LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25123-2019 proposto da:
E.A., rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Carlo Seregni, e Tiziana Aresi, del foro di Milano ed elettivamente domiciliato agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.
OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:
– con provvedimento notificato il 06.04.2018 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;
– avverso tale provvedimento interponeva opposizione E.A., che veniva respinta dal Tribunale di Milano con decreto n. 6189 pubblicato il 07.07.2019;
– la decisione evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, rilevando che il racconto del richiedente (proveniente dalla *****, che aveva lasciato per essere stato sequestrato da due persone su incarico di altro soggetto cui aveva dovuto vendere una parte dei terreni per poter pagare il funerale del padre, il quale però voleva che gli vendesse anche il restante terreno, e al suo rifiuto lo aveva fatto sequestrare) evidenziava che anche a voler ritenere attendibile il racconto, gli atti di persecuzione nei suoi confronti provenivano da un agente non statale; né il richiedente aveva dichiarato di essersi rivolto alle autorità statali per ottenere tutela e nonostante avesse dichiarato di avere ricevuto l’aiuto di uno degli anziani del villaggio quando doveva vendere parte dei terreni per pagare il funerale del padre. Aggiungeva che pur soffrendo il sistema giudiziario in ***** alcune criticità, era comunque fornita di una Costituzione garantista dell’indipendenza della magistratura, che risultava sostanzialmente rispettata, come da ***** in 2017 dell’aprile 2018. Ne’ dalle COI del gennaio e del novembre 2018, oltre che del gennaio 2019, emergeva che la regione di provenienza del richiedente asilo, *****, fosse interessata da un conflitto armato generalizzato.
Del pari veniva negata la ricorrenza dei presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in quanto non risultava che il ricorrente avesse legami in Italia, né risultava alcuna allegazione nel ricorso quanto all’integrazione dello stesso, emergendo al riguardo una assai limitata integrazione sociale nel nostro Paese, avendo egli preso parte esclusivamente ad un percorso di alfabetizzazione e ad attività di lavoro volontario e di formazione;
– propone ricorso per la cassazione di tale decisione – notificato in data 25.08.2019 – E.A., affidato a due motivi, cui il Ministero dell’interno resiste con controricorso.
Atteso che:
– con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8 per l’omessa valutazione del suo periodo di permanenza nei paesi in cui è transitato, né le ragioni che lo avevano indotto poi a fuggire anche dalla Libia per avere egli richiesto protezione in quanto proveniente dalla Libia e non semplicemente transitato.
La censura è inammissibile sotto molteplici profili.
Premesso che il motivo contiene una serie di considerazioni teoriche sul quadro normativo di riferimento, il ricorrente deduce un excursus sulle fonti attestanti la situazione di diffusa violenza e violazione dei diritti umani esistente in Libia, Paese in cui il richiedente è non solo transitato ma anche rimasto stanziale, senza tuttavia tener conto che in casi siffatti, ove si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, occorre comunque evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituendo altrimenti circostanza irrilevante ai fini della decisione, perché l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il Paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese (Cass. n. 31676 del 2018).
Ora, appunto il ricorso non chiarisce quale sia la connessione esistente tra il transito con permanenza e il contenuto della domanda e perciò ne va confermata la non accoglibilità;
– con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5 e art. 14, lett. c) per avere il Tribunale ritenuto non credibile il racconto del richiedente, nonostante lo sforzo ragionevole impiegato per circostanziare la domanda.
Il giudice, inoltre, non avrebbe proceduto all’acquisizione officiosa di informazioni rilevanti per la sua narrazione.
La censura è inammissibile, poiché deduce solo formalmente un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge, nella sostanza allegando un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ciò che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, se non sotto il profilo motivazionale (Cass. n. 24155/2017; Cass. n. 22707/2017; Cass. n. 6587/2017; Cass. n. 195/2016).
Ne’ sono ravvisabili lacune nel provvedimento per motivazione apparente, posto che il Tribunale ha espresso le ragioni poste a fondamento del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria sub lett. c). In particolare, il Tribunale ha giudicato il racconto del ricorrente non attendibile, precisando che anche ove ritenuti credibili gli atti di persecuzione denunciati ai suoi danni provenivano da un agente non statale, ed ha poi richiamato le fonti internazionali consultate evidenziando che il richiedente proviene dalla *****, *****, attualmente non caratterizzata da episodi di violenza generalizzata, come si evinceva dal rapporto UNHCR dell’ottobre 2014, dal report di Human Rights Watch del gennaio 2018, da EASO del novembre 2018 e da ACCORD – Austran Center For Country og Origin and Asylum Researche and Documentation del 30 gennaio 2019.
Il giudice di merito ha, dunque, fatto specifico riferimento agli ultimi report, compreso il rapporto annuale EASO del 2018 ed ha escluso che l’area di provenienza del richiedente fosse interessata da una situazione di violenza generalizzata di tale gravità e diffusione da mettere a repentaglio l’esistenza ed incolumità della persona.
A fronte di tale accertamento, il ricorrente neanche indica specifiche circostanze, limitandosi a riferire genericamente del suo timore di subire al rientro gravi e ingiustificate forme di trattamento inumano e minacce gravi alla propria vita sempre per i terreni di sua proprietà. Questa Corte ha affermato, anche di recente, che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria (Cass., 2 ottobre 2019 n. 24647).
Ciò in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno grave, potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia Europea (Corte di Giustizia, causa C-285/12, Diakite’, sentenza 30 gennaio 2014 e causa C-465/07, Elgafaji, sentenza 17 febbraio 2009).
Alla luce degli enunciati principi, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 13 agosto 2018 n. 20721).
I giudici di merito hanno, quindi, compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale hanno ritenuto non sussistente la violenza generalizzata nel paese di origine e tale statuizione è conforme a diritto.
Peraltro canto la situazione di vulnerabilità dedotta dal ricorrente sarebbe al più giustificativa del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che neppure è integrata dall’allegazione di una generale condizione di povertà, salvo che non sia accertato in concreto che essa raggiunga la soglia della “carestia” (la quale costituisce invece causa teoricamente idonea a giustificare la concessione della protezione umanitaria) e purché tale accertamento sia compiuto sulla base di fonti attendibili ed aggiornate (cfr Cass. n. 20334 del 2020).
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio vanno interamente compensate fra le parti non avendo il Ministero svolto nel controricorso alcuna attività difensiva riferibile al caso di specie.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 3 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021