LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8725-2015 proposto da:
S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI ANTONELLI 50, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE TRIVELLINI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio degli avvocati LUCIANA ROMEO, LETIZIA CRIPPA, che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 753/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 25/09/2014 R.G.N. 58/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/06/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.
RILEVATO
CHE:
1. La Corte d’Appello di L’Aquila, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda proposta da S.A. per l’accertamento dell’origine professionale della patologia sofferta (artrosi e gonartrosi bilaterale delle ginocchia).
2. Per quanto ancora in discussione, il giudice dell’appello osservava che i consulenti nominati nei due gradi di giudizio avevano manifestato perplessità circa la esistenza di un nesso causale tra l’attività di piastrellista – unica rilevante sotto il profilo causale – e la patologia, tenuto conto della anamnesi e della documentazione offerta in causa. Non vertendosi in materia di malattia tabellata, era onere della parte privata fornire prova dell’esposizione a rischio (svolgimento dell’attività di piastrellista) che aveva concorso a determinare, aggravare o accelerare l’evoluzione della patologia, di genesi extralavorativa (costituzionale, posturale e da sovraccarico).
3. Detto onere non era stato assolto, atteso che – a fronte di prove orali generiche in relazione alla effettiva incidenza della attività di piastrellista rispetto alla generica attività di operaio edile e carenti in ordine alla fonte di conoscenza per i testi delle circostanze da loro confermate – i documenti prodotti davano atto che il S. aveva ricevuto soltanto due commesse come piastrellista, in un unico contesto temporale (tutte le fatture recavano la data del *****). Tali circostanze non consentivano di affermare che l’attività di piastrellista fosse stata svolta con quel minimo di ricorrenza e continuità tale da rappresentare una obiettiva esposizione a rischio lavorativo.
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza S.A., articolato in tre motivi di censura ed illustrato con memoria, cui l’INAIL ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324 e 329 c.p.c., anche in relazione al formarsi del giudicato interno; violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.
2. Ha censurato la sentenza in quanto fondata sulla rivisitazione di fatti e profili che, nell’assunto di parte, sarebbero oggetto di giudicato interno.
3. Ha esposto che il Tribunale aveva ritenuto provato lo svolgimento dell’attività di piastrellista per oltre trenta anni, con frequenza quotidiana dal lunedì al venerdì e con orario di lavoro dalle ore 8 alle 13 e dalle 14 alle 17, sulla base delle dichiarazioni dei testi; su tale accertamento aveva fondato il convincimento che detta attività lavorativa, svolta in modo prolungato e continuativo, aveva avuto incidenza causale nella determinazione della malattia.
4.Ha dedotto che tale autonoma ratio decidendi non era stata espressamente impugnata dall’INAIL con l’atto di appello, nel quale non erano state censurate le risultanze istruttorie; non poteva essere, pertanto, riesaminata la questione di fatto dello svolgimento continuativo della attività di piastrellista, con le suddette cadenze temporali, giornaliere ed orarie.
5. Si lamenta per la stessa ragione la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c..
6. Il motivo è infondato.
7. Per pacifica giurisprudenza di questa Corte, costituisce capo autonomo della sentenza – come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato interno – solo quello che risolva una questione controversa tra le parti caratterizzata da una propria individualità e una propria autonomia, sì da integrare, in astratto, gli estremi di un “decisum” affatto indipendente e non anche quello relativo ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (Cassazione civile sez. lav., 22/05/2020, n. 9484; Cassazione civile sez. III, 31/01/2018, n. 2379; Cass. 30/10/2007, n. 22863; Cass. n. 17935 del 2007; Cass. n. 23747 del 2008).
8. Non è dunque configurabile il giudicato interno rispetto a meri passaggi argomentativi o alla valutazione delle prove che attengono al capo di sentenza oggetto di impugnazione (in termini: Cassazione civile sez. III, 31/01/2018, n. 2379); la valutazione delle prove, e attraverso di essa l’accertamento del fatto storico controverso, non costituisce capo autonomo della sentenza, non potendo integrare una decisione del tutto indipendente.
9. Nell’ambito del capo della sentenza oggetto dell’impugnazione la cognizione del giudice del gravame si estende, poi, sull’intera sequenza “fatto – norma – effetto” costituente la cd. “unità minima suscettibile di passaggio in giudicato”. L’impugnazione motivata in ordine anche ad uno solo degli elementi di tale sequenza riapre per intero l’esame di tale minima statuizione, consentendo al giudice dell’impugnazione di riconsiderarla tanto in punto di diritto- (individuando una diversa norma sotto cui sussumere il fatto o fornendone una differente esegesi) – quanto in punto di fatto, attraverso una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti (ex actis, Cass. sez. VI, 22/02/2013, n. 4572, Cass. nn. 2217 del 2016, 12202 del 2017 e 16853 del 2018, tutte sulla scorta di Cass. n. 6769 del 1998).
