Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32040 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10738-2020 proposto da:

M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHISIMAIO, 29, presso lo studio dell’avvocato MARILENA CARDONE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il provvedimento n. 831/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositato il 15/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALITUTTI ANTONIO.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale di Cagliari, M.N., cittadino della Costa d’Avorio, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegatagli dalla competente Commissione territoriale. Con decreto depositato il 24 giugno 2016, l’adito Tribunale rigettava il ricorso.

2. Con sentenza n. 831/2019, depositata il 15 ottobre 2019, la Corte d’appello di Cagliari rigettava l’appello proposto da M.N.. La Corte escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento al medesimo dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando non attendibili le dichiarazioni del richiedente, circa le ragioni che l’avevano indotto ad abbandonare il suo Paese, ritenendo non sussistente, nella zona di provenienza dell’istante, una situazione di violenza indiscriminata, derivante da conflitto armato interno o internazionale, e rilevando che non erano state allegate dal medesimo specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini della protezione umanitaria.

3. Per la cassazione di tale sentenza M.N. ha, quindi, proposto ricorso nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a tre motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i tre motivi di ricorso, M.N. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, e art. 7, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’appello non abbia riconosciuto al medesimo neppure la forma residuale di protezione internazionale costituita dalla protezione umanitaria, sulla quale il richiedente aveva “insistito particolarmente” nei due gradi del giudizio di merito. La Corte di merito, infatti, sebbene avesse ritenuto credibili le dichiarazioni rese dall’istante, avrebbe erroneamente escluso che il medesimo potesse essere sottoposto a persecuzioni, per ragioni economiche nel Paese di origini, a causa delle “violenze degli usurai” alle quali sarebbe, invece andato certamente incontro. Il giudice di appello avrebbe, inoltre, omesso di accertare sulla base di fonti internazionali – in tal modo violando l’obbligo di cooperazione sancito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 – la situazione politico-sociale del Bangladesh, che invece “dai rapporti di Amnesty International ha subito un notevole peggioramento negli ultimi anni”, ed avrebbe erroneamente ritenuto applicabile al caso di specie la normativa di cui alla L. n. 132 del 2018, non avente carattere retroattivo, alla domanda proposta del richiedente prima della sua entrata in vigore.

1.2. Il mezzo è inammissibile.

1.2.1. Va rilevato che il giudice territoriale ha motivato il diniego di tale forma di protezione prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, che si applica temporalmente al caso di specie (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461/2019 – richiesta dal ricorrente nei due gradi del giudizio di merito, in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte del richiedente non evidenzia situazione alcuna di vulnerabilità personale, non essendo stati dedotti “motivi di ricongiungimento familiare, motivi di età, motivi di salute, ed ancora motivi di timore per l’incolumità personale in caso di rientro in Patria”. La Corte territoriale ne ha tratto il convincimento – non essendo neppure attivabili, per difetto di allegazioni, i poteri di indagine D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 8 – che si trattasse di un caso di “migrante economico”, come tale non avente diritto alla protezione richiesta.

1.2.2. Tanto premesso, va rilevato che la domanda di protezione umanitaria nella vigenza della normativa applicabile ratione temporis – non si sottrae all’onere di allegazione del richiedente, con riferimento agli specifici fatti e circostanze che possono dare luogo a tale forma di protezione (Cass., 31/03/2020, n. 7622; Cass., 07/08/2019, n. 21123; Cass., 07/08/2019, n. 21129). E, sotto tale profilo, anche la condizione economico-sociale del paese di origine, laddove si sia determinata una situazione, dettata da ragioni d’instabilità politica o altro, di assoluta ed inemendabile povertà per alcuni strati della popolazione, o per tipologie soggettive analoghe a quelle del ricorrente, può integrare, ma – evidentemente – se specificamente allegata, una situazione di violazione dei diritti umani, al di sotto del loro nucleo essenziale (Cass., 28/07/2020, n. 16119; Cass., 04/09/2020, n. 18443).

Nel caso di specie, per contro, la Corte d’appello ha accertato – in fatto – che il richiedente, nella narrazione delle vicende che lo avevano indotto ad abbandonare il Bangladesh, ha omesso “qualsiasi riferimento alle condizioni del suo Paese, incentrando la sua storia sul suo vissuto e segnatamente sulle sue difficoltà economiche”, senza neppure allegare, pertanto, che le stesse fossero in qualche modo emendabili nel Paese di origine. Del tutto generico, si palesa, sul punto, il riferimento – peraltro inammissibilmente operato solo in questa sede – a pretesi “usurai” che lo avrebbero minacciato, senza neppure specificare dove, come e quando.

1.2.3. Ne’ il ricorrente ha dedotto in alcun modo di avere allegato – nel giudizio di merito – seri profili di integrazione sociale nella realtà italiana, tali da consentire alla Corte territoriale di operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla eventuale situazione di integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461/2019).

1.2.4. A fronte di tali motivate conclusioni del giudice di appello, il ricorrente – al di là di deduzioni di principio circa la forma di protezione in questione e della riproposizione di quanto già prospettato nella fase di merito non ha in alcun modo dedotto di avere allegato, nel giudizio di primo e secondo grado, ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità.

2. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata, rituale, costituzione dell’intimato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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