Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.32073 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19266-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

OLEIFICI ITALIANI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, oggi ITALIANA INVESTIMENTI E PARTECIPAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA CIPOLLA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 8/2013 della COMM. TRIB. REG. PUGLIA SEZ. DIST. di LECCE, depositata il 28/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 8/22/2013, depositata il 28 gennaio 2013 dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, Sez. staccata di Lecce, che, a conferma della decisione di primo grado, aveva accolto il ricorso introduttivo della Oleifici Italiani s.p.a. avverso il silenzio rifiuto dell’Ufficio, formatosi sull’istanza di rimborso della somma di Euro 1.026.050,34, oltre interessi legali e anatocistici.

La controversia traeva origine dagli interventi di ampliamento e ammodernamento dell’opificio della società, per i quali era stata presentata istanza di riconoscimento dell’esenzione dall’Irpeg e dall’Ilor, nella misura rispettiva del 50% e del 100%. L’Amministrazione finanziaria aveva riconosciuto il rimborso del 91% dell’Ilor relativa al decennio 1987/1996, mentre, avendo escluso che gli interventi realizzassero una “nuova iniziativa produttiva”, aveva negato i benefici ai fini Irpeg. Era dunque seguito il contenzioso dinanzi alle commissioni di I e di II grado di Brindisi, nonché dinanzi alla Commissione centrale tributaria, alla Corte di Cassazione e, in sede di rinvio, di nuovo dinanzi al giudice di merito, definitosi con il passaggio in giudicato della sentenza n. 185/23/2006, emessa dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, Sez. staccata di Lecce. Questa aveva riconosciuto integralmente tanto i benefici ai fini Ilor (100%) quanto quelli ai fini Irpeg (50%). La società contribuente il 20 maggio 2009 presentò pertanto istanza di rimborso dell’importo di Euro 1.026.050,34 oltre interessi, da calcolarsi anche nella forma composta, cui seguì il silenzio-rifiuto dell’Ufficio e il presente contenzioso. La Commissione tributaria provinciale di Brindisi, con sentenza n. 280/016/2010, riconobbe il diritto al rimborso del predetto importo, oltre che degli interessi legali e di quelli anatocistici, a partire dal 20/05/2009. La sentenza fu impugnata dalla Agenzia delle entrate e, quanto alla compensazione delle spese, dalla contribuente. Con la pronuncia ora al vaglio della Corte il giudice regionale ha confermato tutte le statuizioni di primo grado. In particolare sono state respinte le critiche rivolte dall’Amministrazione appellante alla sentenza di primo grado in ordine all’insufficienza della documentazione allegata alla domanda di rimborso, ossia le dichiarazioni dei redditi dal 1988 al 1994, in quanto atti già nella disponibilità dell’Ufficio ed oggetto di avvisi di accertamento; ha ritenuto infondato il rifiuto di erogazione del rimborso in pendenza di controversie fiscali, mancando ogni provvedimento di fermo amministrativo, ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, u.c.; ha ritenuto infondate le ragioni di non spettanza del rimborso relativamente all’anno d’imposta 1994, affermando che ormai ogni questione di merito risultava coperta dal giudicato della decisione del 2006; ha ritenuto sollevata solo per la prima volta la questione relativa alla non spettanza degli interessi anatocistici, per violazione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 50, convertito in L. 4 agosto 2006, n. 248; ha confermato la compensazione delle spese di causa.

L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza con tre motivi, cui ha resistito la contribuente, spiegando a sua volta ricorso incidentale con due motivi.

Nell’adunanza camerale del 22 giugno 2021 la causa è stata trattata e decisa sulla base degli atti difensivi depositati dalle parti.

