Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32019 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4616-2020 proposto da:

S.P., S.F., S.S., S.A., elettivamente domiciliati in ROMA, via VALADIER n. 44, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MANGAZZO, rappresentati e difesi dall’avvocato FELICE LAUDADIO;

– ricorrenti –

contro

D.R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO OLIVIERO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1322/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del 26/9/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 26/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano Valle, osserva quanto segue.

FATTO E DIRITTO

E’ impugnata da S.P., S.F., S.S. e S.A., con atto affidato a due motivi, la sentenza della Corte di Appello di Salerno n. 1322 del 6/09/2019 che, confermando l’ordinanza, ai sensi dell’art. 186 ter c.p.c., del Tribunale di Nocera inferiore del 01/03/2016, ha ritenuto che un’azione relativa a dei beni immobili (fabbricato e terreni) proposta dai suddetti nei confronti di D.R.A., fosse un’azione di rivendicazione e non di rilascio di beni immobili (fabbricato, terreno circostante e ulteriore appezzamento di terreno, tutti ubicati nel Comune di ***** e meglio identificati in atti).

La proposta del consigliere relatore di definizione del ricorso secondo il rito di cui all’art. 375 c.p.c., è stata ritualmente notificata alle parti.

Non sono state depositate memorie.

Il primo motivo di ricorso deduce: violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Il primo motivo fa valere mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con riferimento ad un’azione di rilascio, che la Corte avrebbe qualificato azione di rivendica.

Ora a prescindere dalla esattezza della qualificazione giuridica dell’azione esperita da S.P., S.F., S.S. e S.A., quali aventi causa dal padre S.V., deve rilevarsi, ad opinione del Collegio, che il motivo è aspecifico, in quanto non risulta riprodotto nemmeno per sommi capi il contenuto degli atti, di citazione in appello e di citazione in primo grado, con la conseguenza che non si comprende effettivamente se la qualificazione dell’azione fornita dalla Corte territoriale sia esatta oppure no.

Il motivo dunque è inammissibile, in quanto la sua illustrazione si fonda su documenti e (o) atti processuali, ma non osserva nessuno dei contenuti dell’indicazione specifica prescritta dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto: a) non ne trascrive direttamente il contenuto per la parte che dovrebbe sorreggere la censura, né, come sarebbe stato possibile in alternativa, lo riproduce indirettamente indicando la parte del documento o dell’atto, in cui troverebbe rispondenza l’indiretta riproduzione; b) non indica la sede del giudizio di merito in cui il documento venne prodotto o l’atto ebbe a formarsi; c) non indica la sede in cui in questo giudizio di legittimità il documento, in quanto prodotto (ai diversi effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), se nella disponibilità, sarebbe esaminabile dalla Corte, ovvero, sempre in quanto prodotto, sa esaminabile in copia, se trattisi di documento della controparte; d) non indica la sede in cui l’atto processuale sarebbe esaminabile in questo giudizio di legittimità, in quanto non precisa di averlo prodotto in originale (ove possibile) o in copia (ove trattisi di atto della controparte o del fascicolo d’ufficio, come i verbali di causa) e nemmeno fa riferimento alla presenza nel fascicolo d’ufficio (come ammette Sez. U n. 22726 del 03/11/2011 Rv. 619317 – 01).

Il motivo, deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Il secondo mezzo censura come segue la sentenza d’appello: violazione degli artt. 232 e 233 c.p.c., error in procedendo.

Il mezzo ribadisce che la sentenza è nulla per extrapetizione, per violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il motivo denuncia, altresì, la mancata attribuzione di rilevanza all’omessa prestazione del giuramento decisorio deferito alla d.R..

Il secondo motivo riguarda, pertanto, in particolare – in quanto la violazione dell’art. 112 c.p.c., era già stata proposta, e in questa sede ritenuta inammissibile, con il primo mezzo – la mancata presentazione della D.R. a rendere giuramento decisorio.

Sul punto, deve rilevarsi, anche in relazione a detto mezzo, l’assoluta insufficienza della formulazione del motivo di ricorso, che non riporta in alcun modo la formula del giuramento decisorio che sarebbe stato deferito alla controparte dei S..

Inoltre deve ribadirsi, in relazione all’affermazione della Corte territoriale che ha escluso la rilevanza decisoria del giuramento decisorio deferito alla D.R., che una volta escluso che la circostanza sul quale esso era deferito avesse un’autonoma valenza decisoria, la sua mancata ammissione risulta adeguatamente motivata (quale espressione di un orientamento costante si veda: Cass. n. 16216 del 18/06/2019 Rv. 654607 – 01): “Il giudice di merito deve sempre disporre il giuramento decisorio, benché deferito in via subordinata, anche se i fatti con esso dedotti siano stati già accertati o esclusi in base alle nSultaRe probatorie, purché il contenuto del giuramento abbia il carattere della decison’età in ordine al “thema decidendum” oggetto della controversia.”.

Nella specie la Corte di Appello ha affermato che le circostanze sulle quali era chiamata a giurare la D.R., ossia l’essere ella priva di titolo all’occupazione degli immobili, non assumevano valenza decisoria, in quanto inidonee a fornire la prova del diritto di proprietà dei S. sugli immobili stessi (pagg. 9 e 10 della motivazione).

Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza dei ricorrenti e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto dell’attività processuale espletata e del valore della controversia, e devono essere distratte in favore dell’avvocato della controricorrente, il quale ha reso la dichiarazione di cui all’art. 93 c.p.c., comma 1.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 5.600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge, con distrazione in favore dell’avvocato Marco Oliviero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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