LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13921/13 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
Unicredit s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., nella qualità di incorporante della Cassa di Risparmio di Torino s.p.a., rappresentata e difesa, giusta procura speciale in atti, dall’avv.to Sammartino Salvatore, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via dell’Elettronica n. 20, presso lo studio legale dell’avv.to Siviglia Giuseppe Piero;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale del Piemonte, sezione distaccata di Torino (di seguito CTC), n. 586 del 2012, depositata il 04/04/2012, non notificata;
e sul ricorso iscritto al n. 24390/13 R.G., proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
Unicredit s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta procura speciale in atti, dall’avv.to Sammartino Salvatore, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via dell’Elettronica n. 20, presso lo studio legale dell’avv.to Giuseppe Piero;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1328/12 della Commissione tributaria centrale del Piemonte, sezione distaccata di Torino (di seguito CTC), depositata il 19/07/2012, non notificata.
RILEVATO
Che:
1. Nel ricorso recante il numero di ruolo generale 13921/13, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la decisione della Commissione Tributaria Centrale, sezione di Torino, n. 586/12, depositata il 4 aprile 2012, che aveva rigettato il ricorso dell’Ufficio IIDD di Torino contro la sentenza di secondo grado, ritenendo fondata la domanda di rimborso presentata dalla Cassa di Risparmio di Torino s.p.a., in data 16/10/1986, per Irpef e relative addizionali dell’esercizio 1984, relativa agli interessi attivi maturati sui crediti d’imposta Irpeg e Ilor (per un ammontare pari a lire 8.395.2010.250), nonché per l’omessa deduzione di oneri di utilità sociale (erogazioni liberali) per lire 273.834.884 e lire 205.158.100, non inseriti – per mero errore materiale – nella dichiarazioni dei redditi relativa all’annualità in questione.
1.2. Con riguardo al regime impositivo degli interessi attivi maturati sui crediti d’imposta il giudice di terzo grado, qualificata la natura degli interessi maturati sui crediti d’imposta derivanti da eccedenze versate in acconto, come aventi natura compensativa, non costituenti né reddito di capitale, né reddito di impresa, riteneva che la normativa introdotta con il D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36 – che ha reso retroattivamente applicabile le disposizioni del T.U.I.R., secondo cui tali interessi vanno tassati come posta attiva di bilancio – non poteva applicarsi nel caso in esame, avendo la società contribuente presentato istanza di rimborso prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 42 del 1988, rendendo così la dichiarazione dei redditi non conforme alle nuove disposizioni e nel contempo realizzando il diritto ad ottenere il rimborso dell’Irpef versata sugli interessi attivi maturati sui crediti di imposta. Quanto al ricalcolo della proporzione di deducibilità per interessi passivi e spese generali ai fini Ilor, la CTC riteneva che “il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 118 ha introdotto una disciplina innovativa rispetto la precedente norma di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, art. 4, vigente ratione temporis, ai sensi della quale la determinazione della base imponibile delle due poste doveva essere effettuata sulla base dei medesimi criteri sul presupposto di una perfetta eguaglianza tra le rispettive basi imponibili, in assenza di norme agevolative. L’art. 118 citato ha, invece, stabilito il principio dell’autonoma determinazione della base imponibile ILOR, introducendo per tale imposta un diverso sistema di calcolo. Detta norma, entrata in vigore a decorrere dal 1 gennaio 1988, non è applicabile retroattivamente.”.
1.3. In tale giudizio, la società contribuente ha resistito resiste con controricorso ed ha presentato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.
1.4. Il Sostituto procuratore generale, nella persona del Dott. Umberto De Augustinis, ha presentato memoria telematica concludendo per il rigetto integrale del ricorso di cui alla controversia recante il numero di ruolo generale 13921/2013.
2. Nel ricorso recante il numero di ruolo generale 24390/13, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato tre motivi, avverso la decisione della Commissione Tributaria Centrale n. 1328/12, depositata in data 19/07/2012, con la quale, sul ricorso dell’Ufficio IIDD di Torino contro la sentenza di secondo grado della Commissione Tributaria di II grado di Torino n. 2524/04/1995, veniva dichiarata la cessazione della materia del contendere “per mancata riassunzione del ricorso da parte dell’Ufficio appellante, con la conferma del diritto al rimborso della Banca contribuente come confermato dai giudici del precedente grado di giudizio, ora in via definitiva”.
