Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32080 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13956-2020 proposto da:

B.O.F., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato FELICE PATRUNO;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SALERNO, PROCURATORE GENERALE CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso il decreto RG 804/2019 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il 05/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Campobasso sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 5/3/2020, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale in ordine alle istanze avanzate da B.O.F. nato in Nigeria il *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dalla Nigeria aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto aveva contratto ingenti debiti per l’esercizio di un’attività commerciale, che poi, a causa di una truffa, non era riuscito a restituire tanto da temere di essere ucciso dai suoi creditori che lo avevano aggredito armati di caschi e machete.

Il Tribunale di Campobasso in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito riteneva che le vicende narrate erano personali e private e negava il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Campobasso il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, riguardo al mancato esercizio dei poteri istruttori in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver citato fonti aggiornate.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia ex art. 112 c.p.c., omessa pronuncia sulla domanda di asilo costituzionale di cui all’art. 10 Cost., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice territoriale avrebbe dovuto riconoscere la protezione umanitaria al ricorrente a cagione dell’omesso esame dello stato di integrazione raggiunto in Italia dal ricorrente e mancato esercizio dei poteri istruttori in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il ricorso è infondato in ordine a tutti i motivi proposti.

I motivi di ricorso contengono tutti una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

Il primo motivo di ricorso in ordine al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per accertare la situazione oggettiva relativa al Paese di origine è inammissibile perché il giudice territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria in quanto pur avendo ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali della persona ha comunque indagato verificando che la situazione della Nigeria in generale e quella della zona di provenienza del ricorrente non comportano il rischio di un danno grave derivante da violenza indiscriminata.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente, escludendo così il diritto alla protezione sussidiaria.

La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

In riferimento al principio di asilo costituzionale ed alla disposizione dell’art. 10 Cost., questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, e di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione. (Cass. n. 10686 del 2012; n. 16362 del 2016) In riferimento poi alla protezione umanitaria, inerente alle situazioni di vulnerabilità riguardanti i diritti umani fondamentali il Tribunale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

La protezione umanitaria non può essere concessa ipso facto ove manchi la deduzione di circostanze fattuali a giustificazione della protezione umanitaria; nel caso di specie, il ricorrente non aveva individuato alcuna ragione puntuale idonea a dare corpo alla sua allegata vulnerabilità, riferendo solo il suo coinvolgimento in un percorso integrativo nel paese di accoglienza. Si noti che l’omessa, nitida deduzione della specifica situazione di vulnerabilità presente nel caso concreto è ripetutamente considerata dalla Corte motivo atto al rigetto della domanda di protezione umanitaria (Cass. civ., sez. 1, ord. n. 7627, 7632 e 7633 del 31 marzo 2020). In ordine poi all’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, le circostanze della avvenuta integrazione in Italia nonché dello svolgimento di attività lavorativa da parte del richiedente asilo, non trovano alcun riscontro documentale sicché è impossibile ogni giudizio di comparazione.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese stante la mancanza di attività difensiva.

PQM

Di chiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte di Cassazione, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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