Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.32169 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23871-2019 proposto da:

F.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato FEDERICO CARLINI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in FERRARA, VIA BORGO dei LEONI 132;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. 2893/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato il 25/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

F.M., dichiaratosi cittadino del *****, proponeva ricorso avanti al Tribunale di Bologna avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo la dichiarazione del suo diritto all’asilo ed alla protezione internazionale ex art. 10 Cost., comma 3, o, in subordine, alla protezione umanitaria.

In particolare, il ricorrente (asseritamente nato a ***** il *****, appartenente al gruppo etnico ***** e di religione *****, mai andato a scuola, lavorando prima come contadino e poi come commerciante di scarpe e abbigliamento presso un bazar), dichiarava che il 13 febbraio 2014 tre uomini armati avevano rapinato l’incasso del negozio in cui lavorava e che il padrone lo aveva accusato di essere loro complice e aveva minacciato di ucciderlo se non lo avesse rimborsato; che non aveva denaro per difendersi con un avvocato e non poteva neppure rivolgersi alla polizia, che si sarebbe schierata con il padrone che aveva soldi; che, pertanto, era scappato in Algeria da un amico, che gli aveva organizzato il viaggio, mentre un altro amico gli aveva suggerito di raggiungerlo a Tripoli, perché la manodopera era lì ben retribuita; che tuttavia, mentre provava ad entrare in Libia era stato immediatamente arrestato; che nella prigione i detenuti venivano torturati, infliggendo loro bruciature con coltelli roventi e che veniva dato loro pochissimo cibo; che, dopo otto mesi e due giorni di prigionia, lo avevano fatto imbarcare a forza insieme ad altri.

Con decreto n. 2893/2019 depositato il 25/06/2019, il Tribunale rigettava il ricorso.

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi; l’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.-Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”, in relazione alla mancata valutazione del percorso di inserimento lavorativo intrapreso dal richiedente nel nostro paese. Il Tribunale si sarebbe limitato a negare il riconoscimento della protezione umanitaria unicamente sulla base della ritenuta “assenza di concreti e ragionevoli rischi per il richiedente”, omettendo completamente di valutare l’integrazione sociale e lavorativa raggiunta dal ricorrente in Italia, nonostante la titolarità di un permesso di soggiorno temporaneo, in comparazione con il generale contesto di grave violazione dei diritti umani in *****.

1.1.- Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente si limita infatti a rilevare genericamente il proprio inserimento sociale e lavorativo in Italia ed afferma apoditticamente la propria condizione di vulnerabilità, senza chiarire se abbia dedotto innanzi al giudice di merito specifici elementi indicativi della sua integrazione in Italia, ed, in caso affermativo, quali.

1.2.-Giova al riguardo ribadire che il diritto alla protezione umanitaria è in ogni caso collegato alla sussistenza di “seri motivi”, non tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore (prima della novella di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018), cosicché essi costituiscono un catalogo aperto, tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità individuale attuali o pronosticate in dipendenza del rimpatrio;

non può essere in nessun caso elusa la verifica della sussistenza di una condizione personale di vulnerabilità, occorrendo dunque una effettiva valutazione individuale, svolta caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

I seri motivi di carattere umanitario possono allora positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti non soltanto un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, ma siano individuabili specifiche correlazioni tra tale sproporzione e la vicenda personale del richiedente.” (Cass. n. 4455 del 2018).

Le Sezioni Unite di questa Corte, nelle recenti sentenze (Cass. n. 29459 e n. 29460 del 2019), hanno ribadito l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al rilievo centrale della valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale; rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. n. 17072 del 2018)”, in quanto “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”, che enuncia il principio dell’onere attenuato. Censura il rigetto della richiesta di protezione internazionale lamentando che il Tribunale avrebbe ritenuto inattendibile e generico il racconto del ricorrente senza indicare le ragioni a sostegno di quanto apoditticamente affermato e avrebbe omesso di valutare adeguatamente i criteri di cui all’invocato D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, il cui corretto esame avrebbe fatto propendere per la veridicità ed attendibilità della narrazione.

2.1.-Anche questa censura è inammissibile. Essa non si confronta compiutamente con le motivazioni del provvedimento censurato. Il Tribunale, invero, dopo aver manifestato la propria condivisione del giudizio di genericità e inattendibilità che della narrazione della propria vicenda da parte del richiedente aveva formulato la Commissione territoriale, ha motivatamente ritenuto che la veridicità del racconto non avrebbe mutato il suo convincimento in ordine alla insussistenza dei presupposti delle domande.

A fronte delle argomentazioni articolatamente svolte dal Tribunale, la censura si risolve in un sindacato su di un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5.

3.- Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Non si deve provvedere sulle spese, non avendo il Ministero intimato spiegato difese. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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