Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32012 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18166-2019 proposto da:

BESONDA S.S. AZIENDA AGRICOLA DEI F.LLI F.G. E F., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.B. TIEPOLO, 4, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI SMARGIASSI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO MINELLA;

– ricorrente –

contro

GARBAGNATI SOCIETA’ AGRICOLA a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato CURZIO CICALA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICHARD MARTINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5292/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Lecco, Sezione specializzata agraria, la Garbagnati società agricola a r.l. convenne in giudizio la Besonda s.s. Azienda agricola dei fratelli F., chiedendo che fosse dichiarata la cessazione, per decorrenza del termine, del contratto di affitto agrario intercorso tra le parti, con conseguente condanna della società convenuta al rilascio dei terreni.

Si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’esistenza di un nuovo contratto (verbale) di affitto, a condizioni diverse, della durata di quindici anni.

Il Tribunale, dopo aver disposto il differimento dell’udienza a causa della proposizione della riconvenzionale, accolse la domanda principale, dichiarò improponibile la domanda riconvenzionale per mancato previo esperimento del tentativo di conciliazione, dichiarò risolto il contratto agrario per scadenza dei termini e condannò la società convenuta al rilascio dei terreni affittati, con il carico parziale delle spese di lite, compensate per l’altra parte.

2. La pronuncia è stata impugnata dalla parte soccombente e la Corte d’appello di Milano, Sezione specializzata agraria, con sentenza del 14 dicembre 2018, ha rigettato l’appello ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano propone ricorso la Besonda s.s. Azienda agricola dei fratelli F. con atto affidato a due motivi.

Resiste la Garbagnati società agricola a r.l. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 158 e 276 c.p.c., sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere la nullità della sentenza di primo grado conseguente alla diversa composizione del collegio giudicante.

Osserva la parte ricorrente che il Tribunale aveva scisso l’udienza di discussione in due momenti costituiti da due diverse udienze, nella seconda delle quali si era discusso della domanda riconvenzionale. La Sezione agraria era diversamente composta nella seconda udienza (del 10 luglio 2018), essendo cambiato uno dei componenti non togati del collegio giudicante. Da tanto discenderebbe la nullità della sentenza per violazione anche del codice di rito civile, art. 276.

1.1. Il motivo non è fondato.

Giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il principio della immodificabilità del collegio giudicante trova applicazione anche nel rito del lavoro (che si applica per le cause agrarie), ai sensi degli artt. 276,420 e 437 c.p.c., ma solo dal momento in cui inizia la discussione vera e propria, sicché solo la decisione della causa da parte di un collegio diverso da quello che ha assistito alla discussione può dare luogo a nullità della sentenza, non rilevando, invece, una diversa composizione del collegio che abbia assistito a precedenti udienze di trattazione (sentenza 10 agosto 2006, n. 18156, confermata dalla più recente sentenza 15 settembre 2016, n. 18126).

Quanto al rito ordinario, è stato affermato che in tema di deliberazione collegiale della decisione nel regime successivo alla riforma recata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, l’art. 276 c.p.c., comma 1, – rimasto invariato nella sua formulazione, la quale prevede che alla deliberazione della decisione “possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione” – va interpretato nel senso che i giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni. Pertanto, in grado di appello, in base alla disciplina di cui al novellato art. 352 c.p.c., il collegio che delibera la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l’ultima attività processuale (cioè la discussione o la precisazione delle conclusioni), conseguendone la nullità della sentenza nel caso di mutamento della composizione del collegio medesimo (sentenza 12 agosto 2009, n. 18268, e ordinanza 11 marzo 2015, n. 4925).

Applicando tali principi al caso in esame, come risulta dallo stesso ricorso (pp. 10 e 11), è vero che vi fu un mutamento del collegio giudicante tra l’udienza dell’8 maggio 2018 e quella del 10 luglio 2018, ma è altrettanto vero che nella seconda udienza – alla quale fece poi seguito la decisione della causa con lettura del dispositivo – le parti discussero la controversia rassegnando le rispettive conclusioni. Ne consegue che, anche ammettendo che la discussione abbia avuto luogo in parte all’udienza precedente, ciò non si traduce nella pretesa nullità della sentenza, perché nell’udienza del 10 luglio vi fu comunque una discussione integrale, per cui la regola di cui all’art. 276 c.p.c., è da ritenere rispettata.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ed inesistenza della motivazione in ordine alla mancata valutazione dell’eccezione riconvenzionale.

