LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13628-2018 proposto da:
COMUNE MONTOPOLI IN VAL D’ARNO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO PERICOLI, giusta delega in atti;
– ricorrente –
nonché contro B.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 136/2018 del TRIBUNALE di PISA, depositata il 19/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dall’opposizione proposta da B.A. innanzi al Giudice di Pace di San Miniato per l’annullamento del verbale emesso dalla Polizia Municipale del Comune di Monopoli Valdarno per violazione dell’art. 15 C.d.S., per avere occupato la sede stradale e, specificamente, il marciapiede antistante la propria abitazione con una targa riportante la dicitura “proprietà privata”, creando intralcio e pericolo alla circolazione di veicoli e pedoni;
L’opposizione venne rigettata dal Giudice di Pace.
Il Tribunale di Pisa, con sentenza del 19.2.2018, accolse l’opposizione della B. e, per l’effetto, annullò il provvedimento opposto. Il giudice d’appello fondò la sua decisione sull’accertamento della proprietà privata dell’area e sull’assenza della prova della costituzione di un diritto di uso pubblico, che può avvenire in virtù di un provvedimento amministrativo, per usucapione o per effetto della “dicatio ad patriam”. Al contrario, il proprietario dell’area aveva manifestato opposizione all’utilizzo da parte di terzi dell’area attraverso l’apposizione di fioriere di cemento, l’utilizzazione di detta area per l’esposizione della merce del proprio negozio e per il parcheggio delle autovetture dei propri clienti.
Per quel che ancora rileva in sede di legittimità, la corte distrettuale liquidò unitariamente le spese del doppio grado di giudizio nella misura complessiva di Euro 3000,00 per compensi per entrambi i gradi di giudizio.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso il Comune di Monopoli di Val D’Arno sulla base di tre motivi.
B.A. è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il Tribunale dichiarato inammissibile l’appello per difetto di specificità dei motivi, che non avrebbero consentito l’individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata.
Il motivo è inammissibile.
Esso difetta di specificità perché la doglianza non è accompagnata dalla puntuale indicazioni delle ragioni per le quali i motivi di appello non sarebbero specifici. Anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare a ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto. Solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità, quindi, diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di questa ultima valutazione la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali (ex multis Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, n. 7406).
Pur trattandosi di una violazione di carattere processuale, il ricorrente deve quindi riportare nel ricorso, i motivi d’appello formulati dalla controparte, deducendo le ragioni per le quali essi difettassero di specificità (Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, n. 7406; Cass. 10 gennaio 2012, n. 86; Cass. 21 maggio 2004, n. 9734).
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per irriducibile contrasto tra le affermazioni contenute nella sentenza, ove si farebbe riferimento alla destinazione della strada alla circolazione, come emerso dal sopralluogo eseguito, e l’affermazione dell’assenza di prova dell’uso pubblico di detta area.
Il motivo è infondato.
In primo luogo, il riferimento alla destinazione della strada alla circolazione attiene all’esposizione del motivo d’appello e non alla motivazione della sentenza; si legge nella parte espositiva, introdotta dalla locuzione “rilevato che”: “avrebbe errato il giudice di prime cure, valutando come assorbente la destinazione della strada alla circolazione, come rilevata tramite sopralluogo…” mentre la motivazione della sentenza, retta dalla locuzione “ritenuto che” spiega le ragioni per le quali la strada non fosse destinata all’uso pubblico.
La motivazione della sentenza impugnata consente di ricostruire l’iter logico della decisione sicché non è configurabile il vizio di nullità, sotto il profilo dell’apparenza, che sussiste quando la sentenza è inidonea a raggiungere lo scopo, ovvero di spiegare le ragioni del decidere, il che avviene quando le argomentazioni sono svolte in modo talmente contraddittorio e con passaggi logici talmente incongrui da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (ex multis Cassazione civile sez. VI, 25/09/2018, n. 22598; Cass. Sez. 07/04/2014 n. 8053).
Il giudice d’appello ha fondato la sua decisione sull’accertamento della proprietà privata dell’area e sull’assenza della prova della costituzione di un diritto di uso pubblico, mancando un provvedimento amministrativo o la prova dell’usucapione o della “dicatio ad patriam”.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. per avere il Tribunale liquidato le spese del doppio grado di giudizio senza distinguere le spese del giudizio di primo grado da quelle del giudizio d’appello e per averle liquidato in misura superiore ai massimi tariffari.
Il motivo è fondato.
Come ha avuto modo di chiarire questa Corte – con orientamento cui si intende dare continuità – in tema di spese giudiziali, il giudice deve liquidare in modo distinto spese ed onorari in relazione a ciascun grado del giudizio, poiché solo tale specificazione consente alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e di conseguenza le ragioni per le quali sono state eventualmente ridotte le richieste presentate nelle note spese (da ultimo, Cass. 28/07/2017, n. 18905; Cass. 30/09/2016, n. 19623).
Nel caso di specie, non solo il Tribunale ha liquidato in modo unitario le spese di primo e secondo grado ma le ha liquidate in misura superiore ai massimi tariffari, pari ad Euro 579,00 per il giudizio innanzi al giudice di pace ed in Euro 987,00 innanzi al Tribunale, considerato il valore della causa (rientrante nello scaglione fino ad Euro 110,00) e l’assenza della fase istruttoria nel giudizio d’appello.
Ai sensi dell’art. 384, la causa può essere decisa nel merito e le spese di lite vanno determinate, secondo i valori massimi, in Euro 579,00 per il giudizio innanzi al giudice di pace ed in Euro 987,00 innanzi al Tribunale.
Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in considerazione dell’esito complessivo della lite, essendo il ricorrente rimasto soccombente in ordine ai primi due motivi e vittorioso in relazione al terzo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo, rigetta il secondo ed accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, ridetermina le spese di primo grado in Euro 579.00 ed in Euro 987,00 le spese del giudizio d’appello oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021
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