Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.32165 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2967-2016 proposto da:

D.M.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO NATALE;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2466/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 23/11/2015 R.G.N. 2924/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza depositata il 23.11.2015 la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato il diritto di D.M.A. alla riliquidazione della pensione diretta con il computo nella base di calcolo delle c.d. quote fisse di cui alla L. n. 160 del 1975, art. 10 con decorrenza dal 1.2.1980, e per l’effetto ha condannato l’INPS a corrisponderle i ratei maturati e non riscossi a far data dal 26.4.2009, oltre accessori.

La Corte, in particolare, ha ritenuto che, in virtù del combinato disposto del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 e del D.L. n. 103 del 1991, art. 6 (conv. con L. n. 166 del 1991), la decadenza determinasse l’estinzione dei ratei pregressi delle prestazioni previdenziali, che – nel caso in cui non fosse stato proposto ricorso amministrativo – aveva decorrenza dalla data di maturazione dei singoli ratei; indi, preso atto della modifica apportata all’art. 47, cit., dal D.L. n. 98 del 2011, art. 38 (conv. con L. n. 111 del 2011), ha ritenuto che la decadenza dovesse operare anche rispetto alle domande di riliquidazione delle prestazioni previdenziali, di talché la domanda giudiziale doveva reputarsi inammissibile per i ratei anteriori al triennio dal deposito del ricorso introduttivo del giudizio, che nella specie era avvenuto in data 26.4.2012.

Avverso tali statuizioni ha ricorso per cassazione D.M.A., deducendo un unico motivo di censura. L’INPS ha depositato delega in calce al ricorso notificatogli. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di censura, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 per come modificato dal D.L. n. 98 del 2011, art. 38 (conv. con L. n. 111 del 2011), per avere la Corte di merito ritenuto che anche la domanda di riliquidazione della pensione fosse assoggettata al termine di decadenza, invece che all’ordinario termine di prescrizione, e altresì per non aver tenuto conto del fatto che, essendo nella specie l’INPS rimasto contumace, nessuna eccezione di decadenza poteva ritenersi ritualmente sollevata.

Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Deve preliminarmente escludersi che la contumacia dell’INPS in prime cure possa aver rilievo ai fini della rilevazione della decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47: come costantemente affermato da questa Corte di legittimità, la decadenza sostanziale dal diritto alla prestazione previdenziale è annoverabile fra quelle dettate a protezione dell’interesse pubblico alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti su bilanci pubblici, ed è pertanto rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, col solo limite del giudicato, dovendosi escludere la possibilità, per l’ente previdenziale (il quale non ha alcun particolare onere probatorio, essendo la decadenza una conseguenza del fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto durante il tempo stabilito), di rinunciare alla decadenza stessa ovvero di impedirne l’efficacia riconoscendo il diritto ad esso soggetto (giurisprudenza costante fin da Cass. n. 12141 del 1998; cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 18528 del 2011, 9622 del 2015, 3990 del 2016, 28639 del 2018).

Se dunque correttamente tanto il giudice di prime cure quanto la Corte territoriale hanno proceduto a rilevare la decadenza de qua ex officio, indipendentemente da ogni eccezione di parte, non può tuttavia convenirsi con i giudici territoriali allorché hanno ritenuto che, per ciò che riguarda la riliquidazione della prestazione per cui è causa, essa dovesse operare a far data dal triennio anteriore al deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio.

Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, il termine di decadenza introdotto dal D.L. n. 98 del 2011, cit., art. 38, comma 1, lett. d), n. 1), con riguardo alle “azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito” e decorrente “dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, può bensì trovare applicazione anche con riguardo a prestazioni già liquidate, ma solo a decorrere dall’entrata in vigore della citata disposizione, vale a dire dal 6.7.2011: soccorrono infatti al riguardo i principi elaborati da Cass. S.U. n. 15352 del 2015 circa la valenza generale del precetto contenuto nell’art. 252 att. c.c., per modo che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applica anche alle situazioni soggettive già in essere, ma la decorrenza del termine viene fissata con riferimento all’entrata in vigore della modifica legislativa (cfr. in tal senso, in specie, Cass. nn. 3580 del 2019 e 17430 del 2021).

Così ricostruito il quadro normativo pertinente alla soluzione della fattispecie concreta, risulta tuttavia evidente l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata: retrodatando al 26.4.2009 l’effetto estintivo della decadenza introdotta dal D.L. n. 98 del 2011, cit., art. 38 i giudici territoriali hanno attribuito alla norma cit. un effetto retroattivo contrastante con il principio desumibile dall’art. 252 att. c.c., cit. Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Bari, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bari, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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