Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.32101 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 192417 proposto da:

L.V., L.G. e L.S., rappresentati e difesi dall’Avvocato FRANCESCO FALCONE, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Gianni Ceccarelli, in ROMA, VIA CAPPELLETTA della GIUSTINIANA 68;

– ricorrenti –

contro

C.P., rappresentato e difeso dall’Avvocato Nunzio Pinelli, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, VIA CRESCENZIO 25;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 776/2016 della CORTE d’APPELLO di PALERMO, depositata il 28/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/06/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 197/2008, depositata in data 20.6.2008, il Tribunale di Palermo, sezione distaccata di Carini, rigettava la domanda proposta, con citazione notificata il 18.6.2004, da C.P., + ALTRI OMESSI nei confronti di L.S., L.G. e L.V., diretta all’accertamento del diritto di proprietà degli attori, acquisito a titolo derivativo o per usucapione, sul fondo ubicato in territorio del Comune di *****, immobile che in data 13.11.2003 L.S. aveva venduto a V. e L.G.. In particolare, il Tribunale riteneva che il regime della trascrizione immobiliare avesse reso inopponibile ai compratori, in quanto “terzi”, le vicende traslative del bene in contestazione, e che non fosse stata raggiunta sufficiente prova del possesso ventennale ad usucapionem.

Avverso la sentenza proponevano appello i soccombenti, al quale resistevano gli appellati.

Con sentenza n. 776/2016, depositata in data 28.4.2016, la Corte d’Appello di Palermo accoglieva l’appello proposto, dichiarando il diritto di proprietà degli appellanti sul fondo in causa, siccome acquisito, a titolo originario, a far tempo dal giorno 1.1.1971, in ragione di quattro quote indivise uguali, da Cr.Pr., dal di lei fratello C.F., dagli eredi del di lei fratello I. e dagli altri appellanti, eredi del di lei fratello G.; condannava L.S., L.V. e L.G. a rifondere a C.P., Cr.Pr., C.V., C.M. e C.M.C. le spese di lite dei due gradi di giudizio. In particolare, la Corte territoriale riteneva di non accogliere la domanda proposta in via principale dagli attori, non essendosi data sufficiente dimostrazione della fondatezza della tesi secondo la quale S.M., dante causa degli attori, avrebbe acquistato il terreno indicato in catasto al foglio *****, anziché quello che a lei risultava assegnato nell’atto di divisione del 24.2.1950. Quanto al secondo motivo, relativo alla domanda subordinata di accertamento dell’acquisto per usucapione, la Corte d’Appello riteneva che un attento esame del compendio probatorio, in base ai criteri legali di valutazione della prova, portasse a conclusioni opposte rispetto a quelle assunte dal Giudice di primo grado.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione L.V., L.G. e L.S. sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste C.P. con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, i ricorrenti eccepiscono la “Nullità del procedimento e della sentenza di merito per difetto del contraddittorio (art. 360 c.p.c., n. 4)”, poiché – avendo gli attori introdotto il giudizio per rivendicare il diritto di proprietà sugli appezzamenti di terreno che in data 13.11.2003 erano stati venduti da L.S. a V. e L.G. l’integrità del contraddittorio imponeva la chiamata in causa di tutte le parti interessate all’atto pubblico e quindi anche di V.F., coniuge di L.V., in regime di comunione dei beni, così come risulta dal rogito.

1.2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano l'”Erronea motivazione su un punto decisivo ai fini della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”, poiché la Corte territoriale sarebbe incorsa nell’errore di ritenere che gli attori avessero il diritto di proprietà per averlo acquisito a titolo originario a far data dall’1.1.1971, mentre la domanda di rivendica della proprietà era proposta in forza di un titolo derivativo.

1.3. – Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la “Contraddittoria motivazione su un punto decisivo ai fini della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”, là dove vi sarebbe contraddittorietà nella motivazione, in quanto la Corte territoriale ritiene che L.S. sia divenuto proprietario del terreno con l’atto di donazione del 27.1.1971 e, tuttavia, ritiene inattendibili tutte le testimonianze che depongono nel senso dell’esercizio del possesso da parte del suddetto dopo l’avvenuto acquisto da parte sua per donazione.

1.4. – Con il quarto motivo, i ricorrenti censurano la “Insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo ai fini della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)”, poiché basata sul presupposto che le circostanze riferite dal teste Le.Gi. fossero riscontrabili per via documentale, mentre nulla di documentale si era riscontrato in merito a ciò che il teste riferiva e cioè che, nel 1996 “il C. si accollò un verbale di accertamento di un abuso da me riscontrato”.

2. – Il Colllegio ritiene, in via pregiudiziale, che nel caso in esame sussistono le condizioni per pervenire immediatamente alla declaratoria di improcedibilità (conf. Cass. n. 19278 del 2019).

A norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, insieme col ricorso deve essere depositata, sempre a pena di improcedibilità, la copia autentica della sentenza “con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”. Detto deposito deve avvenire nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione (v. comma 1). La formulazione della norma processuale è dunque chiarissima nel senso di richiedere il deposito materiale dell’atto unitamente al ricorso.

Ebbene, nel caso di specie la parte ricorrente dà atto della avvenuta notifica della sentenza impugnata in data 14.06.2016 (v. pag. 1 ricorso), ma nell’incarto processuale non si rinviene la relazione di notificazione della sentenza (in calce essendo presente solo l’attestazione di conformità della copia analogica della decisione impugnata): la sanzione dell’improcedibilità è quindi inevitabile ai sensi dell’art. 369 c.p.c..

Vero che le sezioni unite hanno affermato la procedibilità del ricorso per cassazione quando la copia notificata della sentenza impugnata, non prodotta dal ricorrente, che pur abbia dichiarato l’esistenza di tale evento, sia stata depositata da un’altra parte nel giudizio di legittimità o comunque sia presente nel fascicolo di ufficio (Cass., sez. un., n. 10648 del 2017), tuttavia nella specie si è fuori anche da tali ipotesi.

Ne’ soccorre la recente pronuncia delle sezioni unite (Cass., sez. un., n. 8312 del 2019) sulle conseguenze della mancanza delle prescritte attestazioni di conformità, ipotesi ben diversa da quella in esame, in cui ciò che manca è addirittura il deposito che deve, perlatro, essere tempestivo – della copia della relazione di notificazione della sentenza e dei relativi messaggi via PEC in caso di notificazione per via telematica (v. pag. 42 par. 2, sez un. da ultimo cit.); laddove, a ben vedere, nel caso di specie non è dato neppure conoscere se la notifica della sentenza sia avvenuta o meno a mezzo pec (il ricorso infatti si limita ad indicare solo la data di notifica della decisione ma non le modalità e dagli atti nulla emerge).

Neppure, infine, soccorre parte ricorrente il principio di cui a Cass. n. 17066 del 2013, che esenta dalle formalità di deposito della copia notificata nel solo caso di intervallo, tra pubblicazione della sentenza e notifica del ricorso, inferiore al termine breve, visto che tale intervallo e’, nella specie, maggiore (la sentenza essendo pubblicata il 28.04.2016 e ricorso notificato il (27.07.2016)”.

3. – Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 3 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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