2.1 La società contribuente ha resistito con controricorso ed ha presentato memoria ex art. 380-bis1 c.p.c..
2.2. Il Sostituto Procuratore Generale ha presentato memoria, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO
Che:
1. Considerati gli evidenti profili di unitarietà processuale e sostanziale che caratterizzano i ricorsi all’esame, il Collegio ritiene di disporne la riunione, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., alla stregua dei principi affermati da questa Corte secondo cui la riunione dei procedimenti relativa a cause connesse “risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità dal ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale” (Cass., Sez. U., 13/09/2005, n. 18125).
1.1. Il ricorso recante il numero di ruolo generale 24390/13 va dunque, riunito a quello più risalente recante il numero di ruolo generale 13921/13.
2. Con la memoria depositata in data 10 giugno 2021 nel giudizio n. 13921/13, la società contribuente ha sollevato eccezione di giudicato esterno di cui alla “sentenza n. 2524/95 emessa il 3 maggio 1995 e depositata il 3 settembre 1995 dalla Commissione tributaria di secondo grado di Torino in relazione al giudizio intercorso tra le stesse parti originato dall’istanza di rimborso rivolta all’Intendenza di finanza di Torino e avente per oggetto il rimborso del medesimo credito ILOR per l’anno 1984 che costituisce oggetto del presente giudizio” (pag. 5 della memoria). Nell’esplicitare la relativa eccezione la società espone che, benché il Ministero delle finanze avesse proposto ricorso avverso tale sentenza (n. 2524/95) dinnanzi alla Commissione tributaria centrale di Torino, quest’ultima, con decisione n. 1328 del 2012, aveva dichiarato l’estinzione del giudizio e la conseguente definitività della sentenza, favorevole alla Banca, emessa dalla CTR e recante il n. 2524/15; a detta della società contribuente la proposizione dl ricorso in cassazione da parte dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTC n. 1328 del 2012, non ha impedito il passaggio in giudicato della sentenza della CTR n. 2524/15 limitatamente alla condanna al rimborso della maggiore Ilor erroneamente versata in eccesso dalla società, in quanto nel ricorso innanzi alla CTC, l’Ufficio non aveva riproposto il motivo afferente a tale rimborso.
2.1. L’eccezione è priva di pregio.
2.2. La sentenza della CTC n. 1328 del 2012 è stata impugnata dall’Agenzia dell’entrate originando il ricorso n. R.G. 24390/13, di cui il Collegio ha disposto la riunione all’altro ricorso recante il n. R.G. 13921/13, proprio in considerazione della stretta connessione, processuale e sostanziale, tra i ricorsi, enfatizzata dall’eccezione di giudicato.
2.3. Ed invero, che l’eccezione di giudicato sia del tutto inconferente lo si ricava dalle ragioni di accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle entrate recante il n. R.G. 24390/13, che qui di seguito si espongono, anticipandone l’esame per motivi di priorità logica e giuridica.
3. In primo luogo, va dato atto della tempestività della notifica del ricorso, in quanto, contrariamente a quanto eccepito dalla società contribuente, il termine lungo d’impugnazione della sentenza in questione, depositata in data 19 luglio 2012, spirava in data 21 ottobre 2013 (calcolando, dal 19 luglio 2012, il periodo di un anno e quarantasei giorni – in ragione della sospensione feriale dal 1 agosto al 15 settembre 2013 – il termine sarebbe spirato il giorno Sabato 19 ottobre 2019, che, in quanto giorno festivo, va prorogato al giorno feriale successivo, coincidente con lunedì 21 ottobre 2019) ed il ricorso risulta notificato, a mezzo posta, con raccomandata n. 780451456311, presso la sede della società contribuente proprio in data 21 ottobre 2013 e, quindi, entro il termine ultimo per l’impugnazione.
