LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13468-2020 proposto da:
C.E., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARTINO BENZONI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– resistente –
avverso la sentenza n. 17/2020 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 23/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Trieste con sentenza in data 23/1/2020, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale in ordine alle istanze avanzate da C.E. nato a *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.
Il ricorrente, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di aver lasciato il proprio paese all’età di 16 anni perché era omosessuale e adesso, dopo essersi sposato con il suo compagno, temeva di rientrare nel suo paese dove l’omosessualità è un reato punito con la pena capitale. Avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Trieste il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il Ministero degli Interni non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti” e cioè l’orientamento sessuale del ricorrente, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione del dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lett. C), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, in quanto il giudice di merito, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.
Il ricorso è fondato e deve essere accolto in ordine al primo e terzo motivo per le ragioni qui di seguito precisate, assorbito il secondo.
Il ricorrente ha puntualmente allegato una serie di documenti versati in atti sia nella sede processuale del giudizio di primo grado che in quello di appello (sinodo chiesa metodista dalla quale risulta il matrimonio con il compagno, estratto carceri, certificati vari etc.) il cui esame da parte dei giudici del merito sarebbe stato necessario, al fine di verificare la ricorrenza dei presupposti applicativi dell’invocata protezione internazionale D.Lgs. n. 251 del 2007m ex art. 7, e di quella sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, comma 1, lett. b, e per il necessario giudizio di credibilità del racconto e che, invece, sono stati ignorati dal giudice di appello. La motivazione resa, dunque, dalla corte territoriale è risultata apodittica e dunque apparente nella parte in cui ha escluso la riconducibilità della descritta fattispecie concreta nel paradigma applicativo dell’invocata normativa protettiva di matrice internazionale, e cioè di quella prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, senza valutare quei fondamentali documenti allegati dal ricorrente da cui sarebbe emerso per lo meno il pericolo di danno grave collegato alla dedotta persecuzione e alla possibilità di ulteriori persecuzioni per il suo stato di omosessuale.
Sul punto, deve essere evidenziato che il giudizio di non credibilità riguarda proprio il nucleo centrale del racconto del richiedente. Orbene, osserva la Corte che – senza voler entrare nelle valutazioni attinenti la valenza probatoria dei predetti documenti e le conseguenze sul piano decisorio di tali valutazioni (che sono rimesse alla cognizione esclusiva dei giudici del merito) – la documentazione non può essere in alcun modo disconosciuta e non può neanche essere trascurata per valutare la credibilità del ricorrente ed avrebbe anche dovuto implicare la conseguente attivazione dei poteri istruttori previsti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, al fine di verificare il concreto pericolo, nel paese di provenienza del richiedente, di un “danno grave” legato alla sua situazione di omosessuale.
Il secondo motivo – riguardando valutazioni attinenti alla verifica dei presupposti applicativi della protezione sussidiaria – deve ritenersi assorbito dall’accoglimento delle censure sopra esaminate.
Si impone pertanto la cassazione del provvedimento impugnato per una nuova lettura degli atti istruttori sopra indicati.
La decisione sulle spese del giudizio di legittimità sono rimesse al giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il primo e terzo motivo; dichiara assorbito il secondo motivo;
cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021