LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11285-2020 proposto da:
K.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO DI PALMA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 880/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 04/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VALITUTTI ANTONIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso al Tribunale di Cagliari, K.I., cittadino del Mali, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegatagli dalla competente Commissione territoriale. Con ordinanza depositata il 10 marzo 2016 l’adito Tribunale rigettava il ricorso.
2. Con sentenza n. 880/2019, depositata 4 novembre 2019, la Corte d’appello di Cagliari escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento al medesimo dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando non attendibili – e comunque inidonee a fondare una domanda di protezione internazionale – le dichiarazioni del richiedente, circa le ragioni che l’avevano indotto ad abbandonare il suo Paese, ritenendo non sussistente, nella zona di provenienza dell’istante, una situazione di violenza indiscriminata, derivante da conflitto armato interno o internazionale, e rilevando che non erano state allegate dal medesimo specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini della protezione umanitaria.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso K.I. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a quattro motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, K.I. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,6, e 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. Deduce il ricorrente di avere allegato dettagliatamente – nei due gradi del giudizio di merito – “le gravi minacce di morte ricevute a seguito della falsa accusa di furto ed il rischio concreto di finire ingiustamente vittima di trattamenti inumani e degradanti a causa del precario sistema carcerario maliano”. Ne consegue che i rischi denunciati “configurano l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sub lett. b)”.
1.2. Il motivo è inammissibile.
1.2.1. Il ricorso per cassazione deve contenere, invero, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421). In particolare è necessario che venga contestata specificamente la “ratio decidendi” posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
1.2.2 Nel caso di specie, la Corte d’appello ha affermato che l’appellante aveva limitato l’impugnazione ai capi dell’ordinanza che hanno denegato sia la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c), sia la protezione umanitaria, sicché “deve ritenersi il passaggio in giudicato della decisione, relativamente ai capi che hanno rigettato la domanda di protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), per difetto di specifica censura” (p. 7). Il motivo di ricorso non si confronta in alcun modo con tale ratio decidendi dell’impugnata sentenza, per cui deve essere dichiarato inammissibile.
2. Con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso – che, per la loro evidente connessione vanno esaminati congiuntamente – K.I. denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, comma 6 e art. 8, e dell’art. 132 c.p.c., nonché il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
2.1. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’appello non abbia riconosciuto – peraltro con motivazione da considerarsi inesistente, ed in violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, sancito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 – il diritto del richiedente alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c), sebbene – sulla base di fonti internazionali, più aggiornate di quelle consultate dal collegio giudicante – fosse riscontrabile in Mali una situazione di violenza indiscriminata, derivante dal conflitto tra due opposte fazioni politiche.
2.2. Le censure sono inammissibili.
2.2.1. Va, per vero, rilevato che la Corte territoriale ha accertato – con ricorso a fonti internazionali aggiornate, citate nel provvedimento – che la regione di provenienza dell’istante (Kayes) è immune da situazioni di violenza indiscriminata derivanti da un conflitto armato interno o internazionale, mentre tale situazione riguarda altre regioni del Paese.
2.2.2. Il richiedente ha peraltro affermato, nel ricorso, che la situazione sarebbe stata superata da successivi aggiornamenti, genericamente citati dal ricorrente. Senonché va rilevato, al riguardo, che nell’ipotesi in cui il giudice abbia, bensì, fondato la decisione su fonti aggiornate, ma il ricorrente deduca che tali fonti non siano le ultime concernenti la zona di provenienza, ciò non si traduce, di per sé, in un motivo di nullità della pronuncia impugnata, salvo che il richiedente deduca e dimostri – riproducendone il contenuto essenziale nel ricorso – che da queste ultime fonti emergano specifici elementi di accresciuta instabilità e pericolosità non considerati (Cass., 30/10/2020, n. 23999; Cass., 12/03/2021, n. 7105). Nel caso concreto, per contro, l’allegazione sul punto è del tutto generica.
2.2.3. Quanto alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia inteso concedere al medesimo neppure la forma residuale di protezione costituita dalla protezione umanitaria. E tuttavia anche sotto tale profilo i mezzo si palesa inammissibile.
2.2.4.. Va rilevato, infatti, che il giudice territoriale ha motivato il diniego di tale forma di protezione – che si applica temporalmente al caso di specie (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461/2019 – in considerazione del fatto che la narrazione delle vicende che avrebbero determinato l’abbandono del Paese di origine da parte del richiedente non evidenzia situazione alcuna di vulnerabilità personale, trattandosi di una vicenda risolvibile mediante il ricorso alla giustizia ordinaria. Del resto il mancato rilievo di una generale situazione socio-politica negativa, nella zona di provenienza tale da incidere in maniera significativa sui diritti fondamentali, correttamente ha indotto la Corte a denegare la misura in esame (cfr. Cass., 23/02/2018, n. 4455), operando una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione neppure allegata – raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. U., nn. 29459, 29460, 29461/2019).
2.2.5. A fronte di tali motivate conclusioni del giudice di appello, il ricorrente – al di là di deduzioni di principio circa la forma di protezione in questione e della riproposizione di quanto già prospettato nella fase di merito non ha in alcun modo dedotto di avere allegato nel giudizio di primo grado neppure sotto il profilo della eventuale integrazione nella realtà del Paese ospitante, in ordine alla quale nessun elemento al riguardo è stato fornito ulteriori, specifiche, situazioni di vulnerabilità.
3. Per tutte le ragioni esposte, il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, senza alcuna statuizione sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 18 maggio 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021