LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8038-2020 proposto da:
M.L. SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato MATTEO ACCIARI, e rappresentata e difesa dall’avvocato BRUNO GUARALDI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositato il 29/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/10/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La Corte d’appello di Bologna con Decreto 29 novembre 2019, ha rigettato l’opposizione proposta da M.L. S.r.l. avverso il decreto del Consigliere delegato del 10 luglio 2019 con il quale era stata dichiarata inammissibile la domanda di equo indennizzo proposta dalla ricorrente per la violazione della durata ragionevole della procedura fallimentare iniziata il ***** dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia e conclusasi con Decreto 23 giugno 2018, non notificato né comunicato.
La Corte distrettuale rilevava che in relazione alle procedure concorsuali, il dies a quo del termine semestrale di decadenza per le domande di cui alla L. n. 89 del 2001, decorre dalla data in cui il decreto di chiusura del fallimento non è più reclamabile in appello.
In primo luogo si evidenziava che, in applicazione del principio tempus regit actum, sebbene la procedura fallimentare fosse iniziata in data anteriore all’entrata in vigore dell’art. 36 bis L. Fall., l’esclusione della sospensione ferale disposta da tale norma si applicava anche al termine per impugnare il decreto di chiusura del fallimento, in quanto il richiamo ai termini di cui agli artt. 26 e 36 L. Fall., tramite i vari rinvii operati dalla legge, permetteva di estendere anche alla fattispecie in esame l’esclusione posta dalla novella.
Quanto al secondo motivo di opposizione, la Corte distrettuale osservava che al reclamo ex art. 119 L. Fall., invocabile per il decreto di chiusura del fallimento (essendo applicabile la disciplina ante riforma della legge fallimentare), trovava sì applicazione il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., ma nella durata semestrale prevista dalla novella del 2009, occorrendo avere riguardo alla natura endo-fallimentare della procedura di impugnazione della chiusura del fallimento, ed alla circostanza che occorreva quindi guardare non già alla data dell’inizio della procedura, ma a quella della sua impugnazione.
Ne derivava che, trovando applicazione per l’impugnazione il termine semestrale e non anche quello annuale, la proposizione della domanda di equo indennizzo era stata avanzata ben oltre il termine di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.
Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso la M.L. S.r.l. sulla base di due motivi.
Il Ministero ha resistito con controricorso.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 6 CEDU, p. 1, al primo Protocollo addizionale, art. 1, ed agli artt. 111 e 117 Cost., con violazione dell’art. 327 c.p.c., dell’art. 119L. Fall., della L. n. 69 del 2009, art. 58, e del D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 150, comma 1.
Deduce la ricorrente che il fallimento, in relazione al quale è stata proposta domanda di equo indennizzo, era stato dichiarato il 6 ottobre 2005, prima della novella di cui al D.Lgs. n. 150 del 2006.
A nulla rileva che poi sia stato chiuso con Decreto 25 maggio 2018, non potendo tale circostanza consentire di invocare la previsione di cui all’art. 36 bis L. Fall., che, in relazione ai termini di cui agli artt. 26 e 36 L. Fall., dispone l’inapplicabilità della sospensione feriale.
In tal senso è erronea la lettura dei precedenti giurisprudenziali compiuti dalla Corte territoriale, occorrendo invece sostenere la soluzione per cui al decreto di chiusura del fallimento ante riforma si applica il termine per impugnare tenuto conto anche della sospensione feriale dei termini.
Il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 6 CEDU, par. 1, ed al primo protocollo addizionale, art. 1, nonché degli artt. 111 e 117 Cost., con violazione dell’art. 327 c.p.c., dell’art. 119L. Fall., della L. n. 69 del 2009, art. 58, e del D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 150, comma 1.
Deduce la ricorrente che, trattandosi di procedura fallimentare già pendente alla data di entrata in vigore della riforma del 2006, alla stessa trovano applicazione le norme previgenti che prevedono che, in assenza di comunicazione e notificazione il decreto di chiusura sia impugnabile entro il termine di cui all’art. 327 c.p.c., da calcolarsi secondo la previsione anteriore alla novella del 2009, vertendosi sempre in tema di procedimento incidentale endofallimentare.
