LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. FRACANZANI M. Marcello – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29177/2014 R.G. proposto da:
C.P., elettivamente domiciliato in Roma Viale Parioli 43 presso lo studio dell’avv. d’Ayala Valva Francesco, rappresentato e difeso dall’avvocato d’Ayala Valva Francesco, dall’avvocato Turchi Alessandro, dall’avvocato Turchi Massimo;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1611/5/2014 della COMM. TRIB. REG. EMILIA-
ROMAGNA, depositata il 26/09/2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 ottobre 2021 dal Consigliere GUIDA RICCARDO.
RILEVATO
Che:
1. la controversia riguarda l’impugnazione, da parte di C.P., di un avviso di accertamento per Irpef 2004 scaturito dall’indagine finanziaria nei confronti di M.A., socio del contribuente, da cui era risultato che i due soci, avvalendosi di un soggetto interposto (Ventovivo Srl) avevano conseguito e sottratto a imposizione una cospicua plusvalenza scaturita da una complessa operazione immobiliare. In dettaglio, dagli atti di causa si evince che secondo l’indagine finanziaria sul conto corrente cointestato a M. e C. era stata accreditata la somma di 250.000,00 a titolo di caparra (sul prezzo di Euro 2.100.000,00) corrisposta da D. Iniziative Immobiliari Srl per l’acquisto di un immobile di proprietà di Ventovivo Srl, alla quale due mesi prima il bene era stato ceduto da B.G. Srl (al prezzo di Euro 900.000,00); la plusvalenza della complessiva operazione (pari a Euro 1.200.000,00), contestata dalle Entrate, era stata acquisita in concreto da M. e C., in quanto attribuita a titolo di restituzione del finanziamento soci da Ventovivo Srl a IFI Srl (titolare del 45% del capitale sociale di Ventovivo Srl), società riconducibile a M. e C., sicché l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto che Ventovivo Srl, società con ingenti perdite tributarie accumulate negli anni (c.d. “bara fiscale”), fosse un ente fittiziamente interposto in vista di un indebito vantaggio fiscale;
2. la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia rigettò il ricorso del contribuente, con sentenza (n. 418/1/2011) confermata dalla Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) dell’Emilia-Romagna che, con la decisione sopra indicata, ha disatteso l’appello svolgendo le seguenti considerazioni: (i) il carattere elusivo della complessa operazione immobiliare, ricostruito in modo minuzioso e preciso dall’Ufficio e riconosciuto dalla Commissione provinciale, non è smentito dalla versione dei fatti – irrilevante, generica e priva di “documentazione probatoria” – contenuta nell’atto di gravame; (ii) in particolare, la presunzione della natura elusiva dell’articolata compravendita immobiliare (cfr. pag. 3 della sentenza) “risulta avvalorata dal fatto che la plusvalenza realizzata sia stata attribuita, a titolo di restituzione di finanziamento soci, unico rimborso che risulta effettuato, dalla Ventovivo alla IFI, riconducibile a M. e C., che aveva acquistato il 45% del capitale della Ventovivo. Ora non si comprende la ragione economica che ha indotto l’IFI ad acquistare il 45% del capitale della Ventovivo, società con notevole passività e priva di esperienza nel campo immobiliare, se si esclude lo scopo di realizzare un indebito vantaggio economico costituito dalla non tassazione della plusvalenza perché compensata con le perdite pregresse della Ventovivo”;
3. il contribuente ricorre con sette motivi, illustrati con una memoria; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
1. con il primo motivo di ricorso (“Violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67,1 comma, artt. 68 e 71 (art. 360 c.p.c., 1 comma, n. 3)”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame dell’eccezione, pretermessa anche dal primo giudice, per la quale, in realtà, nel 2004, non era stata realizzata alcuna plusvalenza in quanto, oltre alla caparra di Euro 250.000,00 versata da D.D. a C. e ad M.A. per l’acquisto della villa di Porto Rotondo, sarebbe stato necessario tenere conto anche della spesa di Euro 300.000,00, versata a titolo di caparra e di acconti, personalmente corrisposti (prima di nominare l’acquirente Ventovivo Srl) da M. e C. alla precedente proprietaria B.G. Srl, della quale dava atto anche l’avviso di accertamento e, comunque, documentata dalle “copie assegni e girofondi” riprodotte nel testo del ricorso per cassazione, che in effetti azzerava il contestato incremento reddituale;
2. con il secondo motivo (“Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., 1 comma, n. 5)”), il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame del “fatto storico” rappresentato dal versamento alla società promittente venditrice di Euro 300.000,00, importo idoneo ad elidere la plusvalenza;
