Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32168 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24941-2016 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

P.L., M.A., domiciliati in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato FABIO BALDUCCI ROMANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 63/2016 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 06/06/2016 R.G.N. 237/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/09/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI.

RITENUTO

1. Il Tribunale di Udine con sentenza del 28 maggio 2015 ha accolto la domanda proposta nei confronti del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) da P.L. e M.A., già dipendenti della Provincia di Udine quali istruttori amministrativo contabile categoria C2, CCNL enti locali, transitati nei ruoli statali con decorrenza 1 gennaio 2000 e inquadramento in area B, posizione economica B1, del CCNL scuola, di accertamento dell’erroneo inquadramento e di condanna del Ministero ad attribuirgli la qualifica funzionale C del CCNL scuola e corrispondenti mansioni, nonché al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento degli ulteriori danni, compresa la perdita della possibilità di passare all’Area D.

2. La Corte d’Appello di Trieste, con la sentenza n. 63 del 2016 rigettava l’impugnazione del MIUR.

3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il MIUR con un motivo.

4. Resistono i lavoratori con controricorso.

5. In prossimità dell’adunanza camerale i lavoratori hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.M. 5 aprile 2001, art. 3, comma 2 e art. 9, comma 5, di recepimento dell’Accordo 20 luglio 2000, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La difesa dello Stato pone a fondamento del motivo di impugnazione la sentenza di questa Corte, n. 5998 del 2012, che ha affermato che “(…) l’attivazione delle procedure selettive e la definizione delle dotazioni organiche del profilo di coordinatore amministrativo si ponevano come fatti costitutivi del diritto all’inquadramento vantato dalla lavoratrice, essendo la loro sussistenza necessaria per rendere concreta la possibilità di accesso al superiore profilo invocato e non potendo questo derivare direttamente dalla previsione della possibilità di collocazione degli appartenenti alla ex sesta qualifica funzionale degli enti locali nel profilo amministrativo con compiti di responsabilità e di coordinamento di aree e settori organizzativi e di vicariato da istituire nell’area “C” della scuola di cui al D.I. 5 aprile 2001, art. 9, comma 5. Ne consegue che, trattandosi di fatti costitutivi del diritto, spettava alla lavoratrice fornire la prova della loro sussistenza nella fattispecie, per cui il mancato assolvimento di tale onere nemmeno faceva sorgere in capo all’amministrazione l’obbligo di una precisa contestazione che andasse al di là di quella della insussistenza del preteso diritto, così come formulata con la comparsa di costituzione di primo grado (…)”.

Di talché, assume il MIUR, nella specie i lavoratori non avevano dimostrato l’attivazione delle procedure selettive o la definizione delle dotazioni organiche non assolvendo al prescritto onere della prova.

I ricorrenti chiedevano di essere collocati in una qualifica che pur prevista dagli accordi collettivi, non era stata ancora istituita.

Pertanto, erroneamente la Corte d’Appello affermava che l’Amministrazione avesse l’obbligo di attivarsi per l’istituzione della qualifica di coordinatore amministrativo.

3. Il motivo non è fondato.

3.1. Con la sentenza n. 7321 del 2013 – la cui motivazione si richiama ex art. 118 disp. att. c.p.c. – che ha superato i principi affermati da Cass. n. 5998 del 2012, e ha trovato conferma nelle successive sentenze n. 10693 del 2017 e n. 747 del 2018, si è affermato quanto segue.

3.2. la L. n. 124 del 1999, art. 8 pone una prescrizione di carattere generale dettando il criterio della corrispondenza (o equivalenza) tra la posizione del dipendente nell’Ente di provenienza e quella di destinazione nei ruoli del personale dell’Amministrazione dello Stato. Prescrive infatti che il personale ATA di ruolo, dipendente dagli Enti locali, in servizio nelle Istituzioni scolastiche statali alla data di entrata in vigore della L. n. 124 del 1999, è trasferito nei ruoli del personale ATA statale ed è inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili (…). La corrispondenza tra qualifiche funzionali e profili professionali di provenienza e quelli di destinazione costituisce oggetto della più dettagliata disciplina regolamentare dettata dal D.I. 23 luglio 1999, n. 184, e dal D.M. 5 aprile 2001, di recepimento dell’accordo ARAN – Rappresentanti delle organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000, sui criteri di inquadramento del personale già dipendente degli enti locali e transitato nel comparto scuola.