3.1. Con il primo motivo del ricorso n. RG. 24390/13 – così rubricato: “Violazione e falsa applicazione del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 55, comma 1, conv. in L. 6 agosto 2008, n. 133 e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4” – la ricorrente Amministrazione censura la sentenza impugnata per aver dichiarato l’estinzione del processo nonostante l’Ufficio avesse presentato, in data 17 dicembre 2008, la “dichiarazione di persistenza” del suo interesse alla definizione del processo, così violando il disposto del D.L. n. 112 del 2008, art. 55, conv. in L. n. 133 del 2008, nonché del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, per aver ravvisato una causa di estinzione del processo che, invece, non si era verificata. A sostegno dell’impugnazione ha trascritto nel ricorso, inserendone copia, la dichiarazione di persistenza dell’interesse, recante il numero di protocollo dell’Ufficio mittente n. 2008118801 del 15/12/2008, nonché l’elenco degli atti trasmessi e la corrispondente “ricevuta” recante il numero S-3203/08 del 17/12/2008. Con il secondo motivo d’impugnazione – così rubricato: “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., D.P.R. 29 settembre 1973, artt. 41, 44 e 52; D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 56, comma 3 e art. 118; D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4” l’Amministrazione ricorrente censura la decisione della CTC nella parte in cui statuendo in dispositivo “la conferma del diritto al rimborso della banca contribuente come confermato dai giudici di primo grado di giudizio, ora in via definitiva”, ha comunque deciso nel merito, violando le norme applicabili alla fattispecie e, segnatamente, il D.P.R. n. 42 del 1988, art. 36 che ha reso retroattivamente applicabile le disposizioni del T.U.I.R., senza verificare l’anteriorità, alla data di entrata in vigore del D.P.R. 14 febbraio 1988, n. 42, dell’istanza di rimborso presentata dalla Unicredit. Col terzo motivo d’impugnazione, l’Amministrazione erariale censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 59 del 1973, artt. 58 e 61, D.P.R. n. 599 del 1973, art. 4, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 118), di cui al capo implicito della sentenza impugnata, in punto di ricalcolo della base imponibile Ilor in relazione agli interessi attivi assoggettati a tassazione agevolata ai fini Irpeg, sostenendo che i proventi in questione (interessi attivi rinvenienti da mutui concessi a Comuni e Province), contrariamente a quanto richiesto dalla società contribuente con l’istanza di rimborso e nelle difese di merito, erano esenti da Irpeg ma non da Ilor e, dunque, avrebbero dovuto essere indicati, tanto al numeratore che al denominatore della frazione, per il calcolo di proporzionalità.
4. Il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto, con assorbimento dei restanti.
4.1. La CTC, rilevando che “l’Ufficio appellante non versa in atti la dichiarazione di persistenza dell’interesse alla prosecuzione del giudizio D.L. 25 giugno 2008, n. 112 ex art. 55, comma 1, convertito con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133” ha statuito la cessazione della materia del contendere, con la “conferma del diritto al rimborso della Banca contribuente come confermato dai giudici del precedente grado di giudizio, ora in via definitiva”.
4.2. Il D.L. n. 112 del 2008, art. 55 ha previsto – per i soli processi “pendenti, su ricorso degli uffici dell’Amministrazione finanziaria, innanzi alla Commissione tributaria centrale alla data di entrata in vigore della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 351, per i quali non è stata ancora fissata l’udienza di trattazione alla data di entrata in vigore del presente articolo”, ed entro sei mesi da tale data – il deposito da parte degli stessi Uffici di una apposita “dichiarazione di persistenza” del loro interesse alla definizione del giudizio. In assenza di tale dichiarazione, l’art. 55 ha disposto che “i relativi processi si estinguono di diritto e le spese del giudizio restano a carico della parte che le ha sopportate” (per effetto del D.L. 22 dicembre 2011, n. 212 (convertito con L. 17 febbraio 2012, n. 10), la L. n. 183 del 2011, art. 26 è stato abrogato e, conseguentemente, non vi è più l’obbligo di presentare l’istanza di trattazione suddetta).
4.3. Nella specie, l’indagine della CTC avrebbe dovuto riguardare, a parte la ricorrenza dei requisiti formali (relativi alla tempestività dell’istanza rispetto all’entrata in vigore della norma in questione e all’oggetto della stessa, dovendosi trattare di ricorsi avverso le pronunce pubblicate prima del 4 luglio 2009), la verifica della persistenza dell’interesse alla definizione del giudizio pendente innanzi alla CTC. Nell’istanza allegata in ricorso e presentata tempestivamente (17.12./2008) alla CTC, risultano indicati correttamente, il numero del ricorso (n. 5001546-R31), la decisione impugnata (n. 2524/1995 del 30/09/1995 emessa dalla Commissione tributaria di secondo grado di Torino), l’oggetto del ricorso (imposta II.DD), l’atto impugnato (1117 “SIL RIF. RIMB. ISTANZA RIMBORSO IRPEG/ILOR”), l’anno di imposta afferente all’atto tributario impugnato (1984). Da l'”elenco dei documenti del fascicolo” n. di prot. 2008118801 del 15/12/2008, depositato presso la Segreteria della CTC in data 17/12/2008, risultano depositati diciotto atti di “dichiarazione di interesse”, tra cui, all’allegato del 13 dell’elenco, quella relativa al giudizio in questione così indicata: “13. 2008116849 CASSA DI RISPARMIO DI TO IST: RIASSUNZIONE CTC 5001546”. L’unico dato non correttamente riportato riguarda il numero di ruolo generale della CTC di Torino che, nell’istanza, è stato indicato quale n. 786/1998, mentre dal frontespizio della sentenza della CTC risulta essere il numero di ruolo 1463/1998.
