto appunto precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 8091 del 2020) che hanno statuito che il termine per la proposizione del ricorso per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione – ridotto da un anno a sei mesi, in sede di conversione del D.L. n. 168 del 2016, dalla L. n. 197 del 2016 – si applica ai soli provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore della stessa (30 ottobre 2016), in difetto di specifica disposizione transitoria e in applicazione del principio generale di cui all’art. 11 preleggi.

Ne’ tale conclusione può ritenersi inficiata dal contenuto delle memorie, nelle quali il ricorrente sostiene che per lui il termine di impugnazione della decisione di questa Corte decorrerebbe ex art. 327 c.p.c., comma 2, solo dal momento in cui avrebbe avuto effettiva conoscenza della decisione, stante l’invalidità della notifica del ricorso all’esito del quale è stata emessa la decisione oggi gravata.

Infatti, deve in primo luogo evidenziarsi come trattasi di deduzione del tutto nuova e che contraddice quanto sostenuto nello stesso ricorso ove si assume la tempestività del ricorso per revocazione, sul presupposto dell’applicabilità sempre del termine lungo di impugnazione, ma erroneamente individuato in quello annuale, sul presupposto che occorre aere riguardo alla data di inizio del giudizio di merito.

Peraltro deve ricordarsi che secondo la giurisprudenza di questa Corte la notificazione del ricorso per cassazione eseguita presso il procuratore domiciliatario “extra districtum” per il giudizio di appello anziché presso il procuratore costituito per lo stesso giudizio ai sensi dell’art. 330 c.p.c., non è inesistente ma nulla e, perciò, suscettibile di sanatoria “ex tunc” per effetto della costituzione in giudizio del resistente. (Sez. L, Sentenza n. 7609 del 05/06/2001, Rv. 547287 – 01; Cass. n. 11111/1998).

Va quindi richiamato il principio per cui il contumace può interporre gravame avverso la sentenza che lo abbia visto soccombente dopo la scadenza del termine annuale dalla sua pubblicazione, a condizione che egli dia la prova sia della nullità della citazione o della relativa notificazione (nonché della notificazione degli atti di cui all’art. 292 c.p.c.) sia della non conoscenza del processo a causa di detta nullità. Il medesimo contumace ha, quindi, l’onere di dimostrare l’esistenza di circostanze di fatto positive dalle quali si possa desumere il difetto di anteriore conoscenza o la presa di conoscenza del processo in una certa data e tale prova può essere fornita anche mediante presunzioni, senza che, però, possa delinearsi, come effetto della presunzione semplice di mancata conoscenza del processo, l’inversione dell’onere della prova nei confronti di chi eccepisce la decadenza dall’impugnazione. (Sez. 2 -, Sentenza n. 8 del 03/01/2019, Rv. 652006 – 01).

Invero, per stabilire se sia ammissibile l’impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che la parte rimasta contumace non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: se la notifica è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume “iuris tantum”, ed è onere dell’altra parte dimostrare che lo stesso ha avuto comunque contezza del processo; se invece la notificazione è nulla, si presume la conoscenza della pendenza del giudizio da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ultimo a fornire, anche mediante presunzioni, la prova di circostanze di fatto positive dalle quali si possa desumere il difetto di conoscenza anteriore o l’avvenuta conoscenza solo in una certa data. (Sez. 5 -, Sentenza n. 1308 del 19/01/2018, Rv. 646916 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 18243 del 03/07/2008, Rv. 605008 – 01).

Stante la nullità della notifica del ricorso del precedente giudizio di legittimità, il ricorrente avrebbe dovuto fornire, anche a mezzo di presunzioni, la prova del difetto di conoscenza anteriore, prova che nella specie non è stata né fornita né offerta, il che rivela anche sotto questo ulteriore profilo l’inammissibilità dell’impugnazione. Infatti, il ricorso in esame risulta invece notificato a mezzo pec solo in data 16/11/2020, e quindi abbondantemente oltre il detto termine semestrale (che, tenuto conto anche della sospensione straordinaria dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 di cui al D.L. D.L. n. 18 del 2020, art. 83, e al D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, veniva scadere il 4 luglio 2020), con l’effetto che deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo Non sussistono i presupposti di legge sul raddoppio del contributo unificato (Cass. n. 2273 del 2019) come si desume da D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 (conf. Cass. S.U. n. 4315/2020).

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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