Sostiene la società ricorrente che la Corte d’appello, respingendo il motivo di gravame contro la sentenza del Tribunale, avrebbe confuso l’eccezione riconvenzionale con la domanda riconvenzionale. Nella comparsa di costituzione in primo grado, infatti, la società Besonda aveva chiesto il rigetto della domanda principale della società attrice “per essere intervenuti nuovi accordi e rinnovo parziale del contratto di affitto”; dopo di che, la stessa aveva avanzato domanda riconvenzionale di accertamento dell’esistenza di un nuovo contratto di affitto. La sentenza impugnata, confermando sul punto la decisione di primo grado, avrebbe erroneamente equiparato le due richieste, in tal modo non esaminando l’eccezione riconvenzionale la quale, invece, avrebbe dovuto essere esaminata.

2.1. Il motivo è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che nel rito locatizio la domanda riconvenzionale formulata con la memoria di cui all’art. 416 c.p.c., senza richiesta, ai sensi dell’art. 418 c.p.c., di spostamento dell’udienza è inammissibile, ma non preclude la valutazione, da parte del giudice, del fatto integratore della stessa che assuma valore di eccezione, quale fatto impeditivo, estintivo o modificativo del fatto costitutivo della pretesa dell’attore, ai fini della decisione sulla domanda principale, risultando rispettata la relativa preclusione fissata dall’art. 416 c.p.c. (sentenza 26 maggio 2014, n. 11679; così, analogamente, quanto al rito ordinario, v. la sentenza 19 maggio 2015, n. 10206).

Allo stesso modo è stato detto che, qualora il convenuto chieda, in via riconvenzionale, accertarsi l’esistenza di un rapporto contrattuale diverso da quello prospettato dall’attore, sull’assunto che da ciò deriverebbe la nullità o l’inefficacia, totale o parziale, o comunque un effetto estintivo, impeditivo o modificativo dei diritti fatti valere dall’attore medesimo, domandando anche l’eventuale condanna di quest’ultimo al pagamento di quanto dovuto in base a tale differente prospettazione, qualora una siffatta domanda riconvenzionale risulti inammissibile per motivi processuali, la stessa può e deve comunque essere presa in considerazione come eccezione, con il solo e più limitato possibile esito del rigetto delle richieste di parte attrice (sentenza 25 ottobre 2016, n. 21472).

Nel caso in esame, tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello non hanno esaminato la domanda riconvenzionale dell’odierna ricorrente per mancato esperimento del previo tentativo di conciliazione; e tale decisione è del tutto corretta. Nello stesso tempo, però, entrambi i giudici di merito non hanno esaminato il contenuto di quella domanda nemmeno ai limitati fini di eccezione – costituita dall’esistenza di un ulteriore contratto verbale di affitto, di contenuto diverso rispetto al precedente – che avrebbe avuto (potenzialmente) la capacità di paralizzare (almeno in parte) la domanda di rilascio della società attrice. Rileva la Corte che la mancanza del previo tentativo di conciliazione giustificava l’omesso esame della domanda riconvenzionale di accertamento dell’esistenza di un diverso contratto verbale di affitto, ma non esimeva i giudici di merito dall’onere di tenere in considerazione quel fatto come eccezione riconvenzionale, anche perché la società Besonda si era tempestivamente costituita (per cui il termine dell’art. 416 c.p.c., era stato rispettato).

3. In conclusione, è rigettato il primo motivo di ricorso ed è accolto il secondo.

La sentenza impugnata è cassata in relazione e il giudizio è rinviato alla medesima Corte d’appello di Milano, Sezione specializzata agraria, in diversa composizione, la quale deciderà la causa attenendosi ai principi di diritto richiamati al precedente punto 2.1.

Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Milano, Sezione specializzata agraria, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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