Ritiene il Collegio che debba esaminarsi prioritariamente il secondo motivo che è fondato ed assume carattere assorbente anche in relazione al primo motivo.
Infatti, deve ritenersi pacifico che nella fattispecie debba farsi applicazione del previgente disposto di cui all’art. 119 L. Fall., nella versione che ha preceduto la novella di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006, ed al D.Lgs. n. 169 del 2007, che hanno introdotto la previsione secondo cui il termine per il reclamo va determinato in base a quanto disposto dalla medesima L. Fall., art. 26.
Tuttavia, in relazione alla norma previgente di cui all’art. 119 L. Fall., la Corte Costituzionale, con la sentenza del 23 luglio 2010, n. 279 (in Gazz. Uff., 28 luglio, n. 30), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente art., comma 2, nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei soggetti interessati e già individuati sulla base degli atti processuali, il termine per il reclamo avverso il decreto motivato del tribunale di chiusura del fallimento, dalla data di pubblicazione dello stesso nelle forme prescritte dalla stessa L. Fall., art. 17, anziché dalla comunicazione dell’avvenuto deposito effettuata a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero a mezzo di altre modalità di comunicazione previste dalla legge.
Questa Corte ha ritenuto che per le procedure di reclamo relative a procedure concorsuali cui non si applica la novella, deve in ogni caso trovare applicazione la regola generale di cui all’art. 327 c.p.c., che prevede il termine lungo di un anno per l’impugnazione.
In tal senso si è pronunziata Cassazione civile sez. marzo 2009, n. 7218, che ha affermato che in tema di reclamo avanti al tribunale fallimentare dei decreti del giudice delegato aventi natura decisoria (nella specie, in materia di liquidazione dell’attivo), qualora il provvedimento impugnato non sia stato comunicato, non opera il termine di cui all’art. 26 L. Fall., bensì quello annuale, decorrente dalla pubblicazione, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., conseguendone l’inammissibilità del reclamo stesso ove proposto oltre tale scadenza (in maniera conforme, in motivazione, si veda anche Cass. n. 9321 del 2013).
Pertanto, laddove sia stata omessa la comunicazione del decreto di chiusura del fallimento, questi diviene definitivo solo decorso un anno dalla sua pubblicazione (oltre sospesone feriale dei termini), occorrendo avere riguardo, e non condividendo il Collegio quanto affermato da Cass. n. 3824 del 2019, richiamata dalla difesa erariale, in merito all’applicazione del diverso termine semestrale – sul presupposto che si tratti di un subprocedimento camerale autonomo alla prevalenza ai fini della pendenza della data di dichiarazione del fallimento, di cui il decreto in questione costituisce l’esito.
Occorre ricordare che la possibilità di invocare il termine di cui all’art. 26 L. Fall., anche alle procedure concorsuali preesistenti alla data della modifica della legge stessa, è in contrasto con la chiara volontà del legislatore (in senso analogo quanto alla necessità di avere riguardo, per le procedure fallimentari cui non si applica la riforma della legge fallimentare, alla data di comunicazione del decreto, al fine di far scattare il termine breve di impugnazione dello stesso, dovendosi in assenza avere riguardo al termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., Cass. n. 21777 del 2016; Cass. n. 8816 del 2018).
L’accogliento del secondo motivo, con l’individuazione del termine lungo annuale per la proposizione dell’impugnazione del decreto di chiusura, rende poi superflua la disamina del primo motivo.
Infatti, atteso che il decreto di chiusura del fallimento è stato pronunciato in data ***** e che la domanda di equo indennizzo è stata invece proposta in data *****, la stessa deve ritenersi comunque tempestiva a prescindere dall’applicazione o meno della sospensione feriale, posto che anche ove si reputi applicabile la disposizione di cui all’art. 36 bis L. Fall., il decreto di chiusura è divenuto definitivo in data *****, risultando quindi rispettata la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.
Il ricorso deve pertanto essere accolto (in senso conforme si veda Cass. n. 8088 del 2019) ed il decreto va cassato, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Bologna che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso ed, assorbito il primo, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021