LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8206-2020 proposto da:
S.E.L., rappresentato e difeso dall’Avvocato NICOLA MINI per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FINANZIARIA SENESE DI SVILUPPO S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato PAOLA ROSIGNOLI per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 1725/2019 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, depositata il 16/7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/5/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, in accoglimento dell’appello proposto dalla Finanziaria Senese di Sviluppo – FISES s.p.a., ha rigettato l’opposizione che S.E.L. aveva proposto nei confronti del decreto con il quale il tribunale di Siena, nel 2009, gli aveva ingiunto il pagamento, in favore della società appellante, della somma di Euro 377.777,78, oltre interessi.
La corte, in particolare, dopo aver evidenziato che l’ipoteca è stata iscritta in forza di un titolo (decreto ingiuntivo) precedente rispetto alla data della scrittura e già da tempo esecutivo, ha evidenziato che l’appellato non avesse, ancor prima che provato, allegato il fatto storico posto a fondamento della sua opposizione, ossia che l’ipoteca giudiziale iscritta su un suo bene immobile abbia impedito la ristrutturazione aziendale di un altro soggetto, e cioè la Glassiena s.p.a.. Dagli atti, infatti, ha osservato la corte, “nulla risulta ed è stato provato, in tal senso”, emergendo, piuttosto, che “a seguito di scambio di mail tra i legali, la circostanza dell’iscrizione d’ipoteca sui beni del S…. era stata portata a conoscenza all’appellato e al suo legale”. In mancanza di ogni tipo di prova in ordine al fatto che i comportamenti della società appellante abbiano impedito il ripristino aziendale della Glassiena s.p.a., soggetto comunque terzo rispetto alle parti in causa, la corte ha, quindi, ritenuto che l’appello fosse fondato e che la sentenza di primo grado, che aveva accolto l’opposizione del S., dovesse essere, per l’effetto, integralmente riformata.
S.E.L., con ricorso notificato il 14/2/2020, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.
Finanziaria Senese di Sviluppo s.p.a. ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la falsa applicazione degli artt. 1175,1375,1460 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato l’opposizione proposta dal S. senza, tuttavia, considerare che la FISES, in data *****, contravvenendo a tutti i principi di correttezza e buona fede che governano gli accordi contrattuali, aveva iscritto ipoteca sui beni personali dell’opponente nonostante la stipula, in data *****, di un accordo transattivo con il quale il S., riconoscendo il debito maturato dalla Glassiena s.p.a. e accollandosi gli oneri derivanti dai patti parasociali, aveva indubbiamente novato il credito azionato con il decreto ingiuntivo posto a fondamento dell’iscrizione ipotecaria. Il S., in effetti, ove avesse avuto conoscenza del gravame sin dall’epoca della sua iscrizione, non avrebbe certo provveduto ad eseguire, in data 25/6/2009, il primo rateo di Euro 100.000,00. La sospensione del pagamento dei ratei successivi da parte del S., quindi, era, a norma dell’art. 1460 c.c., perfettamente legittima.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e per motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato l’opposizione proposta dal S. sul rilievo che l’opponente non avesse, prima ancora che prova, allegato il fatto storico alla base dell’opposizione, e cioè che l’ipoteca giudiziale iscritta aveva impedito la ristrutturazione aziendale della Glassiena s.p.a., omettendo, così, di pronunciarsi sulla domanda proposta dall’opponente, volta non già alla refusione del danno subito quale socio e garante di Glassiena ma piuttosto ad inficiare, a norma dell’art. 1460 c.c., il decreto ingiuntivo ottenuto sulla base della scrittura transattiva sul presupposto che l’iscrizione d’ipoteca era intervenuta in violazione dei principi di buona fede e correttezza e che ciò aveva legittimato il ricorrente a sospendere i pagamenti nei confronti della FISES a norma dell’art. 1460 c.c..
3.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
3.2. La corte d’appello, in effetti, ha rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dall’appellato sul rilievo che quest’ultimo non avesse, ancor prima che provato, allegato il fatto storico posto a fondamento della sua domanda, ossia che l’ipoteca giudiziale iscritta su un suo bene immobile abbia impedito la ristrutturazione aziendale di un altro soggetto, e cioè la Glassiena s.p.a., per cui, in difetto di qualsivoglia prova in ordine al fatto che i comportamenti della società appellante avessero impedito il ripristino aziendale della Glassiena s.p.a., la sentenza di primo grado, che aveva accolto l’opposizione del S., dovesse essere, per l’effetto, integralmente riformata.
3.3. Il ricorrente, pertanto, lì dove ha affermato che la corte ha omesso di pronunciarsi sulla domanda che lo stesso avrebbe effettivamente proposto, in quanto volta non già alla refusione del danno subito quale socio e garante di Glassiena ma piuttosto ad inficiare, a norma dell’art. 1460 c.c., il decreto ingiuntivo ottenuto sulla base della scrittura transattiva sul presupposto che l’iscrizione d’ipoteca era intervenuta in violazione dei principi di buona fede e correttezza, ha finito, in sostanza, per dolersi dell’interpretazione che la corte d’appello ha dato di tale domanda (o meglio, dell’atto di citazione, che la contiene).
3.4. Ora, non v’e’ dubbio che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il giudice di merito, nell’esercizio del potere d’interpretazione e qualificazione della domanda, ha il potere-dovere di accertare e valutare, senza essere condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella esercitata (Cass. n. 13602 del 2019). L’interpretazione del contenuto della domanda costituisce, peraltro, un tipico accertamento in fatto, riservato come tale al giudice di merito e sindacabile in cassazione solo per violazione delle norme che regolano l’ermeneutica contrattuale previsti dagli artt. 1362 e ss. c.c., la cui portata è generale, ovvero per vizio di omesso esame di un fatto a tal fine decisivo.
3.5. Il ricorrente che intenda utilmente censurare in sede di legittimità il significato attribuito dal giudice di merito ad un atto processuale, come l’atto di citazione, ha, dunque, l’onere (rimasto, nel caso di specie, inadempiuto) di invocare il vizio consistito o nell’omesso esame di fatti decisivi, indicandone la loro specifica deduzione in giudizio, ovvero nella violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale previsti dall’art. 1362 e ss. c.c., indicando altresì, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici, nonché, e prima ancora, il testo dell’atto oggetto dell’interpretazione asseritamente erronea (cfr. Cass. n. 16057 del 2016; Cass. n. 6226 del 2014; Cass. n. 11343 del 2003; più di recente, Cass. n. 12574 del 2019).
3.6. Nel caso di specie, come detto, tale onere non è stato adempiuto. Il ricorrente, infatti, pur dolendosi dell’interpretazione che la corte d’appello ha fornito dell’atto di citazione (in opposizione al decreto ingiuntivo), non ha indicato né quali criteri ermeneutici sarebbero stati violati, nell’espletamento di tale accertamento, dalla corte territoriale e in che modo la stessa se ne sarebbe discostata, né i fatti sul punto decisivi che la stessa avrebbe del tutto omesso di esaminare, ma, prima ancora, non hanno provveduto a riprodurre in ricorso, neppure nei suoi dati essenziali, il testo dell’atto che la corte d’appello avrebbe malamente interpretato.
4. Il ricorso e’, quindi, inammissibile.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
6. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021
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