Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32132 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2863-2020 proposto da:

M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, alla PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE IMPERIO;

– ricorrente –

contro

ITALFONDIARIO S.P.A., BANCA POPOLARE DI PUGLIA E BASILICATA S.c.p.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 18074/2019 della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE di ROMA, depositata il 05/07/2019;

udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio non partecipata del 26/05/2021, dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano Valle, osserva quanto segue.

FATTO E DIRITTO

M.R. impugna per revocazione, con ricorso affidato a due motivi, la sentenza n. 18074 del 2019 della Corte di Cassazione (con Collegio composto dai seguenti magistrati: D.S.F. presidente, R.L., Ro.Ma., T.A. e P.P. consigliere estensore).

La proposta, di inammissibilità e comunque di definizione secondo il rito di cui all’art. 375 c.p.c., del Consigliere relatore è stata ritualmente comunicata alle parti.

Il ricorrente M.R. ha depositato memoria, in via telematica, nella quale ha insistito nelle proprie prospettazioni.

Italfondiario S.p.a. e la Banca popolare di Puglia e Basilicata S.c.p.a. non hanno svolto attività difensiva.

Il primo motivo del ricorso individua un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e dell’art. 391 bis c.p.c. laddove la Corte di Appello ha erroneamente statuito che l’avvocato Paolo Miraglia e l’avvocato Francesco De Palma si sarebbero costituiti legittimamente nel grado di appello in virtù di mandato difensivo ricevuto (ndr: testo originale non comprensibile) soggetto dotato di potere di rappresentanza dell’Italfondiario, contrariamente a quanto eccepito dall’appellante nel suo fondato atto di appello.

Il primo motivo deduce un errore di fatto relativo all’individuazione dell’eccezione di mancanza di procura alle liti: secondo il ricorrente la questione della mancanza di procura alle liti sarebbe stata da lui sollevata e non rilevata di ufficio e ciò influirebbe sulla possibilità di sanatoria, che andrebbe esclusa.

Il motivo, così formulato, non rientra nel perimetro di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, laddove esso prescrive che l’impugnazione sia proposta con riferimento ad uno specifico fatto, del quale il provvedimento giudiziale ha escluso la ricorrenza o invece l’ha ammessa, in contrasto con le risultanze di causa. Il motivo così proposto, viceversa, chiede un riesame delle risultanze fattuali della causa in grado di appello e della valutazione che di esse ha compiuto il giudice dell’impugnazione di merito.

Il secondo motivo denuncia errore di fatto circa la percezione dell’esistenza in atti di causa di fotocopie di scritture private e non, più esattamente, di fotocopie di atti pubblici notarili non spedite nelle forme prescritte dai depositari pubblici autorizzati.

Il secondo motivo, condensato in sette righi, oltre l’intitolazione, che potrebbe avere una qualche rilevanza in termini di errore revocatorio, non esplica la rilevanza della errata (ammesso che vi sia stata) percezione dei documenti, posto che la sentenza della Corte di Cassazione aveva già ritenute generiche le censure esposte sul punto del disconoscimento.

Entrambi i motivi sono, comunque, ai limiti della comprensibilità e comunque inammissibili, in quanto essi esulano dall’ambito della revocazione per errore di fatto.

La disamina delle censure di cui ai detti motivi non può essere analiticamente condotta, in quanto essi prospettano questioni in fatto e diritto in modo del tutto giustapposto e apodittico, senza alcuna differenza tra questioni di fatto, rilevanti ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e questioni di diritto o comunque di valutazione decisoria.

Tutte le affermazioni seguenti alla sopradescritta intitolazione dei motivi di ricorso afferiscono, semmai, a errori di diritto del giudice (che, in ogni caso, sono soltanto anche essi affermati) e esulano per ciò solo, dal perimetro di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, nel cui ambito ricade soltanto quel che la dottrina afferma essere “contrasto tra la rappresentazione univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione dell’accertamento del giudice avente ad oggetto lo stesso fatto o lo stesso complesso di fatti e deve profilarsi in termini di esclusione e non di semplice diversità e inoltre il fatto, o il complesso di fatti non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza (o l’ordinanza, come nella specie) abbia pronunciato.”.

L’esposizione dei motivi, a parte la difficoltà nell’individuare con adeguata certezza le proposizioni rilevanti in termini di critica al provvedimento in quanto carente nella ricognizione di un fatto, si risolve nel prospettare una diversa opinione del ricorrente sui fatti oggetto di causa, sia in grado di merito che in sede di legittimità, ma non individua alcun errore fattuale nel senso voluto dalla norma invocata.

In materia di revocazione per errore di fatto dei provvedimenti della Corte di Cassazione si richiama la recente giurisprudenza nomofilattica (Sez. Un. 08984 del 11/04/2018 Rv. 648127 – 02): “Il combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione; né, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza Europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia.”.

Il ricorso per revocazione deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in quanto tutte le controparti sono rimaste intimate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso; nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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