4.4. Ritiene il Collegio – che per l’eccepito error in procedendo, diventa arbitro del fatto processuale e ha, quindi, il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali – che dagli elementi indicati nell’istanza si ricava, inequivocabilmente, la manifestazione di interesse alla prosecuzione del giudizio pendente innanzi alla CTC e riguardante l’impugnazione della sentenza n. 2524/1995. Il fatto che la “dichiarazione di persistenza dell’interesse alla definizione del giudizio” (v. allegato n. 11), è stata tempestivamente presentata con riguardo ad un ricorso avverso la pronuncia della CTR pubblicata prima del 4 luglio 2009 e sia completa dei suoi elementi identificativi, rende palese l’error in procedendo della CTC che ha ritenuto “non versata” in atti alcuna istanza.
4.5. Ne’, d’altro canto, l’errore di identificazione del numero di ruolo generale – come eccepito dalla società controricorrente – può assumere le caratteristiche di un errore essenziale e non riconoscibile tale da determinare l’invalidità dell’istanza stessa, trattandosi di mero errore materiale, facilmente superabile in base ad una prudente verifica degli elementi indicati con la dichiarazione.
4.6. Va, altresì, considerato, che il regime di invalidità degli atti processuali (art. 156 c.p.c., comma 2, applicabile anche al processo tributario) avrebbe imposto ai giudici della CTC di argomentare il perché l’atto in questione mancasse dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo tanto da considerarlo “non versato agli atti”. Ed invero, ipotizzando che i giudici della CTC abbiano inteso (implicitamente) ricavare dalla erronea indicazione del numero di ruolo le conseguenze del vizio di nullità dell’atto, la sentenza non rimarrebbe esente dal vizio denunciato, posto che il nostro sistema, per immanenti esigenze di economia processuale, è centrato sul principio di conservazione degli effetti degli atti processuali, volto ad eliminare, per quanto possibile, la rilevanza degli inadempimenti formali, a rimediare agli errori commessi dalle parti nel compimento degli atti processuali (cd. di sanatoria), affinché lo stesso processo originariamente avviato possa raggiungere il suo scopo (espressione di tali principi sono, ad es., gli artt. 50,102,162,164,167,182,291,367,426 e 427 c.p.c., nonché le disposizioni sulla translatio iudicii in caso di difetto di giurisdizione).
4.7. Da tanto ne consegue che, poiché l’Amministrazione finanziaria con la “dichiarazione di persistenza”, allegata agli atti del fascicolo di terzo grado e nel ricorso in cassazione, ha realizzato l’esercizio del potere processuale (esistente ed individuabile) ad esso connesso, la CTC, anche a fronte dell’errore nell’individuazione del numero di ruolo generale, avrebbe dovuto applicare gli effetti derivanti dall’esercizio di quel potere, anche se difettosamente esercitato.
4.8. L’ulteriore error in procedendo commesso dai giudici della CTC è stato la declaratoria di cessazione della materia del contendere anziché (laddove – come ritenuto dai giudici di terzo grado – l’stanza non fosse stata depositata) di estinzione (di diritto) del processo come previsto dal citato D.L., art. 55 (l’omessa declaratoria di estinzione è questione censurabile con il ricorso in cassazione quale error in procedendo, v. Cass., 03/03/ 2006, n. 14744). Questa Corte, in tema di declaratoria di cessazione della materia del contendere e di efficacia di giudicato sostanziale della pretesa fatta valere, ha chiarito che, nel processo tributario, “la pronuncia di “cessazione della materia del contendere” costituisce una fattispecie di estinzione del processo, contenuta in una sentenza dichiarativa dell’impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti alla naturale conclusione dello stesso tutte le volte in cui non risulti possibile una declaratoria di rinuncia agli atti o di rinuncia alla pretesa sostanziale. Ne consegue l’assoluta inidoneità di detta pronuncia ad acquistare efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere, potendo essa acquisire tale efficacia di giudicato sul solo aspetto del venir meno dell’interesse alla prosecuzione del processo” (v. Cass. 25/03/2010, n. 7185, richiamata da Sez. 65, 19/02/2020, n. 4167).
