Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32030 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19713-2019 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIO DE CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA SUCCI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1329/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO FRANCESCO MARIA.

FATTI DI CAUSA

1. F.B. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Ministero della salute, chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti al contagio con il virus HCV asseritamente contratto a seguito di un’emotrasfusione con sangue infetto avvenuta nel 1968.

A sostegno della domanda l’attrice espose, tra l’altro, di avere scoperto solo nel 2005 la positività al virus HCV e di avere presentato in data 24 febbraio 2006 la domanda per il pagamento dell’indennizzo di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, ed aggiunse che la Commissione medico ospedaliera competente aveva dichiarato che la sua infermità era da ritenere di tipo post-trasfusionale.

Si costituì in giudizio il Ministero convenuto, eccependo la prescrizione del diritto e chiedendo comunque che, in caso di accoglimento della domanda, dal risarcimento del danno fosse detratto quanto dalla F. percepito a titolo di indennizzo ai sensi della legge suindicata.

Il Tribunale rigettò la domanda in accoglimento dell’eccezione di prescrizione e compensò le spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’attrice soccombente e la Corte d’appello di Roma ha pronunciato una prima sentenza, non definitiva, con la quale ha affermato che il diritto dell’appellante non era prescritto e che il Ministero della salute era da considerare responsabile per la trasfusione con sangue infetto; indi, con la sentenza definitiva del 22 febbraio 2019, la Corte di merito ha accolto il gravame ed ha condannato il Ministero della salute al pagamento della somma di Euro 156.400, oltre al danno da ritardato pagamento, con gli interessi e con il carico delle spese dei due gradi di giudizio.

3. Contro entrambe le sentenze della Corte d’appello di Roma ricorre il Ministero della salute con atto affidato ad un unico motivo.

Resiste F.B. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di Consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e la parte controricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,2043 e 2056 c.c., della L. n. 210 del 1992, art. 2, dell’art. 1243 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c..

La censura si appunta sul fatto che le sentenze impugnate non abbiano disposto la compensazione tra le somme percepite a titolo di risarcimento del danno e quelle percepite a titolo di indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992. Osserva il ricorrente che la c.d. compensatio lucri cum damno è stata ormai riconosciuta più volte dalla giurisprudenza di legittimità e che la danneggiata, a fronte di tale rilievo proposto nella comparsa di risposta di primo grado del Ministero, nulla avrebbe controdedotto; d’altra parte, la percezione dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 era una circostanza da ritenere pacifica, posto che la proposizione della domanda in sede amministrativa era stata individuata come dies a quo ai fini del decorso della prescrizione.

1.1. Il motivo non è fondato.

1.2. E’ opportuno innanzitutto premettere, come correttamente rileva la parte ricorrente, che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato, a partire dalla sentenza 11 gennaio 2008, n. 584, delle Sezioni Unite di questa Corte, che il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla L. n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compensatio lucri cum damno), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo.

Alla luce di quest’orientamento, si è anche stabilito che il diffalco debba avvenire, trattandosi di erogazione periodica, comprendendo sia i ratei già corrisposti al momento della liquidazione del danno che quelli futuri, con il criterio della capitalizzazione (ordinanza 6 dicembre 2018, n. 31543).

Tale principio è stato poi, più di recente, esteso anche ad una serie di altre fattispecie nelle quali si realizza la c.d. compensatio lucri cum damno (Sezioni Unite, sentenza 22 maggio 2018, n. 12564, ed altre in pari data).

1.3. E’ stato poi anche affermato che l’eccezione di compensatio lucri cum damno è un’eccezione in senso lato, vale a dire non l’adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma una mera difesa in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, ed e’, come tale, rilevabile d’ufficio dal giudice il quale, per determinare l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio (sentenze 14 gennaio 2014, n. 533, 24 settembre 2014, n. 20111, e 24 novembre 2020, 26757).

Allo stesso modo, però, la recente giurisprudenza ha più volte ribadito che tale compensazione non può operare qualora la somma versata non sia stata corrisposta e tantomeno determinata o determinabile, in base agli atti di causa, nel suo preciso ammontare (così l’ordinanza 31 gennaio 2019, n. 2778, in linea con la sentenza 14 giugno 2013, n. 14932). Per cui, mancando la prova della somma esattamente versata – prova da porre a carico di chi eccepisce la compensazione, cioè, nella specie, il Ministero ricorrente – la stessa non può avere luogo (v. la sentenza 22 agosto 2018, n. 20909, e le ordinanze 30 agosto 2019, n. 21837, e 3 settembre 2019, n. 21967).

Deriva dal complesso di questa giurisprudenza che l’invocata compensazione non può essere disposta “al buio”, cioè senza nessuna prova o indicazione né dell’effettivo versamento di somme a titolo di indennizzo né del loro esatto ammontare, elemento indispensabile ai fini della corretta formazione del titolo esecutivo.

2. Tutto ciò premesso, il ricorso è evidentemente privo di fondamento. Ed infatti il Ministero, pur avendo eccepito fin dal giudizio di primo grado che la F. aveva percepito l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 – circostanza che, in sé, può darsi per pacifica – non ha poi adempiuto al proprio onere probatorio nei termini chiariti; non ha cioè indicato, né chiesto di indicare, quale fosse l’entità della somma percepita mensilmente dalla danneggiata. Il ricorso, inoltre, non si fa carico in alcun modo di questo problema; e non considera che il fatto puro e semplice di aver percepito una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo ed un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l’esatto ammontare, né il carattere predeterminato delle tabelle consente di individuare, in mancanza di dati specifici dei quali è onerato chi eccepisce il lucrum, il preciso importo da portare in decurtazione del risarcimento (così la citata sentenza n. 14932 del 2013).

3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

In ragione degli esiti contrastanti dei due giudizi di merito e delle obiettive oscillazioni della giurisprudenza, la Corte stima equo compensare per intero le spese del giudizio di cassazione.

Non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, essendo il ricorrente una parte pubblica.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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