LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11673-2019 proposto da:
AGENZIA DELLA RISCOSSIONE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
S.R.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 349/6/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CALABRIA, depositata il 12/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 15/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.
FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE L’Agenzia delle entrate Riscossione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro S.R., impugnando la sentenza della CTR Calabria indicata in epigrafe che, per quanto ancora qui rileva, nel rigettare l’appello proposto da Equitalia spa avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato l’intimazione di pagamento, riteneva inutilizzabili i documenti prodotti tardivamente in primo grado dall’Agenzia e riprodotti in appello, considerando comunque prescritte le pretese portate dalle cartelle anche a volerle considerare ritualmente notificate.
La parte intimata non si è costituita.
Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58. La CTR avrebbe errato nel ritenere tardiva la produzione della documentazione attestante la ritualità delle notifiche delle cartelle.
La censura sarebbe astrattamente fondata.
Ed invero, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che in tema di contenzioso tributario, la produzione di nuovi documenti in appello, sebbene consentita D.Lgs. n. 546 del 1992 ex art. 58, deve avvenire, ai sensi dello stesso decreto, art. 32, entro venti giorni liberi antecedenti l’udienza: tuttavia, l’inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti abbiano la possibilità di ritirarli, con la conseguenza che la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e “ritualmente” nel giudizio di impugnazione – cfr. Cass. n. 5429/2018, Cass. n. 16652/2018 -.
A tali principi non si è invero uniformato il giudice di merito che ha escluso di potere esaminare i documenti tardivamente prodotti in primo grado dall’Agenzia Riscossione, escludendo che gli stesso potessero essere esaminati sulla base dell’erroneo convincimento che detti documenti potessero riguardare unicamente documenti nuovi rispetto a quelli versati irritualmente nel corso del giudizio di primo grado.
Ma la correttezza della censura rimane assorbita dal rigetto del secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2946 c.c., assumendo che il termine di prescrizione di talune cartelle sarebbe stato decennale e non quinquennale, poi aggiungendo che i termini sarebbero stati comunque interrotti dalla notifica della comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria n. 13198/94, notificata l’1.7.2005. Aggiungeva, altresì, che non sarebbe stato possibile, in caso di rituale notifica delle cartelle, prospettare la invalidità delle stesse.
Orbene, la censura e’, per l’un verso, inammissibile per difetto di autosufficienza quanto alla natura della pretesa fiscale dedotta ed alla postulata rituale notificazione delle stesse, che il giudice di appello si è visto avere escluso in ragione dell’erroneo convincimento correlato all’impossibilità di esaminare in fase di gravame la documentazione concernente la notifica delle cartelle prodotta tardivamente in primo grado. Tale circostanza, tuttavia, non poteva esonerare la ricorrente dall’allegare gli atti ai quali si riferiva la censura al fine di poterne vagliare il contenuto da parte di questa Corte, anche ai fini della prospettata rilevanza del termine di prescrizione decennale.
Quanto alla esistenza di un atto idoneo ad interrompere il detto termine di prescrizione, giova solo evidenziare che la ricorrente ha sì indicato una comunicazione preventiva di iscrizione come elemento fondante la censura, ma non ha correttamente posto la questione innanzi a questa Corte, poiché sotto il profilo della violazione di legge prospettato dalla ricorrente non può certo farsi ricadere l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio fatto oggetto di contraddittorio, alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. E tale era appunto da considerare la censura relativa alla comunicazione preventiva di ipoteca che già in fase di gravame era stata prospettata dall’Agente della riscossione per superare i rilievi censori esposti dalla parte ricorrente.
Giova, infine, evidenziare che a parte il profilo dell’inammissibilità della censura concernente il termine di prescrizione di cartelle ritualmente notificate, la stessa è infondata. Ed invero, la CTR ha ritenuto di dovere affrontare la questione della prescrizione dei crediti portati dalle cartelle delle quali si è occupata – al netto di quelle per le quali ebbe a riconoscere il proprio difetto di giurisdizione in favore della giurisdizione del giudice ordinario – ed in ciò non ha commesso alcun errore in diritto, ponendosi in linea con quanto affermato da Cass. n. 19311 del 16-09-2020 – e precedenti ivi indicati-alla cui stregua è possibile eccepire la prescrizione di un credito maturato successivamente alla notifica delle cartelle in seno all’impugnazione dell’intimazione di pagamento – v. anche Cass. n. 3990/2020 ha di recente ribadito che “nel solco dell’arresto delle Sezioni Unite di cui sopra si è dato conto, che debba essere riconosciuto l’interesse del contribuente ad esperire, attraverso l’impugnazione del ruolo, azione di accertamento negativo della pretesa dell’amministrazione facendo valere la prescrizione del credito maturata dopo la notifica della cartella (sul punto si veda: Cass. sez V 418/2018 Cass. sez. VI, 2301/2018; Cass. civ. sez. VI n. 29179/2017; Cass. civ., sez. VI, n. 29177/2017; Cass. civ., sez. VI, n. 29174/2017; Cass. civ., sez. VI n. 24932/2017)”.
Se, dunque, non può disconoscersi che l’esigenza di veder accertare la prescrizione del credito tributario può essere fatta valere anche con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, sebbene, in origine, la cartella fosse stata correttamente notificata, non può parimenti negarsi che le medesime ragioni devono condurre a ritenere che all’atto di impugnare l’intimazione di pagamento relativa a cartelle su crediti pretesi nei confronti del contribuente quest’ultimo possa prospettare la intervenuta prescrizione dei medesimi crediti successiva alla notifica delle cartelle ed alla loro definitività, come ha in definitiva ritenuto la CTR, accogliendo la censura relativa alla prescrizione dei crediti.
Sulla base di tali considerazioni, il primo motivo di ricorso, astrattamente fondato, resta assorbito dall’inammissibilità e infondatezza dei profili di censura esposti con riguardo al secondo motivo, per il che il ricorso va rigettato.
Nulla sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021