3. con il terzo motivo (“Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., 1 comma, n. 4)”), il vizio sopra illustrato (cfr. p. 2) viene prospettato come un’ipotesi di omessa pronuncia addebitabile alla Commissione regionale;
4. con il quarto motivo (“Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., 1 comma, n. 4)”), si denuncia la motivazione apparente della sentenza impugnata che aderisce, in modo acritico, al “teorema” dell’Erario senza prendere in considerazione i numerosi argomenti offerti dal contribuente per confutare l’interposizione di Ventovivo Srl nell’acquisizione dell’immobile, funzionale (a giudizio del Fisco) a sottrarre a tassazione la plusvalenza in capo a C. (e M.);
5. con il quinto motivo (“Violazione del principio di immutabilità della contestazione formulata nell’avviso di accertamento, della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992, art, 57, comma 1, (art. 360 c.p.c., 1 comma, n. 3)”), il ricorrente assume che l’avviso di accertamento era fondato sull’interposizione fittizia (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3) di Ventovivo Srl nella realizzazione della plusvalenza conseguita con la cessione dell’immobile, da imputare agli effettivi possessori M. e C.; quindi, ascrive alla sentenza impugnata di avere apparentemente attribuito al contribuente un “contegno elusivo-abusivo”;
6. con il sesto motivo (“Nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”), il ricorrente assume che il vizio denunciato con il precedente “mezzo” di impugnazione (motivo n. 5) comporta anche la violazione dell’art. 101, comma 2, per il quale il giudice che intende porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio deve assegnare alle parti, a pena di nullità, un termine per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione;
7. con il settimo motivo (“Violazione sotto più profili del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, dell’art. 37-bis nonché dei principi in tema di abuso del diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”), si censura il vizio della sentenza impugnata sia ove si ipotizzi che la controversia sia stata decisa alla stregua della (ravvisata) interposizione fittizia, sia ove si ipotizzi che la controversia sia stata decisa alla stregua dell’elusione o dell’abuso del diritto. Dal primo punto di vista (interposizione fittizia), una volta precisato che il citato art. 37, comma 3, come affermato dalla Cassazione, si applica soltanto all’interposizione fittizia e non all’interposizione reale, il ricorrente rileva che, nella specie, non è configurabile l’esistenza di un possessore fittizio della plusvalenza (Ventovivo) e di un effettivo possessore ( C.) di essa, poiché, come risulta dalla decisione della C.T.R. (cfr. pag. 3), il contribuente non avrebbe posseduto il reddito in contestazione, in quanto “la plusvalenza realizzata (sarebbe) stata attribuita, a titolo di restituzione di finanziamento soci (…) dalla Ventovivo alla IFI, riconducibile a M. e C., che aveva acquistato il 45% del capitale di Ventovivo”. Dal secondo punto di vista, il ricorrente nega la sussistenza degli elementi caratterizzanti l’elusione o l’abuso del diritto, vale a dire, da un lato, l’indebito vantaggio economico costituito dalla non tassazione della plusvalenza perché compensata con le perdite pregresse della Ventovivo; dall’altro, l’assenza di una ragione economica dell’acquisizione del 45% di Ventovivo; sotto quest’ultimo aspetto, egli sottolinea che la designazione di Ventovivo era giustificata dal fatto che M. e C. avevano raggiunto un’intesa la Coazze Srl, che era l’altro socio di Ventovivo, per sviluppare un’attività di trading immobiliare, ferma la considerazione che l’acquisto di una partecipazione sociale per l’esercizio di un’attività commerciale è atto ontologicamente inidoneo a manifestare un intento elusivo perché risponde ad una prassi normale nel mondo degli affari;
8. il quarto motivo, il cui esame è preliminare agli altri, è infondato;
per le Sezioni unite di questa Corte la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n. 16159 (p. 7.2.), che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430 (p. 2.4.); Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9557 (p. 3.5.)). Ancor più di recente, Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476 (che cita, in motivazione, Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9558; Cass. Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) ha avuto modo di ribadire che “nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.”;
8.1. nella fattispecie concreta, al contrario di ciò che prospetta il ricorrente, la motivazione della sentenza di appello esiste e risponde alle questioni di fatto e di diritto rilevanti nella controversia fiscale. In particolare, come suaccennato (cfr. p. 2 del “Rilevato che”), la C.T.R. ha condiviso la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto la legittimità dell’operato dell’Erario, ritenendo che la complessa operazione negoziale abbia garantito al contribuente una plusvalenza sottratta a tassazione merce’ l’interposizione fittizia di Ventovivo Srl;