In particolare l’art. 3 di tale ultimo decreto ha previsto l’inquadramento professionale e retributivo prescrivendo in particolare che l’inquadramento definitivo, nei profili professionali della scuola, sarebbe dovuto avvenite “tenendo conto” della tabella A di equiparazione allegata.

La corrispondenza tabellare, fissata con accordo sindacale e recepita nel citato decreto ministeriale, della quale occorre “tener conto”, va poi verificata in concreto perché sia rispettato il criterio dell’equivalenza posto dall’art. 8 cit.; disposizione questa che infatti considera anche l’ipotesi in cui tale equivalenza (quella tabellare) non risulti allorché la qualifica e il profilo di provenienza non trovino corrispondenza nei ruoli del personale ATA statale.

3.3. Dunque, in tale evenienza è innanzi tutto consentita al lavoratore l’opzione per l’ente di appartenenza, da esercitare comunque entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della L. n. 124 del 1999.

Ma in mancanza di tale opzione, ovvero quando questa opzione non sia più esercitabile, occorre comunque che ci sia una corrispondenza in concreto tra la posizione lavorativa di provenienza e quella di destinazione dovendo escludersi che dal trasferimento il dipendente possa conseguire un peggioramento della sua posizione lavorativa.

Come affermato da Cass. n. 7321 del 2013, il difetto di corrispondenza tabellare è quindi un’evenienza possibile e, ove non venga esercitata nei termini dal lavoratore l’opzione per l’ente di appartenenza, occorre ricercare nella griglia delle qualifiche e dei profili del personale statale della scuola quella qualifica e quel profilo che maggiormente si attagli alla posizione di provenienza tenendo conto delle mansioni ad esse corrispondenti.

3.5. Ciò posto, può dirsi corretta la ratio decidendi della Corte d’appello che è partita dalla considerazione, emergente dalle risultanze istruttorie, che le mansioni svolte dai lavoratori, originari ricorrenti, rientranti nella categoria C del personale degli enti locali, non corrispondevano alla categoria B del personale della scuola dell’amministrazione statale.

La Corte d’Appello, quindi, ha proceduto analiticamente al raffronto delle declaratorie contrattuali, atteso che il Ministero non aveva contestato che i lavoratori avessero svolto quando erano dipendenti della provincia le mansioni descritte nel ricorso introduttivo del giudizio, né che queste mansioni fossero corrispondenti all’inquadramento loro attribuito dall’Ente locale, né che i lavoratori avessero continuato ad espletarle una volta passati alle dipendenze dello Stato.

Ha quindi rilevato che vi era stato un illegittimo appiattimento del profilo di istruttore amministrativo di categoria C, sia rispetto alla posizione di partenza, in quanto era stata equiparata ai profili della inferiore Categoria B, sia rispetto alla posizione di arrivo perché era stata collocata a un livello inferiore rispetto al profilo più simile, sul piano sostanziale, del sistema di classificazione vigente nel Comparto Scuola, cioè quello di responsabile amministrativo (C 1).

Questa ricognizione di tali elementi di fatto appartiene alla valutazione di merito della Corte d’appello, non censurabile in sede di legittimità perché sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria, non senza considerare che l’Amministrazione, attualmente ricorrente, non ha sostanzialmente contestato questi dati di fatto.

4. Il ricorso va quindi rigettato.

5. Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.

6. Come ritenuto dalle Sezioni Unite della Corte, con sentenza n. 9938 del 2014, stante la non debenza delle amministrazioni pubbliche del versamento del contributo unificato, non deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 3000,00, per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15 per cento e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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