4.9. In altri termini, poiché la pronuncia di cessazione della materia del contendere ha carattere meramente processuale (riguardando il venir meno dell’interesse ad agire), essa è inidonea a costituire giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere in giudizio (da ultimo, cfr., Sez. 5, 24/01/2018, n. 1695 Rv. 64692001), mentre le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio, non passate in cosa giudicato, rimangono caducate dalla declaratoria di cessazione della materia del contendere (id., Cass. n. 7185 del 2020 cit.).
4.10. In conclusione, poiché con la decisione qui gravata (sentenza n. 1328/12) i giudici della CTC si sono spogliati della potestas iudicandi, essa non è idonea a costituire giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere da Unicredit (già, Cassa di Risparmio di Torino), sicché, merita di essere cassata e perdurando il contrasto tra le parti, il giudizio deve essere rimesso alla CTR del Piemonte affinché proceda all’esame del merito della controversia.
5. Passando all’esame del ricorso n. R.G. 13921/13 esso è fondato nei limiti di cui appresso.
5.1. Con il primo motivo d’impugnazione – così rubricato: “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., D.P.R. 29 settembre 1973, art. 41, 44 e 52; D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 56, comma 3 e art. 118; D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4” l’Amministrazione ricorrente denuncia, il vizio di ultrapetizione della decisione della CTC per essersi fondata su un fatto (l’anteriorità, alla data di entrata in vigore del D.P.R. 14 febbraio 1988, n. 42, dell’istanza di rimborso presentata dalla Cassa di risparmio di Torino, in data 16/10/1986), non dedotto dalla società contribuente, la quale, nei tre gradi di giudizio – iniziati tutti dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 42 del 1988 – “si limitò a dedurre che gli interessi in questione erano compensativi e per questo non rientravano tra le ipotesi di interessi che il combinato disposto del D.P.R. n. 597 del 1973, artt. 41,53,54 e 55, attraeva nel reddito di impresa”. Tale mancata deduzione, a detta della ricorrente, comporterebbe l’ulteriore vizio di violazione dell’art. 345 c.p.c., non potendo la società contribuente prospettare, con il ricorso innanzi alla Commissione centrale, motivi non proposti nei precedenti gradi ovvero che implichino valutazioni di fatti precedentemente non dedotti.
6. Il motivo è infondato.
6.1. Va richiamato l’indirizzo di questa Corte, al quale il Collegio intende aderire, secondo cui il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purché restino immutati il “petitum” (nel caso, rimborso degli interessi attivi maturati sui crediti d’ imposta di cui all’istanza presentata in data 16/10/1986) e la “causa petendi” (il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria) e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (cfr., Cass. 4 febbraio 2016, n. 2209; id. Cass. 11/05/2018, n. 11498).
6.2. Nella specie, la CTR, dopo avere ricostruito la portata della disposizione di cui all’art. 56 T.U.I.R. – introduttiva dell’imponibilità di tutti gli interessi attivi, compresi quelli derivanti da crediti d’ imposta, con efficacia retroattiva ai sensi del D.P.R. n. 42 del 1988, art. 36 – senza allontanarsi dal perimetro del giudizio (concernente l’istanza di rimborso di tali interessi, per l’annualità 1984) e nel pieno rispetto del principio di cui all’art. 112 c.p.c., ha valorizzato la circostanza – pacifica in causa – della presentazione dell’istanza in data precedente all’entrata in vigore del citato D.P.R., art. 36, attribuendole funzione rettificativa della dichiarazione originariamente presentata e, quindi, idonea ad impedire che l’accertamento assumesse carattere di definitività.
6.3. Il ragionamento seguito dai giudici di terzo grado trova riscontro nella consolidata interpretazione di questa Corte secondo cui l’assoggettabilità a tassazione, ai sensi del D.P.R. n. 597 del 1973, degli interessi sui crediti di imposta, deve essere esclusa in quanto non sono qualificabili né come redditi di capitale, né come redditi di impresa, avendo una natura precipuamente compensativa (cfr., Cass., 17/04/2019, n. 10705; Cass., 12/02/2010, n. 3399; Cass., 9852 del 2016; Cass., 18864 del 2004; Cass., 3574 del 1995).