CONSIDERATO

che:

l’Amministrazione finanziaria ha denunciato:

con il primo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 1, per aver erroneamente ritenuto che le questioni relative alla rimborsabilità delle imposte dell’anno 1994 fossero coperte da giudicato;

con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, dell’art. 1263 c.c., del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 50, conv. in L. 4 agosto 2006, n. 248, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, per non essersi pronunciata sugli interessi anatocistici sul presupposto che si trattasse di domanda nuova;

con il terzo per violazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, comma 6, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 48-bis, nonché per insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 comma 1, quanto alla facoltà dell’Amministrazione di sospendere il pagamento dei rimborsi, e ciò sia in ordine all’erronea interpretazione del R.D. citato, art. 69, sia in riferimento alla specifica individuazione di tutte le pendenze fiscali della contribuente.

Esaminando il primo motivo, con esso la ricorrente si duole dell’erroneità della decisione assunta dai giudici d’appello, secondo i quali l’Amministrazione finanziaria non avrebbe potuto introdurre questioni sul diritto al rimborso relativo all’anno 1994, perché ogni questione di merito risultava ormai coperta dal giudicato della sentenza n. 185 del 2006. Di contro l’Ufficio sostiene che questa decisione aveva efficacia di giudicato sull’esistenza di un diritto al rimborso, ma nulla poteva dire sul contenuto delle singole dichiarazioni e sul diritto insorto per ciascuna annualità. Il motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza. A tal fine questa Corte ha chiarito che nel giudizio di legittimità, la parte ricorrente che deduca l’inesistenza del giudicato esterno, invece affermato dalla Corte di appello, per il principio di autosufficienza del ricorso ed a pena d’inammissibilità dello stesso deve riprodurre in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (Cass., 19/08/2020, n. 17310; 8/03/2018, n. 5508; 23/06/2017, n. 15737). Nel caso di specie non è stato riportato neppure uno stralcio della decisione, così che in ogni caso manca anche quel minimo di riferimenti che possano consentire al Collegio il preventivo esame della rilevanza del vizio denunciato.

Con il secondo motivo l’Ufficio si duole della mancata pronuncia del giudice d’appello sulla non spettanza degli interessi anatocistici, perché censura sollevata per la prima volta in appello. La decisione è criticata dalla ricorrente perché, secondo la sua prospettazione difensiva, essa non costituiva una eccezione in senso stretto, ma una mera difesa su questione di diritto, con la conseguenza che doveva essere rilevata anche d’ufficio dal giudice di primo o di secondo grado. Sostiene che, trattandosi di domanda di rimborso introdotta nel 2009, la fattispecie era regolata dal D.L. n. 223 del 2006 cit., art. 37, comma 50, che escludendo l’applicabilità degli interessi anatocistici, imponeva di non riconoscerli. La difesa della società ha insistito sulla novità della questione proposta in appello, in subordine ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale della disciplina per disparità di trattamento con la posizione, a parti invertite, del contribuente debitore del fisco, sottoposto alla disciplina sugli interessi di mora, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 30, che, una volta iscritti a ruolo, producono a loro volta interessi.

Deve innanzitutto evidenziarsi che in tema la Corte di legittimità ha avuto modo di chiarire che con decorrenza 4 luglio 2006, data di entrata in vigore del cit. art. 37, comma 50, non si calcolano gli interessi anatocistici sulle somme dovute al contribuente a titolo di ritardato rimborso d’imposta, mentre il principio dettato dall’art. 1283 c.c., continua ad avere pieno effetto per il periodo anteriore, attesa la portata innovativa e non interpretativa del citato art. 37, comma 50, (Cass., 24/02/2012, n. 2823; 23/06/2017, n. 15695; in riferimento all’Irpeg cfr. 19/10/2012, n. 17993).

Ciò chiarito, è dato incontroverso che il giudice di prime cure si sia occupato degli interessi anatocistici, così come è altrettanto padfico, per essere stato riconosciuto dal medesimo contribuente nel suo controricorso, che l’Amministrazione finanziaria avesse contestato la spettanza degli interessi anatocistici, invocando i limiti dettati dall’art. 1283 c.c. (dunque dalla data di proposizione del ricorso). Poiché è evidente che sull’art. 1283 c.c., quanto ai debiti del fisco nei confronti del contribuente, era venuto ad incidere il cit. art. 37, comma 50, e poiché non può essere qualificata come eccezione nuova una diversa argomentazione giuridica, nella fattispecie l’invocazione di una specifica disciplina normativa regolante in senso ostativo la riconoscibilità degli interessi anatocistici, addotta a contestazione della spettanza dei predetti interessi, erroneamente il giudice regionale ha ritenuto che la questione fosse stata sollevata per la prima volta in quella sede, dichiarandola inammissibile.

