Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32038 del 05/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10561-2020 proposto da:

V.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CONSUELO FEROCI;

– ricorrente –

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE;

– intimati –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE di ANCONA;

– intimata –

avverso il decreto N. cronol. 3209/2020 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 12/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALITUTTI ANTONIO.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Ancona, V.O., cittadina dell’Ucraina, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegatagli dalla competente Commissione territoriale. Con decreto n. 3209/2020, depositato il 12 marzo 2020, l’adito Tribunale rigettava il ricorso.

2. Il giudice di merito escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento alla medesima dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando non attendibili comunque inidonee a fondare la domanda di protezione internazionale le dichiarazioni della richiedente, circa le ragioni che l’avevano indotta ad abbandonare il suo Paese, ritenendo non sussistente, nella zona di provenienza dell’istante, una situazione di violenza indiscriminata, derivante da conflitto armato interno o internazionale, e rilevando che non erano state allegate dalla medesima specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini della protezione umanitaria.

3. Per la cassazione di tale ordinanza ha, quindi, proposto ricorso V.O. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a due motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, V.O. denuncia la violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, nonché del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8 e 14.

1.1. La ricorrente censura la decisione impugnata per non avere il giudice di merito tenuto conto della situazione di difficoltà economica in cui la richiedente si sarebbe trovata esposta in caso di rientro in Patria, avendo anche subito una rapina nel suo Paese. Tale situazione sebbene denunciata alla polizia, non avrebbe ricevuto alcun seguito.

1.2. Il mezzo è inammissibile.

1.2.1. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi, pertanto, di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14. I c.d. “soggetti non statuali” possono, invero, considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave solo ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 (cfr. Cass., 01/04/2019, n. 9043; Cass., 23/10/2020, n. 23281).

1.2.2. Nel caso concreto non risulta, per contro, neppure allegata circostanza alcuna in tal senso, idonea ad evidenziare un difetto di protezione da parte dello Stato, non essendo stata, peraltro, la circostanza della rapina come accertato dal Tribunale – neppure allegata all’atto dell’ingresso della richiedente in Italia, bensì esclusivamente nel giudizio di merito.

2. Con il secondo motivo di ricorso, V.O. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2.1. Lamenta l’istante che il Tribunale non abbia inteso concederle neppure la protezione umanitaria.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.2.1. Il giudice territoriale ha motivato il diniego di protezione umanitaria – che si applica temporalmente al caso di specie (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461/2019 – in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte della richiedente non evidenzia situazione alcuna di vulnerabilità personale, non avendo l’istante non allegato né problemi di salute, né seri profili di integrazione sociale, non avendo peraltro se non un lavoro un lavoro non del tutto stabilizzato. Del resto l’accertata non credibilità della narrazione dei fatti operata dalla medesima, ed il mancato rilievo di una generale situazione sociopolitica negativa, nella zona di provenienza, correttamente hanno indotto il Tribunale a denegare la misura in esame (cfr. Cass., 23/02/2018, n. 4455), operando una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461/2019).

2.2.2. Ne’ la ricorrente – al di là di generiche dissertazioni relative ai principi giuridici in materia, ed alla riproposizione dei temi di indagine già sottoposti al giudice di merito – ha dedotto di avere allegato, nel giudizio di primo e secondo grado, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità.

3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata, rituale, costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472