Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.32175 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24894-2019 proposto da:

U.O., rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Lanzilao, del foro di Roma e domiciliato in Roma, viale Angelico n. 38 presso lo studio del difensore ovvero all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 14615 del Tribunale di ROMA, depositato il 30/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2021 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO Ritenuto che:

– con provvedimento notificato il 16.03.2018 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Roma rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;

– avverso tale provvedimento interponeva opposizione U.O., che veniva respinta dal Tribunale di Roma con decreto del 30.07.2019;

– la decisione impugnata evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, rilevando in primo luogo che la vicenda narrata, di avere lasciato la *****, suo Paese di origine, perché temeva per la sua incolumità fisica in quanto era stato inconsapevolmente coinvolto da un suo amico in una riunione dei membri di un gruppo criminale, che avevano cercato di convincerlo ad unirsi a loro e al suo rifiuto lo avevano aggredito violentemente, oltre ad aggredire anche i suoi familiari, uccidendo il padre, non integrava lo status di rifugiato essendo questione di competenza della giustizia ordinaria del Paese di provenienza. Ne’ in *****, nell'***** (*****), dal report di EASO del giugno 2017 risultava che nella zona di provenienza vi fossero situazioni generalizzate di conflitto armato interno o internazionale, per cui non sussistevano i presupposti per la protezione sussidiaria. Infine le specifiche vicende allegate non integravano un’ipotesi di vulnerabilità individuale;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione l’ U. affidato ad un unico motivo;

– il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Atteso che:

– con l’unico motivo il ricorrente lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – che il Tribunale abbia errato a non applicargli la protezione, ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19 che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che ivi possa correre gravi rischio, oltre ad omessa applicazione dell’art. 10 della Cost.

La censura è inammissibile per genericità.

Il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente; tale elemento, però, deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale dell’istante, il quale e’, perciò, onerato quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (Cass. 8 gennaio 2019 n. 231; Cass. 5 aprile 2019 n. 9651).

Infatti, la proposizione della domanda di protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio, con la conseguenza che la carenza del quadro assertivo (nella specie in ragione della sua evidente genericità) nemmeno giustifica la spendita, da parte dello stesso, dei poteri istruttori officiosi a lui assegnati nel giudizio vertente sulle diverse forme del diritto di asilo, dato che, in ragione dell’indeterminatezza della condizione di vulnerabilità dell’istante, non si sarebbe saputo ove indirizzare.

Sul punto, il Tribunale ha evidenziato, alla stregua delle acquisite informazioni, l’assenza di criticità nella zona del Paese di provenienza del richiedente ed ha escluso sue situazioni di vulnerabilità soggettiva derivante da grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di provenienza, in conformità del disposto degli artt. 2, 3 e 4 CEDU (Cass. n. 9651/2019 cit.), pur tenuto conto delle numerose situazioni di criticità esistenti in *****.

Con ciò facendo corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte secondo cui il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass. 22 febbraio 2019 n. 5358); la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019 n. 13079); l’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, può assumere rilevanza non quale fattore esclusivo, bensì quale circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale da tutelare mediante il riconoscimento di un titolo di soggiorno (Cass. 23 febbraio 2018 n. 4455); il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, lo stato di povertà del Paese di provenienza, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28 giugno 2018 n. 17072; Cass., Sez. Un., 13 novembre 2019 n. 29459).

Non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d’origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, sotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili.

L’accertamento della situazione oggettiva del Paese d’origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere (cfr. Cass. n. 420 del 2012; Cass. n. 4455 del 2018 nella motivazione).

Solo a queste condizioni vale quindi il principio secondo cui “Il riconoscimento della protezione umanitaria, secondo i parametri normativi stabiliti dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; art. 19, comma 2 e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 32, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale nel nostro paese, non può escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, dovendosi fondare su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, affermato dalla sopra richiamata decisione n. 4455 del 2018 di questa Corte.

Ne consegue l’insufficienza della generica allegazione della migliore condizione di cui il richiedente la protezione godrebbe in Italia rispetto a quella che avrebbe nel proprio Paese di origine, in quanto la comparazione va condotta non in termini astratti ma concreti, calata cioè sulla specifica condizione di vita e di vulnerabilità del richiedente medesimo, e quindi in ultima analisi sulla sua vicenda personale.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Amministrazione che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre a spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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