Ne’ la disciplina che, a partire dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 223 del 2006, vieta il riconoscimento degli interessi anatocistici in favore del contribuente, introduce una disparità di trattamento rispetto all’ipotesi in cui sia quest’ultimo obbligato nei confronti del fisco. E’ sufficiente, per quanto qui di interesse, rammentare che la specialità della materia fiscale può giustificare le modalità che regolamentano la disciplina degli interessi derivanti da rimborsi di tributi, a carico della Stato, così come d’altronde già sosteneva un pregresso orientamento di questa Corte (Cass., 10/07/1996, n. 6310; 23/09/1998, n. 9497; 10/01/2004, n. 198).

Il secondo motivo trova pertanto accoglimento.

Infondato infine è il terzo motivo, con il quale l’Agenzia delle entrate si è doluta della decisione per non aver riconosciuto il diritto di negare il rimborso in presenza di carichi pendenti della contribuente. Ha in particolare criticato la decisione per aver sostenuto, a suo dire erroneamente e secondo la prospettazione della ricorrente, che la sospensione del pagamento da parte dell’Amministrazione finanziaria necessitava di uno specifico provvedimento di fermo, ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, comma 6. Di contro l’Ufficio sostiene che tale provvedimento non era obbligatorio, essendo invece sufficiente la presenza di carichi pendenti.

Il motivo è innanzitutto inammissibile perché la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, ha fatto un generico riferimento a “carichi pendenti” della contribuente, dei quali non è dato conoscere l’entità, e soprattutto lo stato dei processi cui questi carichi vanno riferiti. Tanto è già sufficiente anche per escludere la pertinenza del richiamo al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 48 bis, che richiede che le cartelle non pagate siano di ammontare pari al pagamento che la pubblica amministrazione è altrimenti tenuta ad eseguire. Nel caso di specie anzi non è stato neppure accennato se ci si trovi dinanzi a debiti portati in cartelle, oppure a controversie relative ad avvisi di accertamento ancora oggetto di contenzioso. La genericità del motivo si riflette a maggior ragione sulle critiche rivolte alla pronuncia, laddove essa ha evidenziato la carenza di un provvedimento di sospensione, emesso ai sensi dell’art. 69 cit. A tal fine infatti, diversamente da quanto sostenuto dall’Ufficio ricorrente, la norma richiede un provvedimento di sospensione del pagamento, presuppone una idonea ragione di credito, ed infine la connotazione del fumus boni iuris della pretesa fiscale (da ultimo cfr. Cass., 22/01/2020, n. 1292). La totale assenza di emissione di un provvedimento formale, e la carenza di ogni elemento da cui argomentare i presupposti cautelari degli ipotetici, e non specificati, crediti fiscali, rende il motivo generico ed inammissibile.

In conclusione va accolto il secondo motivo e vanno rigettati il primo ed il terzo. Il processo va rinviato alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Lecce, perché provveda a rideterminare il credito della società ai fini del rimborso, con esclusione del computo degli interessi anatocistici.

Con il ricorso incidentale la società ha censurato la decisione dolendosi:

con il primo motivo per violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver compensato le spese di lite motivando per la “particolarità della questione”:

con il secondo motivo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per omessa o apparente motivazione.

Atteso il parziale accoglimento del ricorso principale i motivi di quello incidentale restano assorbiti, dovendosi deputare al giudice del rinvio la rideterminazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, rigetta il primo e il terzo. Dichiara assorbiti i due motivi del ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Lecce, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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