9. i primi tre motivi, suscettibili d’esame congiunto per connessione, sono infondati;
9.1. premesso che il contribuente, in sintesi, critica la C.T.R. (alternativamente, sussumendo il prospettato vizio entro i diversi paradigmi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5) per non avere preso in considerazione l’argomento difensivo per il quale l’operazione immobiliare non avrebbe generato alcuna plusvalenza tassabile, dovendosi considerare non soltanto la caparra di 250.000,00, versata da D. Iniziative Immobiliari Srl, ma anche la caparra e gli acconti (per un totale di Euro 300.000,00) che M. e C., a loro volta, avevano dato a B.G. Srl, proprietaria della villa di Porto Rotondo, una simile, variegata censura s’infrange contro il dictum della Commissione regionale che, pronunciandosi compiutamente sulla domanda (e ciò è sufficiente ad escludere la prospettata violazione dell’art. 112, c.p.c.), ha giudicato irrilevanti, generici e privi di riscontro documentale gli argomenti difensivi dell’appellante;
9.2. in relazione al secondo motivo di ricorso (“omesso esame circa un fatto decisivo”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), inoltre, è utile ricordare che fin da Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, si è andato consolidando il principio di diritto per cui l’attuale art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Nella fattispecie concreta, si può escludere che la C.T.R. abbia infranto il paradigma legale di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, laddove, valutate le risultanze probatorie, ha confermato la ricorrenza della plusvalenza, con ciò disattendendo l’allegazione dell’appellante circa un esborso (di Euro 300.000,00) persino maggiore della caparra (di Euro 250.000,00) versata sul conto corrente cointestato a C. e M.;
10. il quinto e il sesto motivo, da esaminare insieme per connessione, sono inammissibili; per questa Corte (ex multis Cass. 27/04/2021, n. 11055) “In tema di accertamento dei redditi, la disciplina antielusiva di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, non distingue tra interposizione fittizia, che si ha quando, in forza di accordo simulatorio intercorrente tra interponente, terzo e interposto, si finge di contrarre con una persona, ma, in realtà, si vuole che gli effetti del negozio si producano nei confronti di un’altra persona diversa da quella che appare nell’atto, e interposizione reale, nella quale non vi è un accordo simulatorio tra le persone che prendono parte all’atto, il quale è effettivamente voluto; neppure presuppone necessariamente un comportamento fraudolento del contribuente, ma postula l’uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, tale da consentire di eludere l’applicazione del regime fiscale costituente il presupposto di imposta, essendo finalizzata a stigmatizzare operazioni volte ad aggirare la normativa fiscale alla luce del più generale principio del divieto di abuso del diritto.”. Sulla scia di questi principi di diritto, la C.T.R., senza rilevare d’ufficio una questione nuova, e, quindi, senza violare la prescrizione di sottoporla prima di decidere al contraddittorio delle parti (art. 101 c.p.c., comma 2), si è limitata ad affermare che l’interposizione fittizia di Ventovivo Srl (della quale la Commissione regionale ha riconosciuto la sussistenza) realizzava una condotta abusiva o elusiva (il giudice di merito usa indifferentemente i due aggettivi), finalizzata all’indebito vantaggio economico consistente nel non sottoporre a imposizione una plusvalenza;
11. il settimo motivo è infondato;
con accertamento di fatto, non attinto dalla censura in esame, la C.T.R. ha stabilito che il contribuente, e non la società IFI Srl dal medesimo partecipata (secondo quanto invece adombrato dal ricorrente), per effetto dell’interposizione fittizia di Ventovivo Srl – che, per la C.T.R., è una “bara fiscale” (locuzione che nella risposta a interpello n. 88 del 06/03/2020 dell’Agenzia delle entrate definisce una società priva delle condizioni minime di vitalità economica, le cui perdite fiscali vengono utilizzate, con finalità elusiva, per compensare gli utili imponibili di altro soggetto) -, ha sottratto a tassazione la plusvalenza di Euro 250.000,00 emersa dall’indagine finanziaria sul conto corrente di C. e M.;
12. in conclusione, infondati il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il settimo motivo, inammissibili il quinto e il sesto motivo, il ricorso va rigettato;
13. le spese del giudizio di legittimità sono regolate in dispositivo in base al principio della soccombenza.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021