6.4. Anche con riguardo all’emendabilità della dichiarazione dei redditi, la decisione impugnata va esente da censure, avendo questa Corte affermato, con argomenti condivisi, il principio secondo cui: “In tema di imposte sui redditi e con riguardo al regime transitorio dettato dal D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36 – il quale ha reso retroattivamente applicabili (anche “in malam partem”) le disposizioni del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, a condizione che le dichiarazioni dei redditi relative ai periodi d’imposta antecedenti al 1 gennaio 1988 (validamente presentate) siano ad esse conformi – il contribuente che, al fine di evitare la retroattività di una disposizione del TUIR meno favorevole, intenda emendare – sotto forma di istanza di rimborso, come in linea di principio gli è consentito – la dichiarazione dei redditi a suo tempo presentata (e nella quale aveva erroneamente anticipato il contenuto della norma sopravvenuta), è tenuto a formulare detta istanza prima dell’entrata in vigore del citato D.P.R. n. 42 del 1988 (avvenuta il 1 marzo 1988) dovendosi ritenere che solo in tal caso la domanda produca tempestivamente l’effetto di rendere “non conforme” la dichiarazione originaria alle disposizioni successive e, quindi, di sottrarre il contribuente all’applicazione retroattiva di queste ultime” (così, Cass., 5/07/2013, n. 16904, che richiama Cass., 30/05/2003, n. 8725 e Cass., 30/03/2004, n. 6311, tutte riguardanti il regime fiscale applicabile agli interessi attivi sui crediti di imposta, non tassabili secondo il previgente regime D.P.R. n. 597 del 1973, ed assoggettabili a tassazione ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56; id., Cass., n. 29879 del 2017; Cass., n. 8951 del 2018; Cass., n. 8945 del 2018; Cass., n. 7287 del 2019; Cass., n. 8945 del 2018 e, da ultimo, Cass., n. 10705 del 2019).
6.5. Del resto, l’emenda della dichiarazione non poteva che essere consentita, trattandosi di mera dichiarazione di scienza e non di manifestazione di volontà, secondo gli insegnamenti delle sezioni unite di questa Corte di cui alla sentenza n. 13378 del 2016.
7. Col secondo motivo d’impugnazione, l’Amministrazione erariale deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 59 del 1973, artt. 58 e 61, D.P.R. n. 599 del 1973, art. 4, D.P.R. n. 917 del 1986, art. 118) per non aver la CTC considerato, sul ricalcolo della proporzione di deducibilità per interessi passivi e spese generali ai fini Ilor, che i proventi in questione (interessi attivi rinvenienti da mutui concessi a Comuni e Province) erano esenti da Irpeg ma non da Ilor e, dunque, avrebbero dovuto essere indicati, tanto al numeratore che al denominatore della frazione, per il calcolo di proporzionalità. Secondo l’assunto della ricorrente l’errore della CTC sta nell’aver considerato la totale dipendenza della determinazione della base imponibile Ilor da quella Irpeg, mentre, invece, non possono applicarsi, acriticamente, le disposizioni previste ai fini Irpeg per la determinazione del reddito di impresa alla determinazione del reddito imponibile ai fini Ilor, avendo i tributi locali una funzione qualitativa diversa e dovendosi applicare una norma agevolativa (D.P.R. n. 601 del 1973, art. 21) che consentiva l’esenzione Irpeg per il 50% dei mutui concessi ad enti pubblici, per la quale era esclusa l’eguaglianza tra le basi imponibili.
