LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCOTTI U.L.C. Giuseppe – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15115/2020 R.G. proposto da C.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Zuppelli Luca, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Brescia depositato il 20 marzo 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 giugno 2021 dal Consigliere Mercolino Guido.
RILEVATO
Che:
Bouly Camara, cittadino del Senegal, ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, avverso il decreto del 29 aprile 2020, con cui il Tribunale di Brescia ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;
che il Ministero dell’interno ha resistito mediante il deposito di un atto di costituzione, ai fini della partecipazione alla discussione orale.
CONSIDERATO
Che: è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, avvenuta mediante il deposito di un atto finalizzato esclusivamente alla partecipazione alla discussione orale, dal momento che nel procedimento in camera di consiglio dinanzi alla Corte di cassazione il concorso delle parti alla fase decisoria deve realizzarsi in forma scritta, attraverso il deposito di memorie, il quale postula che l’intimato si costituisca mediante controricorso tempestivamente notificato e depositato (cfr. 25/10/2018, n. 27124; Cass., Sez. V, 5/10/2018, n. 24422; Cass., Sez. III, 20/10/2017, n. 24835);
che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 14 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, osservando che il Tribunale ha omesso di tener conto della documentazione da lui prodotta e delle dichiarazioni precise e dettagliate da lui rese e di esercitare i propri poteri istruttori officiosi per accertare la situazione in atto nel suo Paese di origine, nonché di valutare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria;
che con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omissione, l’insufficienza e/o la contraddittorietà della motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio, osservando che le dichiarazioni da lui rese sono state valutate in difformità dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, avendo il Tribunale conferito rilievo ad aspetti secondari della narrazione e ad imprecisioni marginali, senza svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, attraverso l’acquisizione d’informazioni aggiornate in ordine al suo Paese di origine;
che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni intimamente connesse, sono infondati;
che il controllo di attendibilità delle dichiarazioni rese a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, espressamente prescritto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per l’ipotesi in cui taluni elementi o aspetti delle stesse non siano suffragati da prove, postula infatti una verifica della coerenza interna ed esterna delle predette dichiarazioni, ovverosia della congruenza intrinseca del racconto e della sua concordanza con le informazioni generali e specifiche di cui si dispone, nonché della plausibilità della vicenda narrata, che deve risultare attendibile e convincente sul piano razionale (cfr. Cass., Sez. I, 7/08/2019, n. 21142; Cass., Sez. VI, 31/07/2019, n. 20580);
che tale controllo deve ritenersi nella specie correttamente effettuato, avendo il Tribunale proceduto ad un attento scrutinio delle dichiarazioni rese dal ricorrente nel corso del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ed avendone escluso la credibilità in virtù dell’incoerenza ed implau-sibilità della narrazione della sua vicenda personale, con la conseguente affermazione dell’insussistenza dei requisiti prescritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 e art. 14, lett. a) e b);
che nel censurare il predetto apprezzamento il ricorrente non è in grado di indicare elementi di fatto trascurati dal decreto impugnato ovvero lacune o incongruenze di gravità tale da impedire la ricostruzione del ragionamento seguito per giungere alla decisione, ma si limita ad insistere sull’attendibilità dei fatti narrati e sul carattere marginale delle contraddizioni rilevate, omettendo di farsi carico dei puntuali rilievi mossi alla sua narrazione, ed in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, nonché la coerenza logico-formale delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della sostituzione del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ad opera dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054; Cass., Sez. VI, 8/10/2014, n. 21257);
che il giudizio negativo in ordine alla credibilità soggettiva del richiedente, espresso in conformità dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, risulta di per sé sufficiente a dispensare il giudice dal compimento di approfondimenti officiosi in ordine alla situazione del Paese di origine, non trovando applicazione in tal caso il dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, il quale non opera laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. tra le altre, Cass., Sez. II, 11/08/2020, n. 16925; Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 27/06/2018, n. 16925);
che il predetto dovere risulta invece adempiuto in riferimento alla fattispecie prevista dal citato art. 14, lett. c), la cui configurabilità è stata correttamente esclusa in virtù del richiamo ad informazioni fornite da fonti internazionali accreditate ed aggiornate, puntualmente indicate in motivazione, dalle quali il Tribunale ha desunto che nel Paese di origine del ricorrente, pur persistendo un conflitto armato tra le forze governative ed il movimento separatista della regione del Casamance, peraltro attenuatosi a seguito del cessate il fuoco unilateralmente proclamato dai ribelli, non si registra una situazione di violenza diffusa ed indiscriminata tale da esporre al rischio di un danno grave alla vita o alla persona chiunque risieda nella predetta regione;
che la parte che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del dovere di collaborazione istruttoria previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, non può limitarsi, come nella specie, alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal provvedimento impugnato, ma deve indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, attraverso precisi richiami, anche testuali, a fonti alternative o successive, in modo tale da consentire a questa Corte un’effettiva verifica in ordine al vizio dedotto (cfr. Cass., Sez. I, 20/10/2020, n. 22769; 21/10/2019, n. 26728);
che l’omessa valutazione della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, oltre a non essere censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, configurandosi come error in procedendo, consistente nella violazione dell’art. 112 c.p.c. e deducibile in sede di legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, comma 1, cit. (cfr. Cass., Sez. V, 5/03/2021, n. 6150; Cass., Sez. VI, 4/12/2014, n. 25714; Cass., Sez. VI, 14/03/2006, n. 5444), non trova riscontro nel provvedimento impugnato, il quale ha preso puntualmente in esame la predetta domanda, escludendo la configurabilità dei presupposti necessari per l’applicazione della misura richiesta, in considerazione della ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente e dell’insussistenza nel suo Paese di origine di una situazione di grave violazione dei diritti fondamentali;
che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021