10. Nella fattispecie di causa era oggetto dell’appello l’accertamento del diritto del S. alle prestazioni assicurative per malattia professionale; correttamente il giudice del gravame ha preso nuovamente in esame il complesso degli elementi istruttori circa l’origine professionale della malattia, investito dall’impugnazione.
11. Con il secondo mezzo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, commi 1 e 2, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 2 e 3 dell’art. 41 c.p., degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., degli artt. 421 e 437 c.p.c.
12. Si espone che entrambi i testi escussi nel primo grado avevano confermato il lavoro svolto dall’anno 1980 all’anno 2011 come piastrellista, con frequenza quotidiana e per otto ore al giorno; si imputa alla Corte territoriale di non avere tenuto conto della prova orale e di avere fondato la decisione unicamente sui documenti.
13. Si evidenzia che i consulenti nominati nei due gradi erano concordi nell’affermare che l’attività lavorativa di piastrellista costituiva causa o almeno concausa della patologia alle ginocchia; il ctu nominato in appello aveva esposto che anche una attività non- continuativa poteva avere accelerato il danno articolare.
14. Sotto altro profilo si si lamenta il mancato ricorso ai poteri istruttori d’ufficio, ex artt. 421 e 437 c.p.c.
15. Il motivo è inammissibile.
16. La Corte territoriale ha ritenuto non provato lo svolgimento da parte dell’odierno ricorrente dell’attività continuativa di piastrellista, costituente fattore di rischio per la patologia sofferta. Tale accertamento storico, a mezzo delle risultanze di causa, costituisce tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione.
17. Alla deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 resta peraltro estranea la contestazione del peso attribuito dal giudicante alle diverse fonti di prova (i documenti prodotti rispetto agli esiti della prova per testi) così come la proposta di una diversa valutazione del fatto, in conformità alle aspettative di parte.
18. Nella specie le censure mosse si risolvono nella richiesta di una non-consentita rivalutazione del merito (ovvero dell’accertamento, compiuto nella sentenza impugnata, dell’assenza di quel minimo di continuità dell’attività di piastrellista necessario a configurare la sua idoneità lesiva).
19. Nella parte in cui censura il mancato esercizio del potere istruttorio d’ufficio il motivo difetta di specificità, poiché il ricorrente non indica le fonti di prova rispetto alle quali il giudice dell’appello avrebbe dovuto esercitare il proprio potere di approfondimento istruttorio. Questa Corte ha invece già affermato che il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio (Cassazione civile sez. lav., 10/09/2019, n. 22628).
20. Con la terza censura viene dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa più fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, così specificati:
– Le dichiarazioni dei testi.
– La natura della malattia sofferta (gonartrosi bilaterale alle ginocchia), che il ctu del primo grado aveva riconosciuto come malattia tabellata, diversamente dal giudice dell’appello – La affermazione del ctu del secondo grado secondo cui era ipotizzabile che il lavoro di piastrellista, sia pure non continuativo, potesse avere accelerato il danno articolare.
21. Il motivo è inammissibile.
22. Come già osservato nella trattazione del secondo motivo, alla deduzione del vizio di motivazione resta estranea ogni censura circa il peso da attribuire ai diversi elementi istruttori; il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 limita, in senso ancor più rigoroso, l’area del vizio di legittimità al mancato esame di un fatto storico decisivo ed oggetto di discussione tra le parti; nella fattispecie di causa il fatto storico dell’esercizio dell’attività di piastrellista è stato esaminato nella sentenza impugnata.
23. Quanto all’applicazione delle tabelle dell’INAIL, le tabelle allegate al D.M. 9 aprile 2008 (emesso ai sensi del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 10, comma tre) integrano il precetto legale di cui all’art. 3 del TU approvato con D.P.R. n. 1124 del 1965. La affermazione del giudice dell’appello secondo cui la malattia da cui il ricorrente è affetto non è prevista in tabella, non è contestabile contrapponendo ad essa la valutazione diversa che sarebbe stata operata dal ctu del primo grado.
24. Da ultimo, con il richiamo alle osservazioni del ctu del secondo grado circa l’incidenza causale di una attività lavorativa non continuativa – (peraltro non espresse in termini di certezza ma di possibilità) – la parte ricorrente non rappresenta un fatto storico non esaminato ma un elemento di valutazione dell’origine professionale della malattia, superato dall’accertamento di merito compiuto dal giudice dell’appello circa l’inidoneità dell’attività lavorativa, per la sua occasionalità, a rivestire efficienza causale.
25. Il ricorso deve essere complessivamente respinto.
26. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
27. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13) della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 3.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 22 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021