7.1. Tale mezzo è fondato.
7.2. La questione ha trovato soluzione negli arresti, anche recenti, di questa Corte (v. Cass., 10/02/2012, n. 1946 che richiama Cass. n. 13806 del 2005, entrambe richiamate da Sez. 5, 06/07/2020, n. 13280) che, con argomenti che qui si fanno propri, in mancanza di ragioni ostative, hanno statuito il seguente principio di diritto:”in tema di Ilor, ai soli fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi dal reddito d’impresa imponibile, i redditi esenti da tale imposta in base alle previsioni di norme speciali vanno sottratti, al numeratore del rapporto previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 58, comma 1, dall’imponibile Irpeg, in deroga alla regola della coincidenza tra base imponibile Irpeg e base imponibile Ilor, prevista dall’art. 4 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 599.” In tal senso è stato precisato che: “In tema di Ilor, ai soli fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi dal reddito d’impresa imponibile, i redditi esenti dall’imposta in base alle previsioni di norme speciali (…) vanno sottratti, al numeratore del rapporto previsto dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 58, comma 1, dall’imponibile Irpeg, in deroga alla regola della coincidenza tra base imponibile Irpeg e base imponibile Ilor 13806 del 2005. E’ infatti da rilevare che il principio – espresso dal D.P.R. n. 599 del 1973, art. 4 – della coincidenza della base imponibile Ilor con la base imponibile Irpeg va coordinato con la funzione propria del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 58, comma 1, che individua la percentuale di deducibilità degli interessi passivi nella misura risultante dal rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito imponibile e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi, compresi quelli che fruiscono di esenzioni. In proposito questo giudice di legittimità ha ritenuto che “l’art. 58 stabilisce (…) una presunzione assoluta che gli interessi passivi riguardano sia i redditi di impresa imponibili, sia quelli esenti, nella proporzione in cui i ricavi e proventi che danno luogo a redditi imponibili stanno all’ammontare complessivo di tutti i proventi e ricavi, ivi compresi quelli danti luogo a redditi esenti” (v. Cass. n. 15205 del 2000). Se questa è dunque la funzione e la ratio del citato art. 58, risulta evidente che, nell’individuazione del reddito imponibile ai (soli) fini del calcolo della percentuale di deducibilità, laddove la norma sia applicata all’Ilor, non può non tenersi conto delle specifiche ipotesi di esenzione da tale imposta, previste da norme speciali in deroga alla regola della coincidenza tra base imponibile Irpeg e base imponibile Ilor, pena, in caso contrario, l’irragionevolezza della suddetta presunzione, in quanto riferita ad un rapporto tra reddito imponibile e ricavi totali difforme da quello concretamente derivante dalla disciplina applicativa dell’imposta. Da quanto esposto consegue che i redditi esenti da Ilor vanno sottratti, al numeratore del rapporto previsto dall’art. 58 citato, dall’imponibile Irpeg, in coerente applicazione del medesimo criterio logico in virtù del quale – a vantaggio, questa volta, del contribuente – il valore relativo al reddito imponibile Irpeg va invece aumentato delle componenti reddituali esenti dall’Irpeg ma non dall’Ilor” (così, Sez. 5, 06/07/2020, n. 13280).
7.3. Il Collegio intende dare continuità ai principi di diritto richiamati, anche considerando che nessun diverso e convincente argomento emerge dal controricorso e dalla memoria della società. Il richiamo, fatto sia dalla CTC che dalla società controricorrente, alla sentenza di questa Corte n. 2830 del 07/02/2008, non giova alle tesi difensive della contribuente, atteso che in tale sentenza è stata, si, ritenuta la “perfetta uguaglianza” tra le basi imponibili IRPEG ed ILOR, ma sempre che non sussistessero norme agevolative (v. in motivazione: ” (…) la determinazione della base imponibile delle due imposte doveva avvenire sulla base di medesimi criteri, dovendo ritenersi la sussistenza di una perfetta uguaglianza tra le basi imponibili IRPEG ed ILOR in assenza di norme agevolative”). Nel caso di specie si e’, invece, in presenza della norma agevolativa di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 21 che consente l’esenzione Irpeg del 50% degli interessi relativi a mutui concessi ad enti pubblici, sicché – come evidenziato dalla ricorrente a pag. 25 del ricorso – la CTC avrebbe dovuto riprendere a tassazione, attraverso una variazione in aumento della base imponibile Irpeg, “la quota parte di interessi attivi non inseriti nella determinazione del reddito Irpeg, ma anche portare in diminuzione i redditi imponibili Irpeg ma esenti Ilor”.
8. La sentenza impugnata (n. 586 del 2012) deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla CTR di Torino affinché proceda al ricalcolo della proporzione di deducibilità per interessi passivi e spese generali ai fini Ilor sulla base di principi di diritto innanzi esposti.
9. La CTR in sede di rinvio dei giudizi riuniti è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese di lite.
PQM
Dispone la riunione del ricorso n. R.G. 24390/2013 al ricorso n. RG. 13921/13.
Accoglie i ricorsi riuniti per quanto in motivazione, cassa le sentenze impugnate e rinvia alla CTR di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere in ordine alle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021
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