LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19861-2015 proposto da:
S.MI.B.B. DI M.A. & C. S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ELENA BRAMBILLA;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, GIUSEPPE MATANO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE;
– controricorrenti –
nonché contro EQUITALIA NORD S.P.A., (già EQUITALIA ESATRI S.P.A.);
– intimata –
avverso la sentenza n. 1053/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/02/2015 R.G.N. 41/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 23.2.2015, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado e in accoglimento dell’appello incidentale dell’INPS, ha dichiarato dovuti da S.MI.B.B. di M.A. & C. s.n.c. i contributi previdenziali relativi al rapporto di lavoro subordinato precorso con B.O. dall’1.1.2005 al 31.12.2008, detratto quanto per costui versato alla Gestione separata;
che avverso tale pronuncia S.MI.B.B. di M.A. & C. s.n.c. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre articolati motivi di censura;
che l’INPS, anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a., ha resistito con controricorso;
che la società concessionaria dei servizi di riscossione è rimasta intimata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per non avere la Corte di merito rilevato che la durata del rapporto di lavoro in contestazione, come peraltro desumibile dal verbale di accertamento posto a base della cartella di pagamento opposta in giudizio, non era compresa tra il 1.1.2005 e il 31.12.2008, bensì tra il 1.1.2005 e il 31.5.2008;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 112,345 e 437 c.p.c., per avere la Corte territoriale accolto la domanda nuova formulata dall’INPS nell’appello incidentale, concernente i contributi dovuti sul rapporto di lavoro precorso dal 1.6.2008 al 31.12.2008;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di omesso esame circa un fatto decisivo e/o violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, artt. 8 e 9, D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69 e dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto che, trattandosi in specie di collaborazione coordinata e continuativa soggetta al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61 l’insussistenza di un progetto e di una pattuizione di orario determinava che, indipendentemente dalla prestazione di un orario ridotto, il rapporto, ai fini contributivi, doveva considerarsi a tempo pieno;
che, con riguardo ai primi due motivi, va premesso che il giudice di primo grado, nel dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’odierna ricorrente e B.O., ha errato nel delimitarne temporalmente l’inizio e la cessazione, riportandoli rispettivamente al 1.5.2005 (invece che al 1.1.2005) e al 31.12.2008 (invece che al 31.5.2008);
che l’anzidetto errore (chiaramente materiale, essendo incontroverso che lo stesso verbale ispettivo da cui trae origine l’iscrizione a ruolo contestata nel presente giudizio indicava il mese di maggio 2008 come termine finale del periodo per i quale erano dovuti i contributi: cfr. sul punto pag. 18 del ricorso per cassazione) è stato denunciato alla Corte d’appello sia dall’odierna ricorrente, con l’appello principale, che dall’INPS, con l’appello incidentale, il quale però, nell’indicare esattamente nel 1.1.2005 la data d’inizio del contratto di collaborazione di cui il primo giudice aveva pronunciato la conversione perché mancante di progetto, ha erroneamente indicato nel 31.12.2008 la data del termine finale, così perpetuando sul punto il lapsus del primo giudice;
che la Corte territoriale, nel dare atto dell’erroneità dell’indicazione del primo giudice circa la data d’inizio del rapporto, nulla ha detto circa l’erroneità di quello finale, correggendo la sentenza di prime cure solo in parte qua e riformandola con il riconoscimento del diritto dell’odierna ricorrente – di portare in detrazione dai contributi dovuti quanto già corrisposto alla Gestione separata per il medesimo rapporto;
che, così ricostruito il fatto processuale, appare evidente che il medesimo errore materiale compiuto dal primo giudice nell’individuazione del termine finale del rapporto di collaborazione oggetto di conversione è stato reiterato dalla Corte d’appello, essendo rimasto incontroverso che “l’oggetto della controversia permane(sse) con riguardo al periodo di vigenza del secondo contratto di collaborazione” (così la sentenza impugnata, pag. 5) e non potendo configurarsi alcun errore revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4 in mancanza di erronea percezione delle risultanze di fatto da parte del giudice (cfr. in tal senso Cass. n. 657 del 2003);
che, ciò posto, i primi due motivi sono inammissibili, non potendo configurarsi nella decisione impugnata né l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, né il vizio di ultrapetizione, entrambi presupponendo un giudizio erroneo che derivi da un’inesatta valutazione giuridica o dall’omessa considerazione di fatti decisivi, e non anche un errore che consista in un semplice lapsus calami (c.d. errore ostativo: v. in tal senso già Cass. n. 1688 del 1962; più recentemente, nello stesso senso, Cass. n. 7647 del 2005);
che la speciale disciplina dettata dagli artt. 287 c.p.c. e ss. per la correzione degli errori materiali incidenti sulla sentenza, che attribuisce la competenza all’emanazione del provvedimento correttivo allo stesso giudice che ha emesso la decisione da correggere, mentre non è applicabile quando contro la decisione stessa sia già stato proposto appello dinanzi al giudice del merito, in quanto l’impugnazione assorbe anche la correzione di errori, è invece da osservarsi rispetto alle decisioni impugnate con ricorso per cassazione, atteso che il giudizio relativo a tale ultima impugnazione è di mera legittimità e questa Corte non può correggere errori materiali contenuti nella sentenza del giudice di merito, al quale va, pertanto, rivolta l’istanza di correzione, anche dopo la presentazione del ricorso per cassazione (Cass. n. 13629 del 2021);
che il terzo motivo è infondato nella parte in cui si duole, anche in relazione all’art. 115 c.p.c., che la sentenza abbia omesso di considerare che la prestazione non era stata resa a tempo pieno, avendo piuttosto i giudici ritenuto il fatto irrilevante ai fini contributivi in ragione della mancata stipulazione di un progetto;
che il medesimo motivo è inammissibile nella parte in cui lamenta l’omesso esame delle argomentazioni difensive concernenti le conseguenze sul piano contributivo della mancanza di forma scritta richiesta dal D.Lgs. n. 61 del 2000, artt. 2 e 8, atteso che l’art. 360 c.p.c., n. 5 riguarda l’omesso esame di un fatto storico-naturalistico, principale o secondario, nel quale paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. nn. 14802 del 2017 e 22397 del 2019);
che il medesimo motivo è infondato nella parte in cui censura la sentenza impugnata in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, atteso che proprio tale disposizione, nel prevedere tout court che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato”, senza alcun riguardo alle concrete modalità di svolgimento del rapporto (valorizzate invece dal successivo comma 2 quando “venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’art. 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato” per concludere che, in tale ultimo caso, il contratto “si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”), legittima la conclusione che, nel caso di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, la contribuzione previdenziale va senz’altro parametrata all’orario proprio del tempo pieno, restando affatto irrilevante la “tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”;
che il medesimo motivo è invece inammissibile per estraneità al decisum nella parte in cui si duole di violazione del D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 8 recando tale norma la disciplina delle conseguenze di una stipulazione part-time di cui difetti la prova, mentre nel caso di specie la Corte territoriale ha positivamente accertato che le parti non avevano pattuito alcun orario di lavoro (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata);
che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 5.450,